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La Cina a Davos

I santoni del turbo-capitalismo speculativo e finanziario riuniti al World Economic Forum di Davos sono talmente disperati che cercano di tirare, malamente, per la giacchetta per altro maoista, il presidente cinese Xi Jin Ping che sornione sorride.

Le immagini in cui un editorialista del Fiancial Times piagnucola speranzoso di fronte ai microfoni delle televisioni, affermando che “i cinesi difenderanno la globalizzazione contro quel protezionista di Trump che sembra un vecchio comunista”, parole testuali, fa solo sorridere. Perché Xi Jin Ping – riconosciuto da tutti i convenuti come capo di stato della prima economia del mondo – ha tenuto un discorso di ampio respiro in cui ha spiegato che i benefici della globalizzazione debbono portare un diffuso benessere e una ridistribuzione planetaria volta a contrastare le diseguaglianze.

Senza eccedere, visto il contesto, ma ha sottolineato con moderazione, ma fermezza, l’importanza del ruolo del Partito Comunista Cinese nel dirigere l’economia, nell’indirizzarla, nel valorizzare l’occupazione locale – scelta questa che ha fatto, in tutt’altro contesto, vincere le elezioni a Trump. Xi Jin Ping sembrava quasi volesse concludere, ma poi ha rinunciato, ricordando a guru ed espertoni convenuti in terra elvetica che una Associazione di industriali sul modello del Medef francese o della Confindustria italiana in Cina non esiste e mai esisterà, perché l’attività economica è sotto il controllo del Partito nell’interesse di tutti i cittadini, i quali devono essere – e questo lo ha detto – i primi e fondamentali beneficiari della crescita economica e della globalizzazione.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.