il castello visto dalla città medievale
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Bratislava, Pozsony, Pressburg, tre nomi una città

Per constatare la labilità e l’inconsistenza dei nazionalismi basta sedersi sulla collina sotto il monumento ai sovietici liberatori della città nel 1945, uomini caduti nel nome della libertà e dei valori universali e internazionalisti del socialismo, e guardare la città, il castello e l’ansa del Danubio.

Il fiume, tra modernità e ciminiere
Il fiume, tra modernità e ciminiere

Questa terra, oggi nazione slovacca, ha in Bratislava la sua capitale, tuttavia popoli e storie qui si sommano in una stratificazione che è difficile dipanare, se non nei mattoni delle case: intorno alla città medievale è cresciuta la città ottocentesca, quindi quella socialista dei tempi della Cecoslovacchia e infine negli ultimi venti anni, quella capitalista, decisamente la più brutta e meno significativa. Verso l’aeroporto orrendi centri commerciali chiusi in cuboidi colorati attraggono i giovani, fuori ragazzi rumeni dalla carnagione scura e dagli abiti lisi lavorano anche la domenica e vivono in precarie baracche ai margini cittadini, dietro qualche piccolo bosco, ne ho incontrati alcuni mentre rincasavano oltre un caffè dal nome sovietico, “Kosmos”, richiamo alla corsa al cielo e agli eroi di allora, Gagarin e la Tereskova.

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Bratislava

Bratislava si trova a una sessantina di chilometri da Vienna ed è stata la capitale del regno d’Ungheria sotto controllo asburgico dal 1536 al 1783, dopo la battaglia di Mohács del 1526, in cui l’ultimo sovrano ungherese Luigi II, di origini polacche, morto ventenne sul campo di battaglia, è stato sconfitto dal sultano Solimano il Magnifico. Pochi si ricordano che per tre secoli il potere ottomano ha controllato Buda e Pest e dai minareti cittadini i muezzin scandivano le ore della giornata. Bratislava per altro è un nome inventato nel 1919, per di più con eccessive assonanze nei confronti dell’antica Breslau – Breslavia, allora tedesca e dopo il ’45 polacca col nome di Wroklaw. Quella che oggi è Bratislava è stata per tutti e per secoli, in ungherese Pozsony, in tedesco Pressburg, Posonio e Presburgo in italiano, nomi che dimostrano la presenza in città di austriaci e ungheresi oltre agli slavi che la chiamavano Prešporok, mentre i cechi e i moravi la definivano Prešpurk. Le origini della città sono rintracciate in alcune carte del X secolo in cui si cita Brezalauspurc, ovvero castello del duca di Pannonia Braslav, insediamento segnalato nei pressi della latina Istropolis, baluardo ai confini della romanità, sorta nei pressi di una precedente Gerulata. Poche città al mondo possono vantare una mezza dozzina di nomi. In quanto capitale ungherese ha ospitato per tre secoli il primate che poi era ed è vescovo di Strigonio, che oggi si chiama Esztergom. Da qui sono partiti per il concilio di Trento, a metà ‘500 i produttori di Tokaj, portandolo a papa Medici di Marignano, l’ultimo papa milanese, che lo ha definito un vero “vino da re”, quale lui si riteneva, vino dolce e saporoso, il cui nome, presto celebre, è stato copiato, con “i” breve al posto della “j” lunga, dai friulani per un loro bianco molto più secco. A Bratislava Napoleone ha imposto a Francesco I d’Asburgo la pace di Presburgo del 1805, dopo la vittoria francese di Austerlitz, nome tedesco della cittadina morava di Slavkov u Brna. “Magyar hírmondó” nel 1780 per gli ungheresi e “Presspurske Nowiny” nel 1783 per gli slovacchi inaugurano la pubblicistica patriottica, evidentemente con rivendicazioni anche sul destino della città.

Il castello visto dalla città medievale
Il castello visto dalla città medievale

Popoli e lingue hanno abitato questa terra di scambi, che ancora oggi segna, attraverso il vasto fiume, il confine austro-slovacco, a pochi chilometri da Cechia e Ungheria. Tutto questo può sembrare un gioco di nomi e parole, ma non è così. Bratislava è oggi un luogo ambito dalle multinazionali, che da vent’anni impongono produzioni che poi esportano nei paesi vicini. Si riafferma così, ancora una volta, la clamorosa contraddizione che vede protagonisti lavoro e capitale, mentre gli uomini aprono dispute su nomi e lingue. Tutto ciò conferma che la vera liberazione può venire dall’unione dei lavoratori, non già dall’affermarsi di un gruppo, ungherese, slovacco, austriaco o ceco, rispetto agli altri.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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