Interessante dal punto di vista storico, certo, ma anche molto parziale nell’analisi (che potremmo quasi spingerci a dire di essere persino assente) e infarcito di quel quasi fatalismo che riguarda le generazioni che hanno vissuto il ’68… e che oggi sono “stanche” e non aiutano a formare la cultura politica e la cultura dell’organizzazione fra le nuove generazioni che si trovano nel mezzo di un sistema che non sa più quale posto dare all’uomo.
E’ questo il sentimento che mi frulla in testa uscendo dalla proiezione del documentario “Ora e sempre riprendiamoci la vita” del regista Silvano Agosti proiettato al Festival del film di Locarno.
Certamente emoziona vedere la lotta studentesca di Valle Giulia, ascoltare le note di Paolo Pietrangeli, rivedere un invecchiato Mario Capanna che dalle lezioni su Stalin alla Statale di Milano passa poi a un ecologismo modaiolo nel momento del riflusso.
Quelle fiumane di gente in piazza lasciano un po’ l’amaro in bocca per le sconfitte successive, ma è nel contempo utile vedere che l’impegno politico collettivo era possibile, e dunque lo deve essere tuttora: in modalità diverse certo, ma occorre ritornare a mettere la politica al primo posto (come fa da sempre la borghesia, anche se spesso di nascosto, truffandoci con la comunicazione) perché solo la militanza politica permette una vera emancipazione sociale.
E tuttavia non si può non vedere come soprattutto nell’evoluzione del movimento del ’77 si siano gettate le basi per un’accettazione di valori piccolo-borghesi a sinistra che ha portato la stessa alla sua quasi estinzione odierna, perlomeno nella vicina Italia. La rinascita di un periodo di lotta collettiva oggi parte dalla comprensione degli errori ideologici e organizzativi di quell’epoca, che ha fatto del ribellismo spacciato per anti-autoritarismo l’elemento cardine su cui la società dei consumi e del successivo individualismo si è potuta consolidare.
Il filmato di Agosti però è una ricostruzione parziale e dunque inadatta ad essere proiettata senza una opportuna contestualizzazione: perché ridurre quel periodo storico quasi fosse tutto incentrato sul “Pot.Op.”, il movimento operaista di Oreste Scalzone e Franco Piperno, senza quasi far cenno alle altre correnti della Contestazione, non da ultimi i marxisti-leninisti del Movimento Studentesco milanese e di fatto escludere ogni riferimento al Partito Comunista Italiano, rende impossibile una riflessione articolata su quel periodo.
Il ’68 italiano non è stato solo studentesco, è stato anche operaio: guai quindi a ridurlo a discorsi cervellotici e intellettualoidi, significherebbe non riconoscerne il carattere profondo sul piano di massa e di classe. E il legame fra ’68 e ’77 andrebbe indagato con maggiore cautela, perché differenti erano le rivendicazioni, le modalità e le prospettive. Discutibile infine far emergere unicamente la contestazione sterile del concetto di “potere”, foriera di un pensiero “inutile” a sinistra: è solamente dando un contenuto di classe al potere, infatti, che la società può trasformarsi in senso socialista, non certo rifuggendo romanticamente da esso!
Tutto questo andrebbe discusso a margine della visione del film di Agosti e soprattutto posto di fronte alle sfide del presente.