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Cinquant’anni fa veniva ucciso Kennedy, un presidente troppo spesso idealizzato

Il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, assassinato il 22 novembre 1963 in un attentato a Dallas, e che oggi viene dipinto come un’icona progressista dai mass-media e addirittura da parte della sinistra ormai priva di memoria storica, ha al suo attivo quanto segue:

  • La lunga e sanguinosa guerra imperialista contro il Vietnam;
  • L’aggressione armata a Cuba;
  • L’omicidio di Marilyn Monroe, la quale lavorava per il Partito Comunista Messicano informandolo di quanto riusciva a sapere alla Casa Bianca;
  • Poco o nulla sul fronte dell’integrazione dei neri, tanto che la lotta di Martin Luther King sarà ancora lunga;
  • Sostegno attivo delle dittature latinoamericane.

Kennedy è stato la coerente guida del “mondo libero”, ovvero del campo imperialista armato dalla NATO, impegnato non solo a contrastare tutti i movimenti di liberazione nazionale di Africa, in Asia e in America Latina, ma anche a partecipare alla “guerra fredda” contro il campo socialista, capeggiato dall’Unione Sovietica.

Che sia morto in un attentato, 50 anni fa, può dispiacere, come per chiunque venga ucciso, piangerlo però come una grave perdita per l’umanità, è francamente eccessivo, fuori luogo e imbarazzante, perlomeno per chi si riconosce in un pensiero democratico e di sinistra.

La sinistra dovrebbe semmai piangere le donne e gli uomini che in ogni parte del mondo sono morti per le politiche di Kennedy nei suoi tre anni di presidenza, in Vietnam e in Congo, nelle fabbriche tessili indiane e nelle piantagioni di banane guatemalteche e in mille altri luoghi della terra.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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