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Bocciata la Legge sul CO2. Soddisfatti i comunisti: “Ora costruiamo un’ecologia sociale!”

Domenica 13 giugno, il popolo svizzero ha rifiutato la revisione della Legge sul CO2: il 51.6% degli elettori si è infatti espresso contro questa riforma che aveva infiammato il dibattito pubblico negli ultimi mesi. A distanza di un paio di settimane, ci è possibile analizzare con maggiore calma questo conteso risultato, in merito al quale le riflessioni e le reazioni non sono affatto mancate.

Contrarie campagne e periferie, giovani e bassi redditi

La spaccatura più evidente prodotta dalla revisione della Legge sul CO2 è quella fra città e campagna: secondo l’Ufficio federale di statistica (vedi qui), l’elettorato urbano ha sostenuto in modo chiaro la riforma (con il 65% di sì) mentre quello rurale l’ha nettamente respinta (con solo il 36% di sì). Un dato che conferma l’impressione maturata durante la campagna di voto, in cui città e campagna sono parse in netta opposizione sulla strategia da adottare di fronte al cambiamento climatico.  I risultati secondo il tipo d’insediamento rivelano però un ulteriore elemento d’analisi: nelle periferie dei grandi centri e negli spazi periurbani solo il 49% e rispettivamente il 43% degli elettori hanno sostenuto la revisione della Legge sul CO2. Al di là del luogo d’abitazione, ad incidere in modo rilevante sulla scelta di voto sono dunque stati anche il reddito e l’origine sociale: se i cittadini benestanti del centrocittà si sono schierati in favore della riforma, questa è invece stata respinta dai ceti medio-bassi residenti in periferia.

I favorevoli (in verde) si sono concentrati nei centri urbani come Zurigo, Berna e Ginevra.

Questa analisi viene confermata dal sondaggio post-voto realizzato lo stesso 13 giugno dal gruppo Tamedia (vedi qui). I risultati suddivisi in base al reddito dimostrano una netta opposizione alla legge da parte dei ceti medio-bassi e un chiaro sostegno da parte delle classi più agiate: solo il 39% dei votanti con un salario compreso fra 3000 e 5000 franchi ha votato sì alla riforma, contro il 58% dei cittadini con un reddito superiore a 11’000 franchi. La (relativamente) alta quota di favorevoli nella fascia di reddito inferiore ai 3000 franchi è probabilmente da imputare al gran numero di studenti universitari (con reddito basso o nullo) che hanno sostenuto la riforma.

Ciò non deve però farci credere – come i favorevoli hanno ampiamente sostenuto – che il risultato del 13 giugno sia imputabile ad un fattore generazionale, ad uno scontro fra anziani conservatori e giovani “progressisti”. Sempre secondo il sondaggio di Tamedia, solo il 42% dei votanti con un’età compresa fra 18 e 34 anni ha sostenuto la riforma, a fronte del 50% e del 54% di sì registrati rispettivamente nella fascia d’età fra i i 50 e i 64 anni e fra i pensionati.

La tendenza è chiara: minore il reddito, minore il sostegno alla riforma della Legge sul CO2.

Secondo questi elementi, è dunque chiaro che ad aver rifiutato la legge sono stati principalmente gli abitanti di campagne e periferie, i giovani e i lavoratori con un reddito medio-basso: proprio quella parte di popolazione che la sinistra dovrebbe considerare la propria base sociale, che ha però duramente sanzionato il compromesso liberale sancito a Berna dal “fronte rosso-verde”.

Delusi i Verdi: “è una crisi della democrazia”

Visto il carattere strategico dato dai Verdi svizzeri a questa legge, è ben comprensibile la grande delusione registrata nel partito ecologista in seguito alla sua bocciatura. Il presidente nazionale Balthasar Glättli, intervistato dal quotidiano romando Le Temps, ha addirittura parlato di una “crisi della democrazia”, proponendo di organizzare delle assemblee di cittadini per riunire le città e le campagne (leggi qui): un proposito piuttosto bislacco, soprattutto se proferito da chi ha soffiato sul fuoco della divisione, non solo con la legge sul CO2 ma anche con le iniziative anti-pesticidi che hanno ulteriormente ampliato il fossato tra città e campagna. Parlare di “crisi della democrazia” solo per aver perso una votazione sembra peraltro alquanto pericoloso, lasciando vagamente intendere un’incapacità di giudizio da parte del popolo: significa forse che per i Verdi il suffragio universale potrebbe anche non dover essere sempre garantito?

Per Greta Gysin (Verdi), “ci siamo persi nei dettagli, dimenticandoci del cambiamento climatico”.

Anche dal Ticino le reazioni sono state principalmente di sconforto. La consigliera nazionale Greta Gysin ha così commentato il risultato del 13 giugno: “ora siamo punto e a capo. Abbiamo parlato di economia, abbiamo parlato di socialità, di costi, di numeri, di percentuali. Ci siamo persi nei dettagli. E ci siamo “dimenticati” di parlare del cambiamento climatico, della nostra responsabilità nei confronti delle prossime generazioni e di quanto questo NO ci costerà”. Come dire, il fatto che il progetto di legge non abbia convinto il popolo (proprio in ragione dei suoi costi sociali) sarebbe dovuto alla sua eccessiva concentrazione sui “dettagli” senza considerare il “vero problema”: insomma, pensare alla propria fine del mese sarebbe solo un comportamento egoista e irresponsabile! Meglio avrebbe fatto il “popolino” ad ingoiare la pillola e farsi andare bene questa legge, senza perdersi in fuorvianti calcoli sul suo costo sociale (che questo portale ha invece cercato di chiarire al di là degli slogan da campagna elettorale: leggi qui).

Per il PS, “i grandi inquinatori devono essere ritenuti responsabili”

Deluso anche il Partito socialista svizzero (PSS), fortemente impegnato nella campagna per il SÌ insieme ai Verdi (e ai liberali). Da parte del PSS si riscontra però un maggior spirito critico circa le ragioni che hanno spinto la popolazione a respingere la legge: per i socialisti, “il NO non è da intendersi come un rifiuto da parte della popolazione della politica climatica e degli obiettivi climatici di Parigi, ma un segnale che i grandi inquinatori devono venir ritenuti più responsabili”. La “lezione” sembra essere stata appresa anche dai dirigenti del partito che più si erano adoperati per far approvare la legge in parlamento prima e davanti al popolo poi: secondo il consigliere nazionale grigionese Jon Pult, “quello che serve ora sono regole per la piazza finanziaria, che come fonte significativa di emissioni deve diventare più sostenibile. È qui che noi, come Svizzera, abbiamo la più grande leva d’azione a livello globale. Ecco perché il PS lancerà con altri partner un’iniziativa popolare per una piazza finanziaria sostenibile”. Dello stesso tenore la reazione del capogruppo alle camere federali Roger Nordmann: “invece di tasse causali ora serve anche un massiccio programma d’investimento nella svolta energetica, segnatamente nei settori delle infrastrutture pubbliche, dei trasporti pubblici e delle energie rinnovabili”.

Per l’ex Mister Prezzi, “la situazione dei ceti popolari non può più essere ignorata”.

Al di là di quelle che potrebbero essere considerate delle banali “lacrime di coccodrillo” dei dirigenti necessarie per superare la batosta registrata il 13 giugno, anche da parte di alcuni volti importanti del PSS giungono alcune riflessioni interessanti. L’ex-consigliere nazionale ed ex. Mister prezzi Rudolf Strahm, pur parlando in modo semplicistico di “vittoria della Svizzera conservatrice”, ha riconosciuto in un’opinione pubblicata sul Tages Anzeiger che “abbiamo assistito ad una rivolta dei meno abbienti e della popolazione rurale” (leggi qui). La mortificazione degli abitanti di campagna ha colpito anche i cittadini meno abbienti delle periferie, scatenando una dura reazione: per Strahm, “come in tutta Europa, il sentimento conservatore si sta rivoltando contro l’internazionalismo idealista e il cosmopolitismo accademico”. Rivalutando l’analisi della deputata tedesca Sahra Wagenknecht, che come la Deutsche Kommunistiche Partei si era interrogata sulla natura dei movimento giovanili per il clima (leggi qui), Strahm conclude affermando che “invece di ostracizzare costantemente i “populisti”, forse dovremmo tutti ritornare sui libri. La situazione delle persone a basso reddito e meno istruite non può più essere ignorata”.

Un’ammissione di colpevolezza che risuona anche nelle parole della granconsigliera ticinese Anna Biscossa, già presidente del PS Ticino ad inizio anni Duemila: “Credo che una riflessione da parte del fronte rosso verde debba essere fatta perché concedere troppo o complicare in maniera eccessiva le soluzioni proposte in nome di un’alleanza con questo ambientalismo di facciata borghese fa perdere credibilità e incisività alle nostre proposte. In tal senso ritengo sia, al contrario, molto più importante essere molto attenti e chiari nel coniugare sempre i temi ambientali con i temi sociali, cioè  la promozione e la difesa dell’ambiente con la promozione e la difesa della responsabilità sociale dell’economia, del lavoro, dei salari, della giustizia ridistribuiva”.

Pestoni (USS): “la legge è stata ritenuta ingiusta dai ceti popolari”

Secondo Graziano Pestoni, “ora dovranno essere trovate altre soluzioni”.

Sempre rimanendo in Ticino, una chiara lettura del rifiuto della legge è stata anche fornita da Graziano Pestoni, presidente della locale sezione dell’Unione sindacale svizzera: “La legge è stata ritenuta ingiusta dagli ambienti popolari, già tartassati da altre tasse e contributi quali i premi per le casse malati. Questa legge, infatti, avrebbe introdotto nuove tasse, che solo i benestanti avrebbero potuto pagare senza problemi”. Secondo Pestoni, “ora dovranno essere trovate altre soluzioni”: tra queste, “il potenziamento ulteriore del trasporto pubblico, accompagnato da una riduzione significativa dei prezzi, attualmente tra i più elevati d’Europa”, ma anche “il divieto per le nostre banche e le casse pensioni di investire miliardi nel carbone o altre sostanze inquinanti”.

Soddisfatti i comunisti: “bloccato un progetto antisociale!”

Grande soddisfazione è stata invece espressa dalle organizzazioni progressiste che avevano sostenuto il referendum, capitanate in Ticino dal Partito Comunista. All’indomani della vittoria, il coordinatore della Gioventù Comunista Luca Frei ha affermato: “La battaglia condotta dalle sezioni romande dello sciopero per il clima e dalla sinistra di classe è risultata vittoriosa rispetto a un fronte ecologista che ha abdicato ai propri valori sociali pur di ottenere qualche (misera e presunta) concessione da parte della destra borghese. L’abbiamo detto in campagna e lo ripetiamo ora: la transizione ecologica non deve pesare sulle spalle dei lavoratori, ma deve colpire chi è davvero responsabile dell’inquinamento!”.¨

Zeno Casella ha difeso le ragioni del no alla legge in occasione del dibattito televisivo della RSI.

L’auspicio espresso immediatamente dopo il voto dai giovani comunisti, ovvero “che i Verdi e il Partito Socialista si schierino ora in favore di una più decisa politica ambientale che metta fine agli investimenti della piazza finanziaria nell’energia fossile, allo sfruttamento dell’ambiente da parte delle multinazionali elvetiche e al greenwashing dell’industria svizzera”, sembra essere stato (almeno in parte) esaudito. In proposito, abbiamo interpellato Zeno Casella, membro della Direzione del Partito Comunista e portavoce italofono del comitato referendario di sinistra: “Le reazioni post-voto di alcuni dirigenti del Partito socialista dimostrano la correttezza della nostra analisi in merito alla legge sul CO2: si trattava di un progetto fortemente antisociale che non poteva esser lasciato passare in nome di un’ecologia cieca e indifferente di fronte alle conseguenze sociali di determinate politiche ambientali”. Casella non manca di togliersi qualche sassolino dalla scarpa: “Avremmo naturalmente preferito che tali riflessioni avvenissero prima del voto (ricordiamoci che la legge è stata bocciata con uno scarto ridotto: il ruolo dei comunisti e della campagna referendaria di sinistra è dunque stato cruciale), ma quello che conta è che ora a sinistra inizia a delinearsi una visione comune attorno alla quale sarà possibile confrontarsi e costruire delle lotte condivise: l’iniziativa popolare preannunciata dal PSS sulla piazza finanziaria è sicuramente un primo segnale nella giusta direzione”.