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L’assemblea dell’ONU voterà sul “bloqueo”. La Svizzera apre una svolta nei rapporti con Cuba?

Il prossimo 23 giugno, all’assemblea generale dell’ONU, si voterà sull’embargo americano contro Cuba, in vigore dal 1962 e inaspritosi notevolmente durante la presidenza di Trump. Un embargo che, soprattutto durante una pandemia come quella da Coronavirus, assume secondo L’Avana i tratti di un autentico genocidio.

La probabilità di colpi di scena è molto bassa. Come nelle sessioni passate, il voto sarà approvato a larghissima maggioranza, con la sola opposizione degli stessi Stati Uniti e di qualcuno fra i suoi più patetici vassalli. Nel 2017 si è tenuta l’ultima votazione, la ventiquattresima, conclusasi con 191 favorevoli all’abolizione dell’embargo, e due contrari: USA e Israele. Ma soprattutto, il voto rimarrà come sempre ignorato dagli Stati Uniti, che continueranno a tenere l’isola sotto il bloqueo (come viene chiamato l’embargo a Cuba), e ad ostacolare chiunque non lo rispetti.

Tuttavia, si tratta di un momento importante per confermare il crescente isolamento degli USA sia sulla questione cubana, sia sull’interpretazione dei diritti umani in generale.

La posizione di Cuba

Qualche tempo fa, il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez Parrilla, si è espresso senza mezzi termini, definendo il bloqueo un atto di genocidio e una massiccia violazione dei diritti umani. I danni finanziari ammontano a miliardi di dollari ogni anno. “Il blocco è una politica crudele, che causa sofferenza alle famiglie cubane ed è stato deliberatamente rafforzato durante la pandemia Covid-19 ostacolando l’accesso a medicinali, forniture e attrezzature sanitarie necessarie” ha detto il ministro. Infatti, nei suoi quattro anni alla Casa Bianca, Donald Trump ha rafforzato l’embargo con ben 243 nuove misure, 55 delle quali introdotte con la pandemia in corso. Tra le più dolorose, la limitazione del turismo americano verso l’isola, e la limitazione delle rimesse degli emigrati. Con l’epidemia di Covid-19, anche la difficoltà nell’approvvigionamento di medicinali si è fatta particolarmente drammatica. Ogni cosa necessaria, dai ventilatori alle mascherine, è difficile da reperire, visto che in pochi, a causa delle sanzioni, sono disposti a vendere o trasportare le merci che servono. Le sanzioni americane, in tempo di pandemia, stanno letteralmente uccidendo molti cubani.

Il ministro degli esteri cubano Bruno Rodriguez Parrilla ha definito il bloqueo “un genocidio”.

Questo gennaio, pochi giorni prima di abbandonare la Casa Bianca, Trump ha inoltre reinserito Cuba nella lista degli Stati “sponsor del terrorismo” (era stata rimossa da Obama), cosa che complica ulteriormente ogni operazione commerciale, ma soprattutto le attività del settore bancario. Ironico, considerando che dalla vittoria della Rivoluzione gli atti terroristici organizzati  dal governo americano sull’isola hanno causato oltre 3000 morti.

L’accanimento contro Cuba è tanto più bestiale se si considera la solidarietà e l’abnegazione con cui il paese ha affrontato la pandemia di Coronavirus. Sull’isola la pandemia è stata gestita con grande successo, al contrario di molte nazioni enormemente più prospere, a partire dagli stessi Stati Uniti. Grazie all’eccellente sistema sanitario, sono stati sviluppati farmaci e terapie efficaci. Inoltre, come è ormai tradizione per il socialismo cubano, squadre di medici sono state inviate in tutto il mondo, ovunque ci fosse bisogno. Anche in Italia. Una richiesta d’aiuto (che non ha avuto seguito) è arrivata persino dal Ticino…

Con lo sviluppo di ben quattro vaccini, la campagna vaccinale cubana si prospetta un successo. Essi  verranno forniti gratuitamente ai paesi poveri che ne hanno bisogno, come già succede in grandi quantità con i vaccini per altre malattie. Mentre l’obbiettivo dei piani vaccinali europei e americani è garantire profitti stellari alle case farmaceutiche, l’obbiettivo della campagna vaccinale cubana è salvare vite e sconfiggere la pandemia. Come si suol dire, nessuna buona azione resta impunita.

Cosa fa la Svizzera?

La posizione della Confederazione verso l’embargo è sempre stata chiara, avendo votato a favore della sua abolizione nelle passate Assemblee dell’ONU. Quest’anno tuttavia la presa di posizione svizzera può essere persino più risoluta. A novembre 2020 in Consiglio nazionale è stato depositato un postulato, adottato nel marzo di quest’anno nonostante l’opposizione del Consiglio federale. Il postulato esorta la Svizzera ad attivarsi in seno all’ONU per aumentare la pressione sul governo americano, al fine di sbloccare le sanzioni anti-cubane. Si propone inoltre di aumentare le relazioni commerciali e finanziarie con l’isola.

La petizione “Unblock Cuba” ha spinto il Parlamento ad adottare il postulato.

Come motivazioni si adducono l’illegalità delle sanzioni americane rispetto al diritto internazionale, come stabilito a più riprese dall’ONU. Sanzioni che hanno vista coinvolta anche la Svizzera, ad esempio nel settembre 2019, quando PostFinance si era piegata ai provvedimenti americani cessando il traffico dei pagamenti con Cuba. Inoltre è ritenuto utile il rafforzamento delle relazioni diplomatiche, visto che Cuba è considerata un interlocutore affidabile. Il governo cubano può ad esempio svolgere un prezioso ruolo di intermediario in caso di disaccordi con altri paesi socialisti.

Che la Svizzera abbia deciso di assumere un atteggiamento più risoluto a difesa dei diritti di Cuba è sicuramente un ottimo sviluppo. Ma dalle parole bisogna passare ai fatti. Il Partito Comunista, sostenitore del postulato, ha dichiarato al riguardo: “Occorre ora che, senza tergiversare oltre, dopo questo voto parlamentare, il Governo federale allestisca subito una strategia per attuare quanto richiesto dal postulato affinché i progetti di cooperazione economica fra Berna e l’Avana possano svilupparsi senza più accettare ingerenze da parte della Casa Bianca.”

Atlantismo e diritti umani

Le speranze riposte in Joe Biden per un cambio di atteggiamento verso Cuba sembrano essere disattese. Il nuovo idolo sbagliato della socialdemocrazia europea è in carica ormai da mesi, ma ancora non ha accennato a togliere L’Avana dalla lista degli “sponsor del terrorismo”. Nemmeno le misure introdotte da Trump sono state toccate. Sulla fine dell’embargo stesso ovviamente nemmeno si discute. Ciò dovrebbe insegnare a tutti, una buona volta, a relativizzare il reale potere decisionale del presidente di turno, in particolare se è anziano e non autosufficiente come Biden. Non sarebbe del resto il primo segno di continuità che l’amministrazione di Biden mantiene con quella di Trump. Basti guardare alla crisi migratoria al confine con il Messico, rinfacciata a Trump in campagna elettorale, ma che con l’insediamento di Biden è solo peggiorata. Oppure la contrapposizione con la Cina, che sembrava un’ossessione personale del tycoon ma che il governo di Biden è intenzionato a proseguire con la stessa determinazione. Quando Trump aveva incolpato la Cina e il famigerato laboratorio di Wuhan dello scoppio della pandemia, venne seppellito di risate. Ma ora Biden sembra intenzionato a ribadire le accuse, vista la sua recente richiesta all’intelligence di “un rapporto definitivo entro 90 giorni” sulle origini del virus. Rapporto che, stando alle dichiarazioni, pare incolperà proprio Pechino. L’ennesimo esempio di bipensiero americano, ma anche del fatto che in America non comanda il presidente ma il deep state. Insomma, se lo “Stato profondo” ha deciso un giro di vite nei confronti di Cuba, non sarà certo il presidente di turno a opporvisi.

Nemmeno sul fronte europeo le prospettive sembrano molto rosee per L’Avana. I paesi europei con tutta probabilità voteranno contro l’embargo anche il prossimo 23 giugno. Ma nella pratica continuano, attivamente o passivamente, a supportare gli Stati Uniti nel loro bullismo internazionale.

A Cuba la pandemia non ha arrestato le manifestazioni popolari contro il “bloqueo”.

Il 23 marzo di quest’anno, nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, si è tenuta una votazione su una risoluzione (promossa da Cina, Azerbaijan e Territori palestinesi) sull’ “impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sul godimento dei diritti umani”. La risoluzione denuncia insomma il sistema punitivo occidentale nei confronti dei paesi che non vogliono piegarsi al diktat euro-americano. La risoluzione è stata approvata con 30 voti favorevoli, due astenuti e 15 contrari. Tra i contrari, oltre ai fedelissimi come l’Ucraina, da qualche anno entrata a far parte del club dei lacchè di Washington, vi sono anche tutti i paesi dell’Unione Europea che hanno partecipato al voto, Italia inclusa. Una decisione, quella del governo italiano, che ha fatto alzare qualche sopracciglio persino nella stampa liberal. Una sbalorditiva ingratitudine sostenere il sistema sanzionatorio di cui Cuba è una delle principali vittime, dopo che Cuba è venuta in aiuto dell’Italia inviando medici nel momento più drammatico della pandemia. Il ministro degli esteri Di Maio si è affrettato a giustificarsi, affermando che la risoluzione non riguardava Cuba nello specifico, e che l’Italia alle Nazioni Unite si esprime contro il bloqueo. Insomma, l’Italia è contro l’embargo a Cuba, ma a favore del sistema sanzionatorio di cui Cuba è vittima. Tradotto in parole povere, l’Italia vuole mantenere lo status quo, e di Cuba se ne infischia. Del resto l’Italia sembra averci preso gusto ad azzannare la mano tesa in aiuto. Ricordiamo come nel marzo 2020, il quotidiano la Stampa se ne esce con una campagna giornalistica menzognera che accusa di spionaggio i militari russi impegnati a Bergamo nel contenimento del Coronavirus. Nel conseguente battibecco con il Ministero della difesa russo, il governo italiano riesce persino a prendere le parti dei giornalisti disinformatori, trincerandosi dietro alla “libertà di stampa”. Il tutto avveniva in un momento in cui Bergamo sembrava la capitale mondiale del Coronavirus, e i video dei camion militari carichi di bare facevano il giro del mondo.

Lasciando stare le figuracce tipicamente italiane, e tornando all’Unione Europea, scopriamo che anche qui, nonostante il voto (probabilmente) favorevole all’Assemblea generale, i segnali sulla questione cubana sono piuttosto allarmanti. Il 10 giugno il Parlamento europeo ha approvato un progetto di risoluzione presentato da alcune fazioni di estrema destra, intitolato “Sui diritti umani e la situazione politica a Cuba”. Curioso come pochi giorni prima della votazione contro il bloqueo, che costituisce una mostruosa violazione dei diritti umani, l’Unione Europea abbia trovato l’occasione per rigirare la frittata e incolpare Cuba stessa. Evidentemente tale risoluzione mira anche a far naufragare l’accordo di dialogo politico e cooperazione firmato con L’Avana nel 2016. Se dovesse avere successo, il voto degli Stati membri contro il bloqueo non sarebbe più di una foglia di fico per coprire la propria ipocrisia.

Anche a Bellinzona è andata oggi in scena un’azione di protesta contro il bloqueo.

Le sanzioni in nome dei diritti umani sono un ossimoro grottesco, perché le sanzioni sono esse stesse un crimine contro l’umanità: non fanno altro che peggiorare le condizioni di vita dei popoli che dovrebbero aiutare, di regola già poveri. Inoltre sono assolutamente controproducenti nello scopo di rovesciare le “dittature” (leggasi “paesi non schierati con l’imperialismo”). I popoli colpiti sanno bene chi devono davvero ringraziare per le proprie disgrazie.

Ma se non altro, le condizioni di vita imposte ai paesi socialisti (o comunque non allineati) tramite le sanzioni, possono essere additate dalla propaganda euro-americana come conseguenza del socialismo. “È colpa del socialismo”: una filastrocca becera ma ricorrente per spiegare la miseria dei paesi sanzionati. È ironico che pur di distruggere ogni sistema alternativo, il capitalismo globale infrange uno dei suoi dogmi più sacri: il libero scambio.

Ridicole sono anche le presunte voci del popolo che esortano l’occidente imperialista a sanzionare il proprio paese. È quanto abbiamo visto fare da Juan Guaidò e Svetlana Tichanovskaja, sedicenti presidenti venezuelano e bielorusso rispettivamente. Le loro esortazioni a sanzionare i “regimi” dei rispettivi paesi non fanno altro che polverizzare il già scarso consenso che hanno in patria. Ma per le democrazie borghesi sono un espediente utile a dipingere il proprio falso autoritratto di combattenti per la libertà.

Per questo il voto del 23 giugno è importante: per fare in modo che quei paesi che con le sanzioni cercano di isolare i propri nemici, siano essi stessi sempre più isolati. Per un mondo multipolare in cui Cuba e i paesi veramente liberi possano proseguire sulla strada da loro scelta.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. Dal 2020 milita nella Gioventù Comunista Svizzera.