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Benigni mi vuole zittire, ma io non tacerò

Desolante tristezza ispira la lettura della Costituzione italiana da parte del comico Benigni, il comunismo finisce tra le dittature del Novecento al pari del nazifascismo e la parte fondamentale degli articoli 3 e 4, il secondo comma del primo: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”, e il primo del successivo: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.”, non sono frutto di una canna fumata da De Gasperi, Nenni e Togliatti, anticipatore di Lenon e dei figli dei fiori, come dice Benigni, ma copiatura quasi pedestre della Costituzione sovietica del 1936.

Come la prima parte dell’articolo 3 in cui le persone sono riconosciute come cittadini “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Anche in questo caso era un prodotto della Costituzione staliniana del 1936, non a caso i neri, gli ebrei e gli asiatici in Unione Sovietica erano cittadini a pieno diritto, nel resto dell’Europa fascista, non solo italo-tedesca, ma pure in Polonia, in Romania, in Ungheria prendevano le vie dei lager, dopo quelle del razzismo quotidiano per altro diffuso pure in Francia e in Inghilterra, in Svezia e in Olanda, dove le vignette mettevano sempre i neri con l’anello al naso a mangiar banane insieme alle scimmie. In una sola nazione si sarebbe stati arrestati per una vignetta simile, l’Unione Sovietica. Appunto.

Per chi come me dirige un Centro Studi dedicato allo studio e alla valorizzazione del socialismo è l’amara constatazione che un miscuglio di “valori condivisi” è oggi patrimonio degli italiani e provare a fare chiarezza è una fatica quasi impossibile, forse inutile, totalmente inutile, perché chi non la pensa come Benigni, la pensa come Monti o Berlusconi, cioè pure peggio.
Aggiungo infine che credo che la falsificazione del Novecento voglia impedire di immaginare possibili nuovi percorsi, è evidente che il “comunismo” del Novecento, con tutti i suoi limiti, slanci, successi e contraddizioni non è più praticabile, ma percorsi comunitaristi, contro spreco e consumismo, speculazioni bancario-finanziarie e capitalismo, che molto sarebbero in quel solco, vogliono essere sminuiti con anticipo da chi promuove il pensiero unico, a prescindere dal fatto che sia “in salsa Benigni, Monti o Berlusconi”.
Il mio lavoro è quasi impossibile, ma io lo continuo con una fondamentale certezza, quella per cui solo un mondo solidale ed eco-compatibile è capace di futuro. L’alternativa è una vicinissima autodistruzione, di pochi mesi più tardiva dell’allegro catastrofismo maya. Proprio per questo, nonostante Benigni provi a dirmi che devo stare zitto, io non tacerò.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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