Nel corso dell’ultimo ventennio, nel Canton Ticino, sotto l’influsso delle politiche neoliberali, sono andate deteriorandosi le condizioni dei salariati, i quali hanno visto progressivamente erodersi il proprio potere d’acquisto. Infatti in seguito all’introduzione dell’accordo sulla libera circolazione il lavoratore ticinese si trova in diretta concorrenza con il lavoratore frontaliere. La maggior concorrenza tra lavoratori, le misure di accompagnamento insufficienti e l’assenza di una rigida regolamentazione del mercato del lavoro permettono all’economia privata di livellare verso il basso i salari e di aumentare lo sfruttamento della forza lavoro. Non è dunque un caso che il nostro cantone di frontiera si trovi in una situazione estremamente critica rispetto al resto della Svizzera: il Ticino ha un livello salariale del 14,4% inferiore rispetto alla mediana nazionale e 1/3 della popolazione si trova a rischio povertà.
Questo scenario tocca in particolar modo la popolazione giovanile, la quale si trova infatti sempre più confrontata con forme di lavoro precario e flessibili. A questo nefasto fenomeno si lega indissolubilmente un’altra dinamica sempre più presente tra i giovani ticinesi, ovvero “la fuga di cervelli”: i giovani ticinesi, tra i 20 e i 39 anni, emigrati fuori cantone tra il 2012 e il 2016 erano circa 19’000 (dati Ustat). Fenomeno il quale non pare arrestarsi, infatti, a corroborare questa dinamica, un recente studio commissionato dalla Confederazione dimostra quanto detto sopra: tra i giovani adulti ticinesi, ben il 47% ha dei progetti futuri che contemplano il trasferimento in un’altra regione linguistica della Svizzera e/o altrimenti all’estero. Dato che deve far riflettere la politica e che dovrebbe essere tradotto in misure politiche: a livello federale bisogna abolire la concorrenza intercantonale, la quale, in seno alle politiche fiscali, ha attirato sul territorio delle aziende a basso valore aggiunto venute qui per beneficiare di condizioni fiscali favorevoli e di una manodopera a basso costo.
Pare evidente dunque che occorre un urgente cambio di rotta e un ripensamento radicale delle politiche del lavoro. Come prima cosa, a tutela dei lavoratori ticinesi, bisogna rimettere in discussione l’accordo di libera circolazione e responsabilizzare lo Stato, sia nel rafforzamento dello stato sociale che, e soprattutto, nel ruolo pianificatore dell’economia, rafforzando le misure di accompagnamento e introducendo un salario minimo di 4’000 franchi e per gli apprendisti di 1’000 franchi. Bisogna oltremodo riattivare la ricchezza, investire e pianificare una produzione d’avanguardia in settori innovativi e strategici – come quello delle tecnologie “verdi” e del servizio pubblico – di modo da creare dei posti di lavoro stabili e qualificati, rafforzare l’economia elvetica in un momento congiunturale sempre più difficile e realizzare dunque delle reali prospettive formative e professionali, in Ticino come nel resto della Svizzera! Insomma: più Stato, meno mercato; meno emigrazione forzata, più mobilità sociale!