Cala il sipario sulla fierona dell’Expo e le inesauste trombette del governo italiano proseguono a strombazzare lodi e successi. Negli ultimi due mesi si sono messi in coda con serafica pazienza molti visitatori, portando almeno ufficialmente a raggiungere i numeri milionari promessi dagli organizzatori all’avvio allora incerto dell’Expo. I visitatori, in particolare gli italiani, sono stati indotti alla visita dalla massiccia campagna mediatica e dal ripiegamento comunicativo degli organizzatori che, abbandonato il ridondante e spropositato “nutrire il pianeta, energia per la vita”, hanno ripiegato sul più ragionevole e aderente “il tuo giro del mondo è qui”. Infatti l’allegra girandola espositiva, per chi ha avuto, soprattutto negli ultimi due mesi, l’intelligenza di evitare i mega-padiglioni e le loro file, puntando agli spazi delle aree tematiche, capaci ciascuno di raccogliere una decina di paesi, è stata l’occasione per approcciarsi a popoli del mondo, un’ottima esperienza per gli italiani che conoscono così poco il pianeta.
Di dibattiti e di incontri ve ne sono stati molti, ma nessun ha seriamente affrontato i problemi alimentari ed ecologici della terra, si è infatti preferita la retorica trionfalistica inneggiante ai miglioramenti futuri, sebbene sarebbe stato chiedere troppo sapere quali, e come conseguirli.
La ricaduta dei visitatori su Milano è stata deludente, sia per i locali serali, sia per i ristoranti, nonostante le tante offerte culturali dell’Expo in città, inoltre poco pubblico a luglio e ad agosto anche per la Scala, costretta a star aperta, quasi nessun visitatore per le altre città lombarde che aspettavano, un po’ improvvidamente, un effetto trainante dell’evento milanese. La sbandierata crescita dello 0,1% del PIL italiano dovuta all’Expo è molto dubbia, essendo il lieve incremento generale dell’economia della penisola foraggiato massicciamente dai bassi costi delle materie prime energetiche, a partire dal petrolio, molto più che da situazioni interne.
Un secolo fa le esposizioni universali portavano a donne e uomini dei diversi continenti notizie e culture di popoli lontanissimi e sconosciuti. Nel tempo in cui tutti sul cellulare tengono a portata di mano ogni immagine e informazione di qualsiasi angolo della terra, forse l’Expo – per quanto quella di Milano abbia fatto conoscere il Brunei, la Mauritania e la Corea Popolare a chi nulla sapeva di quelle nazioni – oltre ad autoalimentarsi nel saltapicchiare da una parte all’altra del globo, organizzandosi tra un’edizione e l’altra, ha poco da dire e significare.
Per Milano si aprono invece molte domande sul dopo Expo. I posti di lavoro non c’erano o erano precari e comunque non ci sono più. Lo spazio espositivo è ora dotato di ottimi collegamenti infrastrutturali e ovviamente è oggetto di molte attenzioni. Il rischio è che finisca in qualche progetto speculativo, la speranza, invece, è che possa ospitare il campus universitario, possibilmente interuniversitario, che a Milano manca.
Alla fine, nonostante le tante parole sprecate, anche o forse soprattutto della politica, non solo nazionale, ma anche locale, il bilancio di tanto sproposito non solo espositivo si può dire, senza ombra di dubbio, modesto.