L’8 marzo scorso, Edson Dachin, giudice della Corte Suprema Brasiliana, ha annullato le quattro condanne inflitte contro Lula da Silva, già presidente del Brasile per il Partito dei Lavoratori – PT (allora alleato con il Partito Comunista del Brasile – PCdoB) dal 2003 al 2011, emesse dal Tribunale Federale di Curitiba, guidato all’epoca dal noto giudice Sérgio Moro, centro dell’inchiesta Lava Jato, in quanto questo tribunale non aveva le competenze legali per giudicare Lula da Silva.
Grazie a questa nuova sentenza, l’ex presidente socialista, riottiene la totalità dei diritti politici, e potrà ricandidarsi alle presidenziali del 2022 contro l’attuale presidente di estrema destra, Jair Bolsonaro. Attualmente, secondo un sondaggio commissionato dal giornale O Estado de São Paulo (vedi qui), oggi il 50% dei brasiliani voterebbe per Lula, mentre solo il 28% per Bolsonaro, e il 32% per Sérgio Moro.
Fin dai tempi della destituzione di Dilma Rouseff (2016), che aveva sostituito Lula da Silva alla testa del Paese, e del seguente arresto di quest’ultimo (2018), su questo portale denunciavamo i golpe istituzionali e il golpe giudiziario (leggi qui), orchestrati dalla destra brasiliana per far scomparire dal panorama politico due importanti figure della lotta alla povertà in nome della giustizia sociale in Brasile, accusandoli di essere, ingiustamente, il centro nevralgico della corruzione nazionale. Non è un caso se poi lo stesso Moro, sia divenuto, dal 2018 al 2020, ministro della giustizia del governo Bolsonaro.
Scopriamo oggi nuovi elementi a sostegno della tesi del golpe politico-giudiziario. Come rilevato recentemente sul New York Times (non proprio una testata di simpatie socialiste) da Gaspard Estrada, ricercatore presso l’Università di Science Po di Parigi, l’inchiesta di Moro rappresenta il più grande scandalo giudiziario della storia del Brasile (leggi qui). Si è scoperto che Moro usasse un cellulare hackerato per comunicare in segreto con i magistrati dell’accusa le strategie da adottare per incastrare l’ex Presidente, violando così il principio legale della separazione dei poteri tra giudice e magistrato inquirente. Non solo, ma si è pure scoperto che l’accusa veniva periodicamente informata dagli agenti della polizia federale, incaricati di sorvegliare i telefoni degli accusati, in modo da poter indirizzare illegalmente l’operato dei magistrati di Moro. Inoltre, Moro avrebbe dirottato il 50% delle entrate provenienti dalle multe imposte dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti alle aziende Petrobras e Odebrecht, al centro dell’inchiesta, verso una fondazione di diritto privato, guarda caso legata agli stessi magistrati di Curitiba, bypassando così la Costituzione Brasiliana che prevede che quelle entrate siano allocate al budget pubblico.
Come volevasi dimostrare, l’operato di Moro è stato indirizzato essenzialmente da chiari scopi politici, in barba alle regole basilari del sistema giuridico brasiliano. La notizia che Lula da Silva potrà ricandidarsi alle prossime presidenziali, rincuora tutti coloro che lottano in Sud America per la propria indipendenza nazionale, la giustizia sociale e ambientale, e per una vera giustizia!