Il movimento degli scioperi del clima promosso da Greta Thunberg, per il totale supporto mediatico di cui gode e per l’accettazione amplissima che gli viene garantita da parte dei governi borghesi che quasi incitano a marinare le lezioni agli studenti pur di farli manifestare, inizia a far sorgere dei sospetti fra i comunisti e gli ecologisti di scuola marxista.
Senza scadere in complottismi vari, il nostro portale già agli inizi del movimento aveva pubblicato un articolo che mostrava alcune problematiche relative alla situazione in Svizzera (leggi) ma questi dubbi stanno ora sorgendo anche altrove. In particolare fra i comunisti europei, che pure continuano a manifestare contro il surriscaldamento climatico, non mancano le perplessità.
Nell’ambito di un dibattito svoltosi lo scorso mese di settembre durante l’Avante Festival di Lisbona, uno degli eventi aggregativi della sinistra più importanti d’Europa, organizzato dal Partito Comunista Portoghese (PCP), Massimiliano Ay, segretario politico del Partito Comunista svizzero aveva già parlato di situazioni “poco trasparenti” e aveva spiegato come i comunisti svizzeri aderissero sì agli scioperi del clima “per stare nelle contraddizioni di un movimento di massa” ma lo facevano con una propria agenda politica indipendente dalle ONG ambientaliste che predicano tesi spiritualiste, scelte alimentari vegane e addirittura la decrescita, una teoria economica che distrugge la sovranità produttiva delle nazioni. A interloquire con Ay vi erano dirigenti dei partiti comunisti di Cuba, Stati Uniti, Portogallo e Germania.
Ora anche il Partito Comunista Tedesco (DKP) informa di una dura discussione avuta in seno al suo Comitato Centrale. Da un resoconto reso pubblico nelle scorse settimane emerge che l’adesione al movimento ispirato da Greta Thunberg non è affatto piaciuto a vari militanti, che lo vedono come un attacco diretto ai lavoratori chiamati alla cassa da un certo catastrofismo climatico che unisce destra e sinistra. Le contestazioni interne alla DKP sono risultate importanti, tanto da necessitare una risposta del presidente del Partito, Patrick Köbele.
La decisione di Friday for Future – il movimento internazionale che ruota intorno alla ragazza svedese – di sostenere una tassa antisociale sul CO2 ha fatto infuriare i comunisti tedeschi. Köbele infatti, nella sua relazione politica, ha subito calmato gli animi ribadendo il No del Partito Comunista Tedesco ad aumenti dei prezzi della benzina e altri balzelli sulle emissioni che vanno a colpire solo le masse popolari e non il grande capitale.
Köbele ha pure rimarcato che la DKP rifiuta le “teorie della rinuncia” o di compressione dei consumi che vanno solo a ledere la qualità di vita e il benessere della classe operaia e che non influiscono in nulla sul budget di industrie e imprenditori.
Questa linea politica è però stata propagandata troppo poco – si è lamentato in termini autocritici il leader comunista tedesco. Il quale ha però spiegato che sarebbe sbagliato voltare le spalle ai giovani in piazza e a un movimento che denuncia una crisi ambientale che comunque esiste. La maggioranza del Comitato Centrale della DKP ha infine votato a favore di questa posizione: i comunisti tedeschi continueranno insomma a partecipare agli scioperi del clima ma insistendo al loro interno contro le teorie estremiste e anti-produttiviste, nonché contro gli eco-incentivi che si traducono in tasse antisociali coperte da una giustificazione “green”.
Köbele ha pure insistito che si faccia capire ai giovani scioperanti che l’ambiente si salva solo superando i rapporti di proprietà e di mercato per favorire invece un modello produttivo più razionale e meno consumistico. In due parole: pianificazione economica!