Nelle ultime settimane si sta dibattendo molto riguardo alla campagna “Scuole libere” lanciata dai Giovani UDC, con la quale accusavano erroneamente la scuola di essere di sinistra. La Gioventù Comunista aveva prontamente replicato, sottolineando che l’insegnamento è sì di parte, ma è liberale, in quanto espressione dell’ordinamento sociale in cui esso opera.
Personalmente, sono rimasto colpito dalle reazioni di certi ambiti politici e professionali, i quali negano totalmente l’esistenza delle ideologie nell’insegnamento. Eppure, la scuola è di parte e lo è sempre stata. Esemplare in tal senso erano le analisi di Robert Grimm, socialdemocratico marxista di spicco (di quelli che oggi non se ne trovano praticamente più), che contestava l’insegnamento delle scuole svizzere nei primi decenni del 1900. L’aspetto centrale della sua critica verteva sul fatto che le lezioni di storia svizzera non andassero oltre la Riforma protestante, tralasciando dunque importanti aspetti più contemporanei che permettessero di comprendere la struttura economica e politica elvetica. Ritengo che queste critiche siano, anche se in modo leggermente diverso, valide ancora oggi. Il corso di storia, infatti, raramente va oltre la Seconda Guerra Mondiale: così facendo, però, non si analizza il comportamento poco neutrale della Svizzera durante la Guerra Fredda, fondamentale per comprendere anche l’attuale posizione geopolitica del nostro Paese. Inoltre, scandali come quello delle schedature (quasi un milione di cittadini svizzeri era stato schedato e veniva spiato dalla Polizia Federale soltanto perché di sinistra) o quello della P-26 (un esercito segreto parallelo a quello ufficiale e con funzione anti-comunista) vengono spesso e volentieri completamente omessi dal programma scolastico attuale. Per non parlare dello Sciopero Generale del 1918, importante momento di mobilitazione dei lavoratori represso dall’esercito svizzero e oggi praticamente troppo dimenticato e del fatto che delle storiografie alternative (come quella marxista) o non vengono presentate, oppure vengono ingiustamente ridicolizzate.
Ma gli esempi non si limitano al solo insegnamento della storia. Mesi fa mi era ad esempio stata segnalata una verifica di cultura generale di una scuola professionale del Grigioni italiano, nella quale i vari sistemi politici ed economici venivano semplificati e presentati in maniera così tanto caricaturali da rasentare il ridicolo, come ad esempio: “hai due mucche, lo Stato te le confisca e ti fucila”. Questa e altre del medesimo tenore sarebbero la definizione di comunismo, socialismo, dittatura, eccetera: una vergogna!
Dagli archivi del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) è pure emerso una segnalazione risalente a una decina di anni fa nei confronti di un’insegnante liceale esponente di Comunione e Liberazione (CL) che forniva materiale didattico fazioso, con interpretazioni univoche corrispondenti al proprio credo (certo non di sinistra, cari Giovani UDC!) e che impediva ogni forma di dibattito plurale in classe. A quel tempo nessuno parlò di delazione…
Insomma, l’insegnamento, come qualsiasi altro aspetto della nostra società, non è neutrale e negarlo va contro l’onestà intellettuale. La scuola, che in termini marxisti è una sovrastruttura, è volta a promuovere la cultura politica liberale dominante nella nostra società e a mantenere invariato lo status quo anche fra le nuove generazioni. Criticare quindi, ad esempio, luoghi comuni anti-comunisti nell’insegnamento oppure contestare la faziosità nella didattica di alcuni docenti (che hanno una funzione pubblica, non privata) è dunque legittimo: il dibattito politico è anche questo, e deve essere accettato, se davvero si vuole promuovere una scuola realmente plurale come noi giovani comunisti auspichiamo.