L’Epoque è un documentario di Matthieu Bareyre proiettato in prima mondiale al Locarno Festival 2018, rassegna internazionale del film giunto quest’anno alla sua settantunesima edizione. Una kermesse che ospita grandi e piccole opere cinematografiche e che si è svolta dal 1° all’11 agosto scorsi nella città affacciata sul Verbano.
Bareyre si addentra nella Parigi notturna per incontrare i giovani e discutere con loro. Gli intervistati parlano della loro vita, dei loro sogni, di cosa li rende felici e di cosa li preoccupa. Nonostante gli attentati terroristici avvenuti di recente, escono e si divertono.
Ciò che più colpisce è il fatto che dalla maggior parte delle interviste si può evincere un sentimento comune: qualcosa a livello politico e istituzionale non funziona e da ciò scaturisce una volontà di cambiamento.
Tuttavia, sembra che i giovani non siano organizzati e non abbiano una strategia d’azione che vada al di là delle manifestazioni in strada e del confronto-scontro con la polizia. Non tutto è da demolire: alcuni riconoscono la necessità di una buona istruzione e la possibilità di migliorare la situazione attraverso il dialogo nelle istituzioni. E tuttavia permane un senso di disagio nei confronti di una società che ha perso per strada la centralità dell’essere umano rispetto alla frenesia del consumismo e della ricerca del massimo profitto.
In una delle prime interviste, un ragazzo racconta il suo sogno ricorrente di dover combattere contro qualcuno. L’avversario riesce a colpirlo, ma lui non arriva neppure a toccarlo. E quando il regista gli chiede contro chi deve battersi, il giovane risponde che non lo sa, non riesce a capire chi è il nemico. Una sorta di metafora di una protesta che appare confusa, non tanto nella sua energia prorompente, quanto per la sua mancanza di organizzazione e quindi di efficacia.
Un documentario molto interessante che spinge a una riflessione sui sentimenti che hanno seguito il periodo degli attentati a Parigi e sul desiderio dei giovani di migliorare il mondo per garantirsi un avvenire meno incerto. Non è vero insomma che i giovani sono disinteressati o apatici, come spesso si tende a pensare, forse hanno solo riconosciuto l’autoreferenzialità in cui troppo spesso finiscono le istituzioni borghesi e le troppe scuse con cui la politica ufficiale volta la faccia dall’altra parte di fronte alla ricerca di nuovi spazi per le nuove generazioni.