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Quale sicurezza in Ticino?

Sinistra.ch intervista Michel Venturelli, noto criminologo ticinese, a proposito della questione sicurezza, un tema, in Ticino, sempre vivo e più caldo. Sovente i fatti di cronaca ricevono un’enorme eco nei nostri media, sempre più tesi al “sensazionalismo”, e sistematicamente gli stessi vengono strumentalizzati politicamente per fini elettorali e propagandistici. I più chiedono maggiori effettivi nelle forze dell’ordine, altri chiedono pene più severe per dissuadere dal commettere crimini; c’è chi addirittura chiede di chiudere le frontiere; d’altro canto, aumentano i casi di abusi commessi dalla polizia.

A cura di Stefano Aurajo

1. Spesso, da destra, la ricetta proposta per una maggiore sicurezza pubblica è la semplice equazione: più effettivi, più sicurezza. Ad esempio, recentemente, il consigliere comunale di Lugano dell’Unione Democratica di Centro (UDC) Tiziano Galeazzi ha proposto al Municipio di Lugano di diminuire gli investimenti nella cultura, e di aumentarli nella sicurezza. Il risultato è sempre quello sperato? È utile, effettivamente, aumentare gli effettivi?

Michel-VenturelliLa proposta non è nuova; già nella california degli anni ’80 c’è stato un aspirante governatore che proponeva di chiudere le scuole per aprire nuove galere.
Il problema è che la strategia repressiva può dare ottimi frutti se e solo se ci sono le risorse necessarie a finanziarla. In Ticino, senza contare le polizie comunali, spendiamo oltre 200 milioni di franchi all’anno, eppure il numero di furti con scasso non cessa di aumentare: +56% in 4 anni non è poco; soprattutto se consideriamo che questi reati impauriscono fortemente la popolazione. Da questo tipo di reato nessuno è al riparo e ciò fa crescere il sentimento d’insicurezza della popolazione e irrimediabilmente la qualità della vita del cittadino diminuisce. In particolare quella delle persone più vulnerabili.
Prima di pensare a una possibile risposta bisognerebbe farsi interprete della teoria della prevenzione generale: essa stabilisce che bisogna trovare un giusto equilibrio tra la certezza e la severità della pena, altrimenti la sanzione è inefficace. Qui ci troviamo nel caso in cui – per molti reati – la probabilità della sanzione è bassissima e la severità troppo spesso inconsistente.
La strategia repressiva sta mostrando il suo vero limite: quello economico. E’ economicamente insostenibile. Quindi nel tempo diventa sempre meno efficace.

2. Più volte capita di leggere o sentire lamentele sul fatto che le pene sarebbero troppo leggere, o almeno non abbastanza pesanti da dissuadere i potenziali criminali. Si tratta di un’argomentazione sostenibile? Crede che una pena più severa ridurrebbe sensibilmente i delitti, come affermano taluni? E, in termini generali, il nostro panorama penale può essere definito blando?

Che le pene siano blande o meno, dobbiamo considerare che le carceri sono sempre al limite della loro capienza e se non troviamo una soluzione a questo problema è inutile inasprire delle pene che poi non saremmo in misura di far scontare. Oggi si parla di risparmiare e di edificare un nuovo carcere. Sono due discorsi che non vanno bene assieme. Per fare un carcere ci vuole una montagna di soldi!
Prima di fare qualsiasi cosa bisognerebbe fare un’attenta analisi della situazione, del contesto e delle risorse a diposizione. Inutile, ad esempio, dire che ci vogliono 200 poliziotti in più se non ci sono neppure la metà dei candidati idonei a ricoprire la carica. Doppiamente inutile se si considera che il materiale umano costa – considerando i risultati ottenuti – uno sproposito. Quanto è costata la mobilitazione a cui abbiamo assistito all’inizio di settembre? Per quanto tempo durerà l’effetto deterrente ottenuto con queste risorse? Con lo stesso dispendio di denaro pubblico, utilizzando un altro mezzo, non saremmo in misura di ottenere di più?
Irvin Waller  (http://irvinwaller.org/fr/) calcola che se si investisse in prevenzione (intesa anche come riduzione del danno) il 10% di quello che si spende in repressione, avremmo risultati migliori spendendo la metà.

3. Storico, nel mondo della criminologia, è il dibattito attorno a quale sia la via più efficace di fronte al bivio tra prevenzione e repressione. A sinistra, in modo particolare, si tende a focalizzare il discorso in caratteri preventivi. Ciò ha effettivamente un valore più strategico, lungimirante?

Non penso che la repressione sia meglio della prevenzione o viceversa. Credo che ci siano situazioni che si affrontano con la repressione e altre con la prevenzione. Spesso si potrebbe usare un mix; per dirla in termini medici, se mi rompo la gamba vado da un chirurgo, l’omopata mi aiuterà a meglio far calcificare l’osso.
Il problema è che in Ticino, per qualsiasi situazione che riguarda l’ordine pubblico, l’aspetto repressivo usufruisce da solo della quasi totalità delle risorse disponibili. Ma c’è di più: in Ticino, incaricata della prevenzione contro il crimine, è soprattutto la polizia cantonale. I risultati di un tale modo affrontare il problema sono sotto gli occhi di tutti.

4. Il Partito Comunista (PC) ha denunciato casi di abusi da parte delle forze dell’ordine del nostro cantone. Dal canto suo, come si dovrebbe per porre un argine a questi episodi? Quale ruolo svolge la formazione dei corpi di polizia? Crede che sia necessaria una maggiore e migliore formazione? In alcuni paesi, peraltro, si è iniziato a testare l’utilizzo di mini telecamere poste addosso agli agenti per monitorare e registrare meglio l’agire dei poliziotti e le situazioni in cui vi è un intervento. I fautori di questa proposta ritengono che ciò permetta di ridurre il numero di abusi della Polizia e pure di il numero di violenze o di resistenze nei confronti delle forze dell’ordine. I contrari invece mettono l’accento sulla privacy, ritenendola un’evoluzione verso una società orwelliana, dove tutti sono spiati e controllati 24/24. Qual è il suo parere a riguardo?

Rispondere a questi interrogativi risulta difficile, data la mancata conoscenza, dall’interno, del contesto relativo alla formazione degli agenti di Polizia. Il discorso è molto ampio. Direi che la sicurezza ha un prezzo in termini di libertà e che prima di fare qualsiasi cosa bisogna capire quanta libertà si è disposti a sacrificare in cambio della sicurezza che si vuole ottenere. E’ chiaro che il prezzo che ognuno di noi è disposto a pagare in termini di libertà dipende dalla propria vulnerabilità. Se la popolazione è vecchia – quindi più vulnerabile – è probabile che la richiesta di repressione sarà maggiore. Ho motivo di credere che parecchi anni fa le percosse fossero frequenti e che il comportamento fosse prevalentemente omertoso (ndr. sorride). Oggi credo che le cose siano cambiate; personalmente penso che nel Corpo ci siano delle “mele marce”, ma non credo che ci siano pestaggi sistematici dopo l’arresto. Per quel che ne è delle percosse durante gli arresti è un’altra storia. Sono curioso di vedere cosa succederà se il Corpo luganese adotterà le telecamere sull’agente. Sono molto favorevole all’impiego della tecnologia nelle missioni repressive perché, permettendo un controllo a posteriori, dovrebbero garantire la sicurezza di entrambe le parti in causa. Secondo me è una bella idea, soprattutto ripensando alle immagini di Genova, quando i poliziotti impedivano ai cameramen di fare il loro lavoro. Per questo direi di fare un test per avere tutti gli elementi importanti sul piatto della bilancia prima di prendere una decisione favorevole o contraria. Ricordo quelli che pensavano che l’eroina di Stato non avrebbe risolto il problema del traffico di strada tra i partecipanti al programma di prescrizione medica di oppiacei testato in Svizzera a partire dalla fine degli anni ’90. Quando dico in Svizzera non includo il Ticino. Prescrizione medica di eroina, testing, canapa ricreativa,…, noi assomigliamo molto di più agli italiani che non agli altri svizzeri su queste tematiche. Al di là dei monti si fanno test, ricerche, innovazioni alla ricerca di soluzioni percorribili. Da noi si fa come nella vicina penisola, quindi come a città del vaticano. E’ così che si ottiene un gran bordello (ndr. ride). Scherzi a parte, l’inclusione degli oppiacei, inclusa l’eroina, ha dato risultati insperati dei quali non ci saremmo accorti se avessimo dato ascolto ai contrari alla sperimentazione.

5. Attualmente si osserva la crescita dei corpi di sicurezza privata, i quali appoggiano sempre maggiormente la polizia, arrivando talvolta quasi a sostituirla, non più, come un tempo, solo in occasione di determinate manifestazioni. A Lugano, addirittura, sono nati i City Angels, che si occupano anche della supervisione del suolo pubblico e dell’appoggio alla PolCom. Recentemente si è inoltre votato sulla possibilità di appaltare a società private la supervisione delle carceri ticinesi. In che modo giudica questa tendenziale e progressiva privatizzazione della sicurezza? Quali insidie potrebbero conseguirne?

La sicurezza privata è un business enorme con implicazioni politico-economiche enormi. Non è però roba da criminologi, bensì da economisti. Io ho un’agenzia di sicurezza dove il termine “sicurezza” indica prevalentemente che partecipiamo attivamente alla difesa di cittadini ingiustamente attaccati dalle autorità. Purtroppo questo è un periodo dove capita che il cittadino sia ingiustamente attaccato da magistrati tanto incarogniti quanto incompetenti che si accaniscono per salvar la propria faccia anche di fronte all’evidenza. Le agenzie come la mia sono però la dimostrazione che la giustizia non è uguale per tutti. Noi emettiamo fattura, e non tutti possono permettersi di pagarne i costi. Ed è proprio partendo dal piano economico che separerei i City Angel da tutti gli altri. Loro non sono mossi dall’incentivo economio; il motore che li muove è evidentemente un altro. Quel che mi piace è che non costano nulla e che dannosi non dovrebbero essere. Quindi, anche se l’effetto dovuto alla loro presenza dovesse essere nullo, almeno non saranno costati nulla. Un buon risultato se paragonato a quanto spesso riescono a propinarci le autorità.

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