Dopo la rivolta del mese di giugno contro il governo di Recep Tayyip Erdogan, il popolo turco si sente come i comunardi francesi quando l’esercito di Versailles distrusse la Comune di Parigi. Sono forse stati commessi gli stessi errori nell’identificare l’obiettivo: se da un lato vi era un “rinascimento”, dall’altro c’era un “ancien régime” da sepellire e non solo una persona cattiva da sconfiggere. In Turchia c’era la voglia di costruire, ma su quale base e con quale approccio? Alle masse popolari mancava l’esperienza di lotta per rispondere a tali domande. Così come mancava pure l’organizzazione, d’altronde dopo le repressioni subite nel corso degli anni ’80 e ’90 ciò non era affatto facile.
Chi era organizzato ha saputo resistere
Solo i militanti comunisti e kemalisti, cioè cittadini che facevano parte da tempo di organizzazioni politiche, anche se minoritarie, sono stati capaci di costruire effettivamente una lotta, riuscendo anche a resistere alla violenza poliziesca senza impressionarsi. Il piano della borghesia turca, in parte anche inserita nella socialdemocrazia, che voleva solo “un movimento ‘pacifico’ senza partiti e organizzazioni”, serviva a impedire che vi fossero sbocchi troppo radicali: non organizzazioni rivoluzionarie, ma individualità ribelli, e per di più sempre più consumiste e più “pecore” che esseri umani, anche se con una retorica “rivoluzionaria”. L’opposizione turca, quella organizzata in partiti e movimenti strutturati, non è ancora riuscita a conquistare il potere politico, ma vi è ora un nuovo spirito e un nuovo bilancio sociale da trarre, che può essere riflesso nella scena politica, siccome ci avviciniamo alle elezioni comunali (30 marzo 2014).
Il Partito dei Lavoratori (IP): costruiamo un Fronte Ampio
Secondo gli ultimi sondaggi, il Partito dei Lavoratori (IP) è il partito che più è cresciuto dopo le manifestazioni partite da Taksim. Quantitivamente, esso gode di più di un millione di voti “sicuri” e nel quadro nazionale, la sua percentuale cambia dal 2% (all’inizio delle mobilitazioni) al 5%, mentre in alcune provincie occidentali riesce a raggiungere addirittura il 10%. Questo significa che IP ha già superato il successo elettorale del primo e finora unico partito comunista turco ad entrare il parlamento: stiamo parlando del quasi omonimo “Partito degli Operai di Turchia” (TİP) alle elezioni generali del 1965. Secondo gli ultimi dati, tutti i partiti presenti in parlamento vedono calare il tasso di consensi: il partito più danneggiato è, senza dubbio, il partito di governo (circa -10%), ma esso vincerà ancora le elezioni se i partiti dell’opposizione non riusciranno a raggiungere un accordo per attrarre a sé i partiti e i movimenti sociali extra-parlamentari. Il Partito dei Lavoratori (IP) si fa promotore di questa unità, chiedendo a gran voce la formazione di un Fronte Ampio. Secondo IP “solo un’alleanza nazionale tra i comunisti, i kemalisti, i socialdemocratici e i socialconservatori può sconfiggere il partito di Erdoğan e i suoi alleati razzisti (il PKK), privandoli del controllo della maggior parte dei comuni e dei municipi”. La rilevanza di questo approccio è ben sostenuta dai dati offerti dai sondaggi.
Crisi dei partiti di opposizione parlamentare
Il Partito Repubblicano del Popolo (CHP, sezione turca dell’Internazionale Socialista, partner del PS svizzero), attualmente il più forte partito di opposizione parlamente, gode – stando ai sondaggi – della fiducia del 25% degli elettori. Non è poco, però non gli basta per vincere. Il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), dal canto suo, gode dell’appoggio della parte social-conservatrice della popolazione turca ed è dato al 12%: questo partito non è considerabile oggi quale organizzazione “fascista” o razzista, come spesso viene indicato in Europa: il MHP non ha paragoni con i neo-fascisti di “Alba Dorata” in Grecia, ma dispone oggi di una prassi politica tradizionalista come l’Unione di Centro in Italia e gode di una base molto leale specialmente tra i contadini dell’Anatolia centrale, che sostengono politiche sociali moderate con tratti patriottici, conservatori e tradizionalisti.
Il Partito Comunista di Turchia (TKP) non emerge
Il Partito Comunista di Turchia (TKP) è il più forte fra i gruppi della sinistra radicale (ad esclusione di IP). Ciò non basta però a superare l’1%, quindi ha bisogno di far parte di un’alleanza per conquistare seggi in alcuni comuni. Per questo IP, che ha origine del movimento maoista porta avanti “l’unione di queste forze” che “nascerà dal bisogno ed è l’unica soluzione per segnare il primo passo per la liberazione del Paese dalla dittatura fondamentalista filo-statunitense”, il cui partito, l’AKP di Erdogan, essendo il partito della polizia e dei pubblici amministratori, sta ancora tra il 34% e il 40% – e siccome si parla delle elezioni locali, un’alleanza di fatto è maggiormente realista poiché le differenze ideologiche sono meno rilevanti e il popolo tende a votare per il candidato più forte che si oppone al candidato di Erdoğan.
Con lo scopo di realizzare questo Fronte Ampio, il Partito dei Lavoratori ha tenuto colloqui con i parlamentari di sinistra del CHP e ha fatto un appello ai vari partiti della sinistra radicale fra cui il TKP, nonché alle organizzazioni provinciali del MHP.
Il CHP: “ma perché non votate per noi?”
L’approccio generale del CHP è molto simile a quello del PS in Svizzera, cioè pretendere di assimilare tutte le forze di sinistra e di centro dentro la sua struttura e partecipare alle elezioni come l’unico alternativa al partito di Erdoğan. Questa posizione del CHP è stata sostenuta da alcuni intellettuali (come, ad esempio, il pittore Bedri Baykam) però la realtà è ovvia: se la socialdemocrazia, essendo il partito principale dell’opposizione, si fosse opposta effettivamente e con serietà al governo, le manifestazioni di giugno non sarebbero state necessarie. Peraltro, la sua posizione ambigua riguardo l’intervento militare imperialista in Siria, il suo avvicinamento ai Fratelli Musulmani e la retorica europeista di alcuni suoi parlamentari rendono più difficile la creazione di un “fronte omogeneo” sotto la sua sigla, siccome la maggior parte delle forze di sinistra si oppone sia agli USA sia all’UE.
Alcuni deputati del CHP, a onor del vero, hanno però accolto bene l’invito all’unità del Partito dei Lavoratori, e uno di questi, l’on. Kamer Genç, ha accompagnato la delegazione di IP recatasi nelle provincie orientali per visitare i villaggi curdi e rafforzare la lotta contro la struttura feudale sostenuta sia dal governo di Ankara sia dai separatisti del PKK. Tuttavia un’alleanza tra CHP e IP sembra ancora lontana. Infatti, gli ultimi attacchi dei parlamentari dall’ala destra del CHP alla Rivoluzione kemalista del 1923 sono stati criticati dal Presidente del IP, Doğu Perinçek, che ha apostrofato i socialdemocratici come “un partito distorto”. Bisogna notare inoltre che il leader del CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, non è molto favorevole ad un’alleanza con i comunisti o con i socialconservatori e sta più vicino all’ala liberale-europeista che all’ala socialdemocratica-kemalista moderata del suo partito.
Il MHP: scissioni in vista?
Tradizionalmente il MHP è uno dei rivali di IP. Gli scontri violenti tra questi due movimenti non erano rari negli anni ’70 (quando il MHP si collocava all’estrema destra). Retoricamente turanista (cioè a favore dell’unione dei cosidetti “popoli turcofoni”), il Partito del Movimento Nazionalista è comunque un difensore di una società pluri-confessionale (anche se non laica) e multietnica: infatti, alle elezioni generali del 1996 esso aveva nominato la portavoce della Chiesa Ortodossa Turca, Sevgi Erenerol, come propria canditata al Parlamento. E’ importante notare che il MHP è comunque filo-NATO. Per questo i suoi vertici hanno rifiutato l’unità e hanno deciso di partecipare alle elezioni da soli, accecati da uno sterile anti-comunismo retaggio della guerra fredda. Va però ammesso che alcune strutture locali del partito hanno dimostrato maggiore apertura: la sezione del MHP nel quartiere di Şile a İstanbul ha aderito alla conferenza anti-Erdoğan organizzata dal Partito dei Lavoratori.
Una partecipazione del MHP in un Fronte Ampio appare quindi praticamente impossibile, ma non si possono escludere scissioni alla base.
Il BDP/PKK vuole un accordo con Erdoğan
Essendo un partito contrario alle manifestazioni anti-Erdoğan di quest’estate, definite dal loro co-presidente, Salahattin Demirtaş, quali eventi di carattere “nazionalista, razzista e fascista”, il BDP (che è il braccio legale dell’organizzazione armata separatista PKK) si è trovato isolato dal punto di vista politico. Proprio per questo, il BDP ha dovuto ripiegare, accettando il fatto che “lo spirito di Gezi Parkı è uno spirito democratico” e che “la questione (curda) può essere risolta anche con i kemalisti”. Allo stesso tempo, però, ha fatto il mediatore tra il governo Erdoğan e il PYD (la sezione siriana del PKK) e ha continuato ad appoggiare i disegni di legge del partito di Erdoğan che prevedono il federalismo in Turchia (attraverso una “decentralizzazione amministrativa”) e l’eliminazione dell’unità nella sfera di educazione. Questa ipocrisia del BDP è fortemente condannata dalla sinistra, in particolare dal Partito dei Lavoratori e dal Partito Comunista di Turchia, perciò appare ovvio che esso parteciperà alle prossime elezioni solo con l’appoggio di alcuni partiti minorirari del più insignificamente estremismo di sinistra.
Gli ultra-islamisti: “Erdoğan servo della NATO”
Il Partito della Felicità (SP), per motivi diversi da quelli del BDP (essendo un partito islamico), non ha mai sostenuto le manifestazioni anti-Erdoğan degli ultimi mesi. Tuttavia, ha criticato sia la politica estera che la politica interna del partito di Erdoğan, accusandolo di “essere un servo della NATO” e “importatore di un sistema economico fallito”. Anche se SP ha un certo legame con alcuni gruppi salafiti (specialmente quelli che operano dentro i Fratelli Musulmani), esso si è opposto all’intervento “dell’Occidente e specificamente della NATO” in Siria e ha criticato la privatizzazione delle fonti di risorse naturali e dell’industria pesante volute da Erdoğan. Tuttavia, come abbiamo già menzionato, i legami ambigui di questo partito non lo rendono molto affidabile nell’ottica di un Fronte Unito e, aggiungendo il fatto che non ha un vero consenso “di massa”, nessun altro partito è particolarmente interessato in un alleanza con esso. Si può dire, però, che SP è comunque una forza “negativa” per il partito di Erdoğan per il fatto che usa la stessa retorica e condivide l’approccio “antimperialista” e “antiliberale” della maggior parte degli islamici sunniti in Turchia.
Il TKP: “vi sono due opzioni”
Il Partito Comunista di Turchia (TKP) non ha ancora deciso nulla sulla sua politica elettorale, però alcune delle discussioni dentro il partito vengono riflesse sul suo organo ufficiale, il quotidiano “soL”. Innanzitutto si devono notare i cambiamenti nell’orientamento generale del TKP negli ultimi mesi, verso una posizione più disponibile all’unità rispetto al passato. Infatti nella sua prima dichiarazione dopo la sollevazione a Gezi Parkı, esso ha dichiarato che “la bandiera turca è stata presa dalle mani dei reazionari ed è diventata di nuovo il simbolo dei rivoluzionari” scartando la sua posizione precedente che la considerava “un simbolo usato prevalentemente dai golpisti e dagli ultranazionalisti”. Questo cambiamento del TKP è stato criticato da tanti partiti “comunisti” minori (cioè quelli che seguono il PKK) che l’hanno “accusato” di “essersi avvicinato ai ‘nazionalisti’ del Partito dei Lavoratori”. Il TKP, in risposta, ha affermato che “quelli che pensano di aver condannato la bandiera turca non sanno per quale motivo il nostro popolo è sceso in piazza, non capiscono lo spirito di Gezi Parkı […] la bandiera turca ha un significato molto chiaro nel contesto di Gezi Parkı: come disse il grande poeta comunista (Nâzım Hikmet), essa simbolizza la nostra indipendenza!”
Questa mossa è stata seguita dalla cancellazione dell’articolo che riguarda “l’autodeterminazione dei popoli” nello statuto del Partito, per il fatto che “storicamente questa non è una nozione portata avanti dai marxisti ed è ormai diventata uno slogan degli imperialisti dopo lo scioglimento dell’URSS […] abbiamo già visto che questo è stato il ‘casus belli’ in ex-Jugoslavia ed è stato utilizzato per incitare il fratricidio in Iraq – in questo contesto è ovvio per noi comunisti che ‘l’autodeterminazione dei popoli’ non viene usata per il progresso umanitario” (cit. Kemal Okuyan, membro della Dirigenza Centrale del TKP) .
Si è poi osservato recentemente che alcuni personaggi dentro il Partito, come Ender Helvacıoğlu, considerano seriamente l’appello di IP: “dobbiamo essere realisti: l’unica via per dire la nostra sul futuro del nostro paese è attraverso un’alleanza […] in questo contesto vi sono due opzioni: il Fronte Ampio del Partito dei Lavoratori o il Congresso Democratico dei Popoli del BDP.” Anche se Helvacıoğlu ha lasciato una porta aperta anche per il BDP, nel programma televisivo del giornalista liberale Enver Aysever, il dirigente comunista Kemal Okuyan ha criticato il BDP e i suoi seguaci affermando che “la loro collaborazione con il governo Erdoğan è inaccettabile” e ha evitato di attaccare IP nella sua risposta ad una delle domande provocative del presentatore dicendo anzi: “sarebbe stupido pensare che dobbiamo opporci ad ogni idea portata avanti dal Partito dei Lavoratori, infatti concordo con Doğu Perinçek su alcuni punti”. Questo nuovo approccio dei comunisti rende l’ipotesi di un’unità credibile.
Aytekin Kaan Kurtul