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Farsa elettorale in Turchia: la socialdemocrazia si piega agli islamisti. I comunisti non andranno al voto.

Quella che si andrà a svolgere in Turchia oggi è considerata da ampia parte della sinistra del Paese un’elezione farsa. Per la prima volta, infatti, tutti i candidati alla presidenza sono avversari più o meno diretti del Kemalismo, cioè del pensiero repubblicano e anti-imperialista del fondatore della Repubblica laica e moderna Mustafa Kemal Atatürk. Oltre a ciò, è particolare anche la stessa procedura di elezione: la scelta del Presidente della Repubblica di Turchia è infatti solo teoricamente popolare: per candidarsi alla presidenza, in effetti, un cittadino prima di finire di fronte al popolo, deve anzitutto godere del sostegno di almeno venti “grandi elettori”, che corrispondono ai parlamentari in carica. Solo con questo appoggio istituzionale il suo nome potrà figurare in lizza.

La Turchia volta le spalle al kemalismo 

In pratica quella a cui stiamo assistendo è l’ennesima tappa di una “rivoluzione colorata”, promossa però dall’alto e in piena sintonia con Washington, per eliminare ogni riferimento, anche solo simbolico alla lotta di liberazione nazionale, alla Rivoluzione turca del 1923 e al suo leader Atatürk, fondatore della teoria del “Devlet Sosyalizmi” (tradotto: “Socialismo di Stato”). L’adesione a questi principi, a dirla tutta, appare da anni solo un mero formalismo, soprattutto dopo le riforme economiche di stampo neo-liberale e filo-americano degli anni ’90, a cui ha dato il là però lo stesso esercito che nel 1980 impose un golpe reazionario che imbalsamò il kemalismo e lo censurò dei suoi aspetti progressisti.

Tre candidati, una sola idea: svendersi all’Occidente!

Il candidato favorito è l’attuale primo ministro Recep Tayyip Erdogan, islamista di ferro che sapientemente organizza il consenso di massa attraverso forme di clientelismo, un costante bombardamento mediatico e un apparato propagandista che di giorno in giorno ne cambia l’immagine: un giorno litiga con il governo di Israele, il giorno successivo firma invece coi sionisti i più seri accordi commerciali da sempre; un giorno appare favorevole al separatismo etnico, e il giorno dopo invece sfoggia una retorica nazionalista. Erdogan è figlio di quella ideologia chiamata “Sintesi turco-islamica” alla base della dittatura del generale Kenan Evren (1980-1982).

Ihsanoglu fra Clinton e il ministro degli esteri turco
Ihsanoglu al centro

Il candidato proposto in modo unitario dai socialdemocratici del Partito Repubblicano del Popolo (CHP) e dei nazional-conservatori del Partito dell’Azione Nazionalista (MHP) come “opposizione” a Erdogan è invece Ekmeleddin Ihsanoglu. Emerito sconosciuto per la politica turca, Ihsanoglu è il classico candidato tirato fuori dal cappello magico dai vertici dei due partiti parlamentari di “opposizione”: nato al Cairo, in Egitto, il candidato che dovrebbe far sognare il centro-sinistra turco era però fino all’altro ieri segretario dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (ad egemonia saudita!). Un candidato praticamente fotocopia di Erdogan, che ha tutto il sapore di una genuflessione senza condizione dei vertici socialdemocratici e nazionalisti a diktat esterni (è noto che vi è stato un incontro fra il presidente Barak Obama e il leader socialdemocratico Kemal Kiliçdaroglu).

Il terzo candidato si chiama Selahattin Demirtaş, esponente del Partito Democratico del Popolo (HDP), braccio legale del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), organizzazione ritenuta terroristica dalla comunità internazionale e attivamente operante contro l’unità nazionale della Turchia. Demirtas è noto non solo per le sue rivendicazioni scioviniste e separatistiche, ma anche per il suo boicottaggio del movimento di lotta sorto intorno a Gezi Park l’estate scorsa. Demirtas aveva infatti apostrofato in quell’occasione i manifestanti (perlopiù della sinistra laica) di essere dei “golpisti nazionalisti”, auspicando la fine del movimento e sostenendo così indirettamente il regime di Erdogan. Non a caso Demirtas sostiene l’adesione della Turchia nell’Unione Europea. Stando alle dichiarazioni della deputata del HDP Pervin Buldan, fedelissima a Demirtas, al secondo turno appare abbastanza chiaro che i separatisti curdi sosterranno Erdogan, il quale è tendenzialmente concorde con una riforma costituzionale in senso federalista, così da favorire la futura balcanizzazione della Turchia secondo i piani del Pentagono: in una intervista Erdogan si è infatti definito il “viceré del Nuovo Medio Oriente”.

La candidatura unitaria anti-imperialista è fallita

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Il comunista Perinçek sostiene la candidatura di Tarhan

L’ala sinistra della socialdemocrazia, alcuni esponenti della società civile e il Partito dei Lavoratori (IP) avevano promosso la candidatura indipendente di una quarta persona: una donna magistrato, fermamente legata alla tradizione laica, kemalista e contraria all’imperialismo, Emine Ülker Tarhan, dissidente del CHP. Per poterla candidare però occorrevano almeno 20 deputati a suo favore. Solo una manciata di onorevoli si è però annunciata: ciò non dimostra solo l’opportunismo esasperato dei socialdemocratici guidati dal Kiliçdaroglu, che ha abdicato di fronte alle pressioni statunitensi, presentando un islamista filo-americano come candidato di “opposizione”. Ma anche l’incapacità di reazione dell’ala sinistra della socialdemocrazia è ormai palese: come vediamo anche in Europa le correnti critiche nei partiti socialdemocratici (sia nel PD italiano, sia nel PS svizzero) si riducono spesso a mera testimonianza che rinuncia di fatto a fare vera opposizione interna e a costruire rapporti di forza per modificare il corso delle cose (anche perché stando in quei partiti non mancano le prebende).

La sinistra in ordine sparso

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Turgut Koçak (TSIP)

A correre in soccorso ai socialdemocratici neo-islamisti e al loro candidato Ihsanoglu si è esposto, suscitando scalpore, anche il Partito Socialista Operaio di Turchia (TSIP) guidato da Turgut Koçak. Si tratta di una piccola organizzazione marxista-leninista di nicchia, ininfluente sia dal punto di vista elettorale sia dal punto di vista del radicamento sociale, che ritiene però di dover sostenere Ihsanoglu per fermare il “fascismo” rappresentato da Erdogan.

La candidatura di Demirtas viene appoggiata invece da EMEP, il Partito Laburista del deputato Levent Tüzel di orientamento “enverista”, cioè seguace dell’ex-leader dell’Albania socialista Enver Hoxha. EMEP è da sempre alleato organico di HDP, sulle cui liste si presenta per il rinnovo del parlamento. Con lui si sono schierati anche alcuni gruppuscoli di orientamento troskista ed ecologista.

Il Partito Comunista di Turchia (TKP) – che nel frattempo si è però diviso in due organizzazioni come avevamo previsto in questo articolo (leggi) – ha rifiutato di sostenere i due candidati alternativi a Erdogan: il primo perché in realtà è la controfigura dell’attuale premier, il secondo perché vuole dividere il Paese su base etnica a favore della borghesia curda, favorendo così i piani imperialistici sulla regione mediorientale. Di fatto quello dell’ormai ex-TKP è un appello al boicottaggio delle elezioni. Lo ha espresso in modo molto netto Aydemir Güler, secondo il quale “i comunisti non possono conquistare il potere politico appoggiando il centrosinistra e i nazionalisti curdi, due forze che negoziano col sistema che dobbiamo combattere”.

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Una manifestazione di HKP

Non sosterranno nessun candidato nemmeno i riformisti del Partito Solidarietà e Libertà (ÖDP), sezione turca del Partito della Sinistra Europea, benché non vi sia stata una chiara indicazione di boicottaggio. Astensionismo è invece la parola d’ordine che arriva dal marginale Partito della Liberazione Popolare (HKP) che unisce il pensiero di Atatürk a quello di Lenin e si rifà al teorico marxista turco Hikmet Kivilcimli, tanto è vero che osservandone la stampa e le priorità di questi giorni non dedica quasi neanche una riga alle elezioni proesidenziali e, anzi, continua a parlare solo delle lotte operaie che si stanno svolgendo attualmente presso Carrefour.

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La sede di IP

Dal canto suo, invece, il partito comunista più influente del paese, il Partito dei Lavoratori (IP) post-maoista dell’ex-prigioniero politico da poco liberato Dogu Perinçek, non ha espressamente lanciato la proposta del boicottaggio ma, attraverso un articolo sulla stampa firmato dal suo stesso Presidente, indicava come le decisioni siano di fatto già state prese a Washington e che il popolo non dovrebbe concentrarsi su una tale farsa elettorale, quanto piuttosto guardare avanti e costruire nelle piazze il movimento di opposizione per l’unità nazionale contro gli avversari (cioè separatisti ed islamisti) di quella Repubblica sorta nel 1923 dalla rivoluzione anti-colonialista. Questi avversari sono infatti ritenuti da IP la “contraddizione primaria” del momento mentre, pur senza dare indicazioni di voto esplicito, si lascia la porta socchiusa al candidato dei socialdemocratici İhsanoğlu, visto come “meno peggio”.

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