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Iniziativa “per un’immigrazione moderata”: cosa votare il 27 settembre?

Il 27 settembre 2020 saremo chiamati a pronunciarci in merito all’iniziativa “Per un’immigrazione moderata”, che mira in particolare a denunciare l’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC). Gli accordi bilaterali – in particolare l’ALC – sono regolarmente rimessi in discussione; per quanto ci riguarda, noi comunisti ci siamo sempre mostrati critici nei confronti dell’ALC e dell’Unione europea. In particolare, ci opponiamo agli effetti negativi provocati dall’ALC, che instaura un regime di libera circolazione per i cittadini svizzeri ed europei, creando – fra l’altro – un mercato del lavoro unico.

Consapevole della complessità del tema, il Partito Comunista cui aderisco ha dapprima svolto un’importante consultazione interna, durata diversi mesi. Dopo aver sentito le diverse sezioni del Partito, il Comitato centrale ha deciso di accordare la libertà di voto. Sostanzialmente, ci discostiamo con fermezza dalla retorica xenofoba dell’Unione democratica di centro (UDC), ma non assumiamo neanche una posizione acritica verso l’UE e le sue politiche neoliberali.

Nel pieno rispetto della decisione politica del mio Partito – che sostengo, data la delicatezza della questione – intendo esprimere la mia opinione. Certamente, ci sono degli argomenti pro e contro; in particolare, fra i contro, c’è l’incertezza che riguarda il futuro delle misure di accompagnamento. Nonostante ciò, reputo che i seguenti motivi debbano far riflettere:

  1. La denuncia dell’ALC permetterebbe di ridurre la concorrenza fra lavoratori indigeni e i lavoratori dell’UE; l’ALC ha infatti liberalizzato all’eccesso il mercato – in particolare quello del lavoro, mentre altri accordi bilaterali hanno liberalizzato anche gli appalti pubblici – e indotto una concorrenza estrema fra i lavoratori, portandoli a dover offrire la propria forza-lavoro ad un salario sempre più basso. Tutto ciò, senza che le “misure di accompagnamento” riescano a produrre un reale effetto protettivo sui salari.
  2. Né la Svizzera, né l’UE lascerebbero che gli altri accordi bilaterali cadano: essi devono però essere rinegoziati e le misure di accompagnamento rafforzate. Siamo un partner troppo importante per l’UE, e viceversa. Questo ci darebbe l’occasione per rinegoziare questi accordi, questa volta in modo più vantaggioso per la nostra sovranità nazionale, il tutto purché si arrivi a imporre alle autorità di farlo.
  3. Il tavolo delle negoziazioni per l’Accordo quadro con l’UE salterebbe e ciò ci proteggerebbe dall’attuale progressiva assimilazione politica ed economica della Svizzera all’UE, ma anche dagli effetti nefasti dovuti a un’ulteriore liberalizzazione.

La tematica è estremamente complessa, ma il dato certo è che lo status quo dev’essere cambiato. Come è evidente, servono interventi statali sul mercato del lavoro, attraverso modifiche al diritto del lavoro e al diritto degli stranieri. Ma un primo passo sarebbe rimettere in discussione la logica della libera circolazione. E trattare tutti i lavoratori non indigeni, che siano essi dell’UE o di paesi terzi, come i lavoratori indigeni.

Cem Celik

Cem Celik, classe 1995, è uno studente in master alla Facoltà di diritto dell’Università di Ginevra ed è membro del Partito Comunista.