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Nei panni di Cassandra su Banca Stato

 

Alessandro Lucchini
Alessandro Lucchini (Partito Comunista)

Quello che i promotori del referendum sulla riforma del 2003 di BancaStato avevano previsto si è purtroppo, alla distanza di otto anni, avverato. O forse sarebbe meglio dire che tutte le rassicurazioni secondo cui la Banca avrebbe giovato di maggiore trasparenza e redditività si sono rilevate delle menzogne. La riforma, che ha dato il via libera agli organi direttivi a intraprendere operazioni bancarie ad alto rischio ma presentate contrariamente alla popolazione come prive di pericoli, ha aggravato il problema della gestione pubblica sull’istituto bancario. Il cosiddetto settore del privat banking fu già a quel tempo ritenuto dagli esperti in via di saturazione, offrendo su larga scala margini di guadagno in caduta, risollevabili solo con un elevato livello di rischio speculativo e attraverso una grossa quantità di riserve monetarie in caso in cui gli investimenti non fossero andati a buon fine. La riforma fu combattuta solo dal MPS e dall’allora Partito del Lavoro (ora Partito Comunista) che, come utilizzando i poteri del personaggio mitologico Cassandra, prefigurarono l’ondata di crisi economica incombente e misero in allerta sul possibile indebolimento degli strumenti di controllo proprio in un periodo dove l’evoluzione economica avrebbe invece necessitato un loro potenziamento. Questo fatto sommato alla dubbiosa qualità dei membri della commissione di controllo, rei di essersi sempre fidati delle parole di Pelli, hanno scatenato l’ennesimo scandalo. Già la forzatura legata all’acquisto della filiale ticinese di Unicredit (oggi Axion Swiss Bank) fu sinonimo di un atteggiamento poco rispettoso nei confronti dei veri proprietari della banca e cioè di tutti i cittadini ticinesi. In quel momento il CdA di BancaStato accelerò le manovre sviando le resistenze del Parlamento procedendo direttamente all’acquisto: mettendo così tutti di fronte al fatto compiuto. Entrando nella logica di questi affaristi strapagati si può ben capire come in un periodo storico dove le grandi banche private vengono salvate dalle rispettive popolazioni, essi membri del CdA di una Banca pubblica, si sentono liberi di addentrarsi nei meandri di attività speculative e all’acquisizione di partecipazioni in altri istituti privati, tanto se il colpo va male sarà la popolazione ticinese a pagarne le conseguenze. Una banca di proprietà pubblica non dovrebbe orientare la sua strategia alla logica della redditività a breve termine, ma piuttosto a una logica sul medio-lungo periodo creando le basi per uno sviluppo armonioso del Cantone, offrendo i mezzi per investire in modo sereno su attività di pubblica utilità ed elevarsi a luogo sicuro dove depositare i propri risparmi. Il caso Barbuscia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: i proprietari della banca devono tornare a poter decidere sul futuro della stessa. Come prima cosa bisogna mandare a casa questo Consiglio di Amministrazione che è espressione di quei partiti che hanno voluto la riforma fallimentare della banca, e nominarne uno nuovo formato da persone convinte della necessità di una banca pubblica solida e solidale.

Alessandro Lucchini, candidato al Consiglio Nazionale per il Partito Comunista

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