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Per i comunisti brasiliani, con Lula “il Brasile giocherà un ruolo decisivo nel multipolarismo emergente nel mondo”

La vittoria di Luiz Inacio Lula da Silva, meglio noto come “Lula”, in Brasile continua ad alimentare speranze, disillusioni, dibattiti e domande in America Latina e nel mondo. Cosa significa per la politica estera e interna del Paese? Come governerà Lula, visto che deve affrontare una maggioranza conservatrice in Parlamento? Come reagirà Jair Bolsonaro, che già prima delle elezioni aveva contestato i risultati elettorali? E che ne sarà degli evangelici, che da anni sono oggetto di discussione e che sempre più spesso si fanno strada in politica?

Pur affermando che Lula si trova di fronte a un “territorio devastato”, Walter Sorrentino è ancora ottimista. È il vicepresidente nazionale del Partito Comunista del Brasile (PCdoB), che fa parte della coalizione di Lula ed è rappresentato da 8 deputati in Parlamento. Sorrentino è anche segretario del suo partito per le relazioni internazionali. Sinistra.ch ha curato la traduzione dell’intervista da lui concessa al portale United World International.

Bloccato la riforma istituzionale grazie ad un largo fronte democratico

Come interpreta i risultati delle elezioni presidenziali, parlamentari e dei governatori? Qual è la sua osservazione di fondo?

È stata una vittoria straordinaria contro un candidato alla rielezione che si è servito dei più sporchi meccanismi governativi per alimentare una campagna d’odio. Ha usato milioni di dollari per diffondere fake news e ha seguito la strategia politica di farsi rieleggere per completare il lavoro di cambiamento del regime istituzionale in Brasile. I fattori chiave della vittoria di Lula sono stati i seguenti: la decisione di creare un’ampia coalizione attorno a Lula, il fronte politico più ampio dalla lotta contro la dittatura militare; il messaggio di speranza contro quello di paura; la ricostruzione del Paese e della democrazia. La tattica del fronte ampio ha dimostrato ancora una volta il suo valore contro le tendenze fasciste. L’altro fattore attivo decisivo è stato il ruolo personale di Luiz Inácio Lula da Silva, un gigante politico la cui storia è una saga, con la sua capacità di interpretare i sentimenti dei più poveri, nella lotta per l’equità sociale, lo sviluppo sovrano e la partecipazione democratica.

Walter Sorrentino è vicepresidente e responsabile esteri del PCdoB.

Quali cambiamenti fondamentali ci si deve aspettare nella politica estera del Brasile con il cambio presidenziale? Quale sarà la differenza più importante in questo ambito tra Bolsonaro e Lula?

Il Brasile tornerà a essere un protagonista rispettato e ammirato, come già dimostrato in campagna elettorale. Il Brasile è una grande nazione, con una politica estera attiva e di alto profilo a favore dell’autodeterminazione delle nazioni, della pace e del multilateralismo. Come attore globale, il Brasile possiede grandi strumenti per giocare un ruolo decisivo nel multipolarismo emergente nel mondo, articolando l’accesso del blocco latinoamericano ai BRICS, insieme alle Americhe, all’Eurasia, al Medio Oriente e all’Africa.

Verso una ripresa dell’integrazione latino-americana

Lula è stato un grande promotore dell’integrazione latino-americana. Quali passi concreti ci si deve aspettare dal suo governo per quanto riguarda l’avanzamento di questa integrazione?

Ci aspettiamo la ripresa del Mercosur, della Celac e dell’Unasur. Inoltre, sarà rafforzata la loro presenza all’ONU e in altre organizzazioni internazionali. Questa presenza democratizzerà ulteriormente l’ONU e le altre istituzioni internazionali. In Sudamerica, i governi di destra sono ridotti alla metà dal 2019. Governano solo Ecuador, Paraguay e Uruguay. I governi progressisti controllano il 93,6% del PIL della regione. È un blocco che, agendo per lo sviluppo sovrano, avrà un ruolo crescente nella nuova realtà geopolitica. Tanto più che ogni giorno si dimostrano sempre più le difficoltà degli Stati Uniti a mantenere la loro egemonia, nonostante la forza che ancora hanno nella regione.

“Il Brasile non deve sostenere la strategia statunitense”

Un’altra questione importante nella politica mondiale è il conflitto in Ucraina. Gli Stati Uniti stanno ampliando la NATO con Svezia e Finlandia e stanno preparando una nuova cooperazione con i Paesi asiatici. Allo stesso tempo, Washington non sembra interessata a una soluzione diplomatica. Continua a inviare armi e finanziamenti all’Ucraina, cercando di isolare la Russia. Sabota le relazioni che questo Paese ha con altri, applicando sanzioni ex-territoriali. Quale sarà la posizione del governo Lula? Parteciperà alle sanzioni? O al contrario, cercherà di rafforzare i BRICS come polo?

Sicuramente il nuovo governo non parteciperà alle sanzioni contro la Russia. Agirà per la pace, per le soluzioni negoziate, per l’autodeterminazione delle nazioni. Il Brasile non deve sostenere la strategia statunitense. Gli Stati Uniti stanno reagendo al loro relativo declino di potenza mondiale, con una guerra continua e multidimensionale contro la Cina e il contenimento della Russia. Questi due Paesi sono strategicamente allineati. Questa strategia americana sta condannando l’Unione Europea a una situazione di crescente dipendenza e di arretramento. La nostra politica estera sarà una versione della strategia globale Sud-Sud adattata ai grandi cambiamenti geostrategici in atto sulla scena internazionale.

La candidatura di Lula è stata appoggiata con convinzione dal PCdoB guidato alla presidente Luciana Santos.

Quale futuro per il bolsonarismo?

Nel processo di transizione, si aspetta qualche passo dirompente dal bolsonarismo e, se sì, quali?

Il bolsonarismo si è inserito profondamente nella realtà sociale. Bolsonaro è stato il governo di estrema destra più forte al mondo, radicato nel negazionismo, nell’antisistema e nella meritocrazia di ampie porzioni della società nel bel mezzo della crisi sociale. E ad alimentarlo è stata una potente rete di algoritmi che non solo riflettono ma plasmano la coscienza sociale. Sarà un’opposizione chiusa e persino fuori dalle regole costituzionali, basata su una base centrale di bolsonarismo, stimata al 20-25% dei suoi elettori. In ogni caso, Bolsonaro si indebolirà progressivamente come leader. Intenderà ripresentarsi alle elezioni del 2026, se non sarà contenuto istituzionalmente da numerosi procedimenti penali che possono anche portarlo in carcere.

L’aritmetica del Parlamento brasiliano presenta uno scenario difficile per il governo Lula. Quali problemi si aspetta il PT e qual è la sua strategia per garantire la governabilità?

Il nuovo governo dovrà affrontare un “territorio devastato” in ambito sociale, economico e persino istituzionale. Sono già state approvate decine di riforme costituzionali regressive. Non sarà un “governo del PT”, ma un governo con forze ampie per pacificare il Paese, promuovere la normalità istituzionale ed economica, la stabilità e la prevedibilità, senza rinunciare al suo programma. Questo programma consiste in un’ampia gamma di misure sociali immediate, nella ripresa dell’occupazione e del reddito, nella reindustrializzazione del Paese alla ricerca di uno sviluppo sovrano. Lula negozierà progressivamente con il nuovo Congresso, che è prevalentemente conservatore. Tuttavia, ha accumulato un forte capitale politico con 60 milioni di voti e ha decine di partiti al suo fianco, oltre a un ampio sostegno popolare. La base programmatica per la reindustrializzazione e lo sviluppo sovrano è il ruolo guida dello Stato, che induce investimenti attraverso aziende statali strategiche. Questo include la sanità, l’istruzione, la scienza e la tecnologia per entrare nell’industria 4.0. Il governo promuoverà anche la transizione ecologica, con la difesa della matrice energetica pulita che già predomina nel Paese, la difesa dell’ambiente e della ricca biodiversità del Brasile, soprattutto in Amazzonia.

Lula potrà compiere progressi o guiderà un governo di conservazione?

Da un lato, si nota che i governi di Biden, Macron e simili sono stati molto veloci nel congratularsi con Lula. Riviste come l’inglese “The Economist” hanno – prima delle elezioni – apertamente criticato o respinto la rielezione di Bolsonaro. Dall’altra, Lula ha costruito un’alleanza molto ampia e il suo primo discorso sembra avere come obiettivo principale “ripristinare la democrazia e l’ordine”. Non teme che il governo Lula finisca per essere un governo di conservazione invece di realizzare progressi essenziali?

No, non ho paura. La democrazia e l’ordine sono a favore dello sviluppo. Penso che in qualche modo sarà un governo di transizione. Lula ha già dichiarato che non si ricandiderà. Sarà un governo che promuoverà una nuova accumulazione di forze del campo progressista e popolare, governando con settori politici centristi. Le misure del nostro programma raggiungeranno rapidamente la vita quotidiana delle persone. Queste ultime sono angosciate dai contraccolpi degli ultimi anni, dopo una pandemia che ha causato la morte di quasi 700.000 persone, visto il sabotaggio promosso dal governo Bolsonaro nel suo confronto. La nostra idea è che dovremo costruire progressivamente una nuova maggioranza politica attorno a un patto nazionale per lo sviluppo.

Bolsonaro e il movimento evangelico continueranno a rimanere degli attori importanti sulla scena brasiliana.

In questo contesto, si osserva un aggravamento della crisi economica mondiale. Come si riflette in Brasile e quali saranno le risposte del governo Lula?

Sì, la crisi preoccupa molto. Inflazione, recessione, aumento dei tassi di interesse, guerra ed escalation aggressiva degli Stati Uniti con la loro strategia anti-Cina. Allo stesso tempo, nella nuova realtà geopolitica il Brasile dispone di spazi di manovra strategici molto significativi per perseguire i propri interessi. Soprattutto nel contesto del multipolarismo e del multilateralismo. Ci sono precedenti storici nel nostro Paese a questo proposito, come la Seconda guerra mondiale. Getúlio Vargas, allora presidente, ha posto le basi per un progetto di sviluppo nazionale che ha raggiunto i più alti tassi di crescita al mondo per tutto il XX secolo, dal 1930 al 1980.

L’ascesa del movimento evangelico

Si tratta di una questione complicata, ma il tema attira l’attenzione: molti sostengono che l’evangelismo stia guadagnando forza in tutta l’America Latina e stia diventando una forza politica. Da dove viene questo evangelismo, qual è la sua leadership politico-economica e qual è il suo peso nella politica brasiliana?

Le chiese evangeliche neopentecostali hanno promosso la rinascita della religiosità come arma politica. È un fenomeno notevole, esteso, multimilionario e molto potente: reti televisive e templi diffusi in tutto il Paese, che sembrano essere un nuovo tipo di Casa della Zecca con le decime raccolte. Hanno ottenuto una forte rappresentanza congressuale e hanno conquistato il governo dello Stato di San Paolo, il più potente del Paese. I templi forniscono una rete di sostegno spirituale e sociale di fronte alla crisi dello Stato sociale e dei servizi pubblici. Questo avviene in un contesto di neoliberismo senile, che non offre nuovi consensi o progetti futuri per le maggioranze sociali. È il momento della finanziarizzazione della ricchezza, che imprigiona gli Stati nazionali nella logica della ricerca della rendita. Gli Stati diventano schiavi del debito pubblico che produce dividendi per i settori economici egemoni della società. Si verifica un momento di grande disperazione sociale, senza i riferimenti che predominano nella struttura sociale a partire dalle relazioni di lavoro. Tutto questo ci chiama a esaminare nuovi modi di lavorare con la consapevolezza politica, le pedagogie necessarie per raggiungere i cuori e le menti di questi immensi strati sociali, il ruolo dello Stato e i modi per espandere la democrazia. Questo è ciò che credo: Senza parlare di sviluppo accelerato e sovrano, non c’è modo di andare a quelle trame come base per un progetto popolare, patriottico e democratico, che potrebbe aprire strade per forme più elevate di regime sociale, contro il neocolonialismo e per far prevalere forme di proprietà pubblica, di transizione verso forme socialiste.