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Con i curdi a Diyarbakir

A Diyarbakir scorre il Tigri, per gettarsi poi nelle terre lontane poco più di un centinaio di chilometri di Siria e Irak, insanguinate dalla violenza dell’integralismo terroristico. Ieri come oggi grazie al fiume vengono coltivate con abnegazione angurie poderose e dissetanti, capaci di  contribuire a vincere l’arsura estiva. Molti contadini vivono ancora in campagna, spesso in case dall’illuminazione precaria e dai difettosi allacciamenti alla rete idrica, molti altri hanno ingrossato le fila dei cittadini, novecentomila gli abitanti, che vivono in grandi casermoni anonimi di cemento armato, chiamati a rispondere all’urgenza dell’abitare. I contadini di città si svegliano prima dell’alba e in automobile raggiungono le terre da rendere fertili e produttive.

DSC07141Qui vivono molti curdi, rappresentano i due terzi della città e della regione, tuttavia, contrariamente a quanto si racconta spesso in Europa, non vogliono alcuna forma di separatismo etnico, non vogliono finire come la Jugoslavia e ancora meno come l’Irak e la Siria, drammatiche testimonianze di una balcanizzazione del Medioriente, a due passi da loro. Il sostegno militare ed economico dell’imperialismo statunitense ai curdi siriani contro Assad è particolarmente malvisto ed è la prova concreta di una contiguità tra tendenze separatiste e interessi estranei alle ragioni dei curdi, che chiedono piuttosto il rispetto della loro lingua, da qualche anno la toponomastica è bilingue, e della loro cultura, la valorizzazione di tradizioni secolari che fanno di questa terra un luogo plurale, in cui Islam e cristianesimo si sono incontrati oltre quindici secoli fa e in cui le tracce dell’insediamento umano risalgono agli albori della civiltà e al suo primo farsi sedentaria, così come permangono vestigia del tempo sassanide e medievale.

Le antiche e imponenti mura cittadine, edificate dall’imperatore romano Costanzo II alla metà del IV secolo, conservano al loro interno memorie di templi dedicati al sole e altri al fuoco, una storia che affonda le sue radici nei millenni passati. Moschee, spesso sovrappostesi a chiese paleocristiane, palazzi e monumenti, sono tutti costruiti con lo scuro e poroso basalto vulcanico, la sola pietra reperibile nella regione, così che al tono scuro ne aggiungono uno austero, riscontrabile anche nella chiesa siro-giacobita, la sola funzionante in città, distrutta da Tamerlano al suo passaggio ai primi del XV secolo e ancora decorata al suo interno da antiche icone dai colori vivaci e dai tratti profondamente orientali, memoria di un cristianesimo che si riannoda alle origini.

Congresso regionale del Partito Vatan
Congresso regionale del Partito Vatan

Incontro molti curdi e tutti detestano i separatisti etnici, perché le azioni terroristiche che conducono qui e in tutto il paese, con attentati e morti, non solo ostacolano l’affermarsi della pace, ma hanno come diretta conseguenza la militarizzazione del territorio, una stagnazione delle attività economiche e una crisi generalizzata del turismo, come ricorda Tevfik Aritek al contempo intellettuale e imprenditore alberghiero.

Turchi e curdi insieme, per costruire insieme un futuro di pace, questo ha affermato il congresso regionale, affollato e partecipato, del Partito Vatan, di tradizioni marxiste e che si richiama al socialismo scientifico, recentemente convintosi dell’importanza di allargarsi a maggiori settori della società. Il Partito Vatan, presente nella regione negli anni ’90, è stato decimato dagli attentanti terroristici dei separatisti e oggi vive un’importante rinascita, grazie anche al rarefarsi di consenso verso l’HDP (il partito vicino ai separatisti curdi, ndr), che ha enormemente deluso i cittadini per la subalternità alle richieste dell’Unione Europea e la contiguità agli ambienti prossimi all’imperialismo, lo stesso che foraggia il separatismo.

La crescita del Partito Vatan è merito del vicepresidente Utku Reyhan e del responsabile locale Gonul Selahattin, proveniente dal mondo sindacale e con una larga esperienza anche nell’associazionismo sportivo. Al congresso, svoltosi il 21 gennaio 2017, ha partecipato il presidente del Partito Dogu Perincek, con tutta la determinazione e l’entusiasmo delle sue idee, acclamato dai curdi presenti, che hanno inneggiato all’unità nazionale.

DSC07097Perincek, che in gioventù ha vissuto a Diyarbakir quando il padre procuratore qui è stato trasferito, ha tenuto, tra lo sventolio di bandiere rosse, un lungo discorso nel quale ha ribadito come la nazione turca sia formata dai popoli che la compongono, come si debba spezzare la sudditanza agli imperialisti della NATO e in egual modo alle politiche filo-separatiste e antisociali dell’Unione Europea. Ha espresso la necessità di un rilancio produttivo dell’intero paese e del necessario sostegno al settore agricolo, non solo a Diyarbakir, e al commercio al dettaglio, incentivando ancora di più lo scambio con l’Asia e il Medioriente, a partire dalla Cina e dalla Russia, che sono già oggi i primi partner commerciali della Turchia. Ha rivendicato l’urgenza di politiche a sostegno del lavoratori e il rifiuto del presidenzialismo, su cui si voterà un referendum nei prossimi mesi, ha salutato con soddisfazione l’arresto dei golpisti integralisti legati a Fethullah Gülen, auspicando un rapido processo e un percorso di riabilitazione. Anche l’ultimo imperatore cinese Pu Yi – ha sottolineato sorridendo – ai tempi di Mao faceva il giardiniere, tutti possono essere recuperati e tutti possono esprimere liberamente la loro religione, purché dentro un orizzonte contraddistinto dal pieno rispetto della laicità kemalista dello Stato.

La crisi attuale del paese – ha detto – può essere superata solo con un governo di unità nazionale, determinante per ridurre e contenere il potere di Erdogan e del suo partito AKP, solo così si potranno emarginare definitivamente quella sessantina di deputati gulenisti presenti in parlamento, ma già privi di reale potere come tutto il movimento gulenista. Costruire la pace, il lavoro, il benessere, con questa convinzione Dogu Perincek ha salutato i tanti presenti, i militanti del Partito e i dirigenti locali che saranno delegati al congresso nazionale di Ankara a metà marzo 2017.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.