55 anni fa, nel 1965 in Indonesia, fu compiuto un madornale massacro, paragonabile sul piano quantitativo ai genocidi avvenuti nel corso dello scorso secolo, stimabile tra i 500 mila fino ad 1 milione di morti. Furono sterminati membri del Partito Comunista Indonesiano (PKI, che ai tempi era tanto grande da avere un sostegno attivo di quasi il 20% della popolazione), simpatizzanti dello stesso e delle altre forze progressiste,
Gli USA sostennero moralmente e finanziariamente il massacro: tutto regolare. Ovviamente, non se ne parla e non viene condannato a pari degli eventi che si attribuiscono al cosiddetto “socialismo reale”, ai famosi “milioni di morti” di questo o quel paese comunista, su cui ci sono libri, siti web, articoli di giornale, commemorazioni, risoluzioni dell’UE e via dicendo. Anche qui, tutto regolare.
La realtà però è un’altra: il PKI è stato un grande partito che stava favorendo lo sviluppo del paese fin dalla su indipendenza nel 1945. Evidentemente i comunisti indonesiani – che occupavano anche ruoli importanti nel governo indonesiano – ambivano a una maggiore indipendenza del proprio paese dall’imperialismo, e questo non andava bene. Lascia quindi perplessi l’incapacità di rendersi conto della propaganda anti-comunista presente ancora oggi in tutto ciò che ci circonda.
Sukarno, primo presidente della Repubblica, apprezzava i comunisti, e difatti anche lui fu destituito nel 1965: il paese successivamente diventò una dittatura militare fino al 1998 (così come la Corea del Sud fino al 1987, il Cile fino agli anni ‘90, l’Argentina, e altri paesi, alcuni dei quali avevano governi di sinistra o con componenti progressiste molto forti). Durante questo trentennio, la memoria del PKI, del suo consenso, delle sue conquiste e della sua tragica fine fu cancellato dalla memoria di tutta la popolazione dell’isola.
La solita storia, che si ripete poi con altri paesi, oggi con Venezuela, Corea del Nord, e soprattutto Cina, continuamente bombardata di fake-news da noi, come quelle sui presunti campi di concentramento in Xinjiang, con lo scopo di giustificare interventi economici (e militari in futuro?). Basta capire il gioco, poi tutti i tasselli vanno al loro posto. C’è un motivo se l’anti-imperialismo è ritenuta una priorità dai comunisti svizzeri: e cioè la sua profonda capacità di annientare ogni progresso sociale costruendoci intorno un ampio consenso dell’opinione pubblica occidentale, sinistra compresa.
La mancanza di libertà di pensiero, che la stessa sinistra liberal condanna fuori dai confini europei, si rivela in realtà essere la struttura delle società capitaliste occidentali; il consenso è necessario per non dover poi passare alla repressione, di rivolte, proteste, ecc.
Ricordando oggi questo tragico evento, ricordiamo tutta la storia dei comunisti: l’ingloriosa storia di chi lotta per tutti e viene accusato di essere un cialtrone, non riuscendo poi a difendersi e morendo, da martire, per un’idea più grande di ogni uomo. La cosa eccezionale è che dopo tutti questi attacchi, ancora non ci abbiamo rinunciato.