1. Una lunga lettera di Obama è stata recapitata ad Abu Mazen, essa contiene 16 punti dal sapore di minaccia. Subito dopo il faccendiere palestinese si inchina in segno di obbedienza e annuncia la ripresa dei negoziati diretti (mai stati interrotti, in realtà). All’annuncio di obbedienza si è messa in moto la macchina dell’opposizione palestinese. Gruppi e singoli hanno dichiarato la loro contrarietà, rendendo note le loro preoccupazioni e annunciando la costituzione di un fronte di opposizione inedita, frutto di alleanze trasversali, con lo scopo di proteggere gli interessi e diritti palestinesi da una prevedibile capitolazione del branco dei negoziatori arabo-palestinesi. Gli attori di questa kermesse delle trattative, tutti, sono con il cappio alla gola e paradossalmente il più forte è Netanyahu che, malgrado il soffocante isolamento di Israele, è colui che detta le condizioni.
Il mondo arabo, i governi “moderati” per intenderci, hanno già rinunciato alla Palestina e sono in procinto di svenderla a tappe ed in pezzi, solo per non suscitare una reazione popolare incontrollata. Essi, come del resto l’ANP, sono impiegati presso il ministero degli esteri USA, protetti e pagati dall’Occidente. Pensiamo a quel che potrà accadere se venissero tagliati i fondi stanziati per pagare gli stipendi dell’ANP? Persino Abu Mazen rimarrebbe a secco e con lui tutti i parassiti che lo circondano. La Giordania soccomberebbe in un attimo, se venissero tagliati gli “aiuti” (grano, armi e soldi), che riceve come “donazioni” in cambio del suo sostegno alle politiche occidentali (israeliane). Inoltre, la Giordania vive grazie alla cassa ed ai soldi destinati ai profughi palestinesi ivi residenti, ai programmi di aiuto e quant’altro l’ONU continua ad offrire,ormai, a metà della popolazione giordana; soldi e programmi che sgravano il governo di questo poverissimo paese da questo peso con enormi riflessi sulla sua fragile ed esigua economia.
In Egitto, come in altri stati arabi, vi è il problema della delegittimazione delle mummie (re o presidenti che siano), del loro stare incollate “alla sedia” a vita, i governanti hanno un vitale bisogno di raffreddare gli animi, di cancellare il pan-arabismo in nome di un presunto interesse nazionale, soffocare la solidarietà con la lotta arabo-palestinese. Essi in cambio del sostegno del club dei paesi forti, hanno eseguito servilmente gli ordini provenienti da oltre oceano, ma pensati in Israele, di attaccare l’Iraq, soffocare e reprimere le forze della Resistenza ovunque nel mondo arabo, partecipare agli attacchi verbali e politici contro i governi disobbedienti, tramare per portare alla disillusione, quindi alla resa, le loro popolazioni considerate e trattate come servitù degli interessi delle potenti oligarchie. E’ evidente che da questi stati/governi non potremmo aspettarci niente di buono per la Palestina né per il resto delle popolazioni arabe.
Gli USA sono in difficoltà nella regione. Hanno già perso una guerra in Iraq con enormi costi, sia materiali, umani, che politici, malgrado il raggiungimento dell’obiettivo di riportare l’Iraq all’era della pietra. Essi stanno perdendo un’altra guerra, in Afghanistan, che si presenta ancor più gravosa, se consideriamo ciò che sta accadendo nel vicino Pakistan, strettissimo e storico alleato di Washington. I generali yankee hanno dichiarato in diverse occasioni, che occorre smuovere la politica ed ottenere un risultato tangibile sul fronte palestinese, per vincere l’ostilità crescente nei confronti degli statunitensi nel mondo musulmano. Ovvero, bisogna uscire con un risultato qualsiasi da queste trattative. La difficoltà di Obama e dei “democratici”, li spingono a ricercare questo risultato anche allo scopo di conquistare i favori della lobby ebraica/sionista e dell’opinione pubblica.
Netanyahu è conscio di tutti questi elementi in suo favore e malgrado l’isolamento ed il discredito di Israele e del suo governo, egli rimane comunque l’attore più forte. Le sconfitte militari e strategiche degli USA in Medioriente, fanno si che Israele rinverdisca la sua rendita di posizione come presidio politico-militare occidentale più importante nel mondo mediorientale. Preservare gli interessi e l’integrità di questa base diventa imperativo. Gli interlocutori di Netanyahu diventano burattini nelle sue mani e questo spiega perché non ci dobbiamo aspettare nulla di buona da queste trattative.
Netanyahu in israele ha bisogno di rompere il suo isolamento e lo sta facendo con il tentativo di screditare i palestinesi. Esso ha posto delle condizioni sapendo che non potranno mai essere accettate, questo nel momento in cui chiede trattative senza condizioni. Riconoscere il carattere ebraico di israele da parte palestinese, rinunciare al diritto al ritorno, smilitarizzare la futura entità palestinese, mantenere il controllo e la presenza di militari sionisti in molti zone palestinesi, non rinunciare a Gerusalemme capitale eterna dell’entità sionista, ridisegnare i confini con conseguente annessione delle zone già colonizzate, risolvere e sistemare il conflitto sul controllo delle risorse idriche e, soprattutto, assicurare la sicurezza dell’entità sionista che si estende al livello regionale, sono condizioni capestro difficilmente accettabili da chiunque, figuriamoci dallo screditato Abu Mazen. Ma se questi non firmerà, sarà licenziato e sostituito immediatamente. Il suo sostituto è già presente e si chiama Salam Fayyad, l’uomo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, messo a capo del “governo amministrativo palestinese” e pedina di fiducia degli USA. Netanyahu mirerà a screditare i palestinesi come fece prima di lui Ehud Barak nel 2000. Questa è la sua unica carta per rompere l’isolamento sionista e far cadere le colpe sui palestinesi. Un film già visto e un meccanismo già collaudato.
Come si evince, tutti gli attori hanno vitale interesse in qualche apparente successo di queste trattative, tranne israele. Per questo Abu Mazen firmerà e se non lui qualcuno altro al suo posto, ma qualcosa verrà sancito, anche se di facciata. Comunque, israele non avrà nulla da perdere.
2. In molti invocano un ruolo più decisivo della UE in queste trattative come se fosse realmente assente. Ignorano o, meglio, vogliono ignorare, l’apporto della UE nel conflitto a sostegno delle politiche e dei crimini sionisti. Basti pensare all’ultimo documento partorito in quella sede, elaborato per “assicurare” e convincere i palestinesi ad accettare le trattative dirette e di come questo, parallelamente, sia stato concordato nei dettagli, con israele. Alla fine il documento è risultato essere privo di qualsiasi elemento di novità importante, se non quello della minaccia ai palestinesi di prosciugare i fondi in caso di rifiuto. Il tanto ventilato e propagandato documento assicurativo europeo non si discosta, quindi, più di tanto dalla succitata lettera di Obama.
Chiedere l’intervento dei governi, come fanno alcuni pacifisti e simpatizzanti arabi ed europei, è vano. Potrebbe essere molto pericoloso delegare loro il raggiungimento della pace in M.O per le ragioni di cui sopra. Dobbiamo, ancor più di prima, essere vigili ed attenti a non lasciare l’iniziativa in mano di lor signori. L’esempio più lampante è stato ben illustrato dalla ritirata umiliante di Obama di fronte alla messa in scena di una linea dura e di scontro con il governo israeliano. Obama ha poi scelto di rifarsi una posizione sulle spalle dei palestinesi.
Due anni per raggiungere la pace definitiva tra i palestinesi ed il sionismo. Saranno trattate le questioni nodali come il diritto al ritorno, Gerusalemme, le colonie, le frontiere e l’acqua. La retromarcia di Obama rende l’attuale posizione arrogante del governo israeliano in posizione forse anche troppo rigida: chiedere il massimo per ottenere il massimo.
Gli israeliani, di destra come di “sinistra”, fanno sapere al mondo intero quali sono gli argomenti trattabili e quali non lo sono, comunicano quali sono i termini dentro i quali si svolgeranno le trattative ed hanno già tracciato i confini e le distanze che risultano incolmabili tra le posizioni. È la logica del prendere o lasciare nella quale, come scritto persino sul quotidiano israeliano Hàaretz, Netanyahu dialoga con se stesso. La sua offerta consiste in qualche miglioramento delle condizioni economiche e sociali di “alcuni” palestinesi. Sui nodi politici essa si articola come segue:
Sul diritto al ritorno in occidente è ormai accettata la posizione israeliana del diniego di tale diritto alla stragrande maggioranza consentendo il ritorno di alcune migliaia nelle terre natali, altri in Cisgiordania e i milioni che vorrebbe che siano naturalizzati cittadini nei luoghi di residenza attuali. Alcuni Stati del mondo hanno già dato la loro disponibilità di ospitarne una parte (il Canada, l’Australia e quasi tutti i paesi europei). Questo dimostra la stortura del diritto internazionale per fini ed interessi di parte occidentali. Ma è un altro esempio di ingiustizia perpetuata ai danni dei deboli.
Gerusalemme non sarà mai restituita, è lo slogan politico accomunante di tutte le frangi sioniste israeliane. Allo scopo gli israeliani hanno allargato i confini della provincia della città che al momento include quasi il 40% della superficie di tutta la Cisgiordania isolando questo territorio dal resto con il muro dell’apartheid e con una cintura di colonie/città. Si è intensificata di recente la pulizia etnica sul territorio e molti dei gerusalemiti non possono più far ritorno alle loro case grazie ad una serie di leggi che mirano a svuotare la città dai propri abitanti autoctoni. Nei quartieri a maggioranza araba viene ammessa una sorta di amministrazione civile palestinese. Non viene presa in considerazione la restituzione delle proprietà palestinesi già confiscate ed utilizzate da soggetti sionisti, case e terre e tutto l’altro non verrà restituito.
Le colonie non sono più illegali e per gli USA e la UE non sono più da smantellare. Ciò vuol dire che saranno annesse a israele con “aggiustamenti territoriali”. Il paradosso che stiamo parlando sempre di terra palestinese espropriata con la forza bruta o con l’inganno che israele, per un atto di generosità, scambierà con l’ANP. I proprietari legittimi si possono dimenticare il ritorno o il risarcimento. La valle del giordano, ricca delle sue falde acquifere e della terra fertile sarà mantenuta sotto il controllo israeliano sia per i motivi appena citati che per motivi di presunta sicurezza. È interessante capire ciò che accadrà nei distretti di Betlemme e di Hebron dove i sionisti hanno interessi di tipo religioso. Gli israeliani hanno costruito una catena di insediamenti lungo la cosidetta linea verde, colonie che stanno diventando città molto popolate che nelle intenzioni israeliani è quello di spingere il futuro confine sempre verso l’interno del territorio cisgiordano. Infine dei conti quel che rimarrà sotto l’amministrazione degli ANP ammonterà a quasi il 50% della Cisgiordania. A meno che la Giordania non accetterà di “donare” un suo territorio ai palestinesi come elargizione per la “pace”. Si parla molto dello scambio territoriale con l’annessione del triangolo settentrionale , (Wadi Ara) al territorio palestinese. Wadi Ara costituisce un problema per i sionisti che dura più di 50 anni. La popolazione si è opposta con forza a tutti i tentativi di “israelizzazione” dei palestinesi del ’48. Per questo motivo gli israeliani hanno sempre visto con favore il loro allontanamento dal “loro territorio- Stato”.
Si studiano progetti, sempre nell’ambito degli scambi territoriali, di allargare il territorio della Striscia di gaza verso sud e verso ovest spingendosi nel Sinai egiziano. Poiché si tratta di una naturale continuità territoriale e demografica (le popolazioni sui due versanti del confine sono imparentate).
Si tratta, come evidente, di condizioni che favoriscono unicamente l’entità sionista e non intaccano minimamente la sua attuale posizione. Il prezzo viene pagato principalmente dai rifugiati palestinesi, che non vedranno mai più le loro terre e dai vicini paesi arabi, che continueranno a doverseli sobbarcare.
La questione del controllo delle risorse d’acqua è stato un motivo principale della guerra del ’78 contro il Libano ed è il motivo principale del fallimento delle trattative di “pace” con la Siria. La Cisgiordania costituisce il terzo più ricco serbatoio d’acqua dopo i succitati territori. Il mantenimento di alcune zone cisgiordane sotto il controllo sionista è imperativo. È un nodo attorno al quale si areneranno qualsiasi trattative serie vista l’importanza di questo bene primario in una regione alquanto povera di acqua.
Al momento non vi è menzione del nodo dei sequestrati palestinesi nelle prigioni israeliane. Questo argomento sembra essere non nell’agenda dell’ANP di Abu Mazen.
Ed è proprio attorno a questi punti ed altri che si sta organizzando l’opposizione palestinese. Gruppi organizzati e non si sono mossi istantaneamente reagendo e condannando la ripresa delle trattative. Ovunque sono presenti comunità palestinesi, si sono tenute conferenze e dibattiti con un inasprimento del linguaggio di condanna utilizzato contro i signori dell’ANP. Non si tratta di gruppi storicamente all’opposizione, ma ci sono settori significativi della stessa Al Fatah, che hanno denunciato per primi il bluff del esecutivo dell’Olp dove hanno votato solo in 5 in favore delle trattative su 18. Abu Mazen non ha legittimità a trattare nulla, è solo un altro burattino in mano ai soliti burattinai.