Non è facile comprendere il significato di questo film, e tantomeno scriverne. Uscendo dalla sala si ha l’impressione di aver assistito ad una proiezione piuttosto piatta e pesante nel suo complesso, ma che emotivamente non lascia per nulla indifferenti, in qualsiasi direzione si sviluppino i sentimenti. Pippo Delbono, nel suo ultimo film “Sangue”, porta sullo schermo una storia che incrocia il triste e lento distacco che progressivamente si estende con la propria madre malata, e quella di Giovanni Senzani, ex leader delle brigate rosse in Italia, che sta vivendo un distacco analogo a quello dell’amico regista, vista la malattia della compagna Anna. Il sangue del film, contrariamente alle possibili attese, non è dunque quello del terrorismo degli anni ‘70 in Italia, bensì quello delle due donne legate ai due protagonisti.
Siamo alla fine del 2011, due amici di lunga data – Pippo Delbono e Giovanni Senzani – rispettivamente attore e regista teatrale buddista ed ex-leader delle brigate rosse, si rincontrano dopo che quest’ultimo ha scontato 23 anni di carcere e 5 di condizionale a causa dell’attività terroristica come brigatista a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80. Dopo essersi ricongiunti dopo molti anni, si ritrovano a condividere una situazione familiare difficile e dura per entrambi. Delbono si trova confrontato con la malattia della madre, maestra di scuola elementare e fervente cattolica militante con un dichiarato odio per i comunisti, manifestato in alcune scene del film tra una preghiera e l’altra. Anna, la moglie di Giovanni, si ammala quasi contemporaneamente alla madre di Pippo, dopo aver pazientemente atteso il ritorno del marito per molti anni.
Nonostante gli sforzi dei due amici, le donne muoiono entrambe a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, lasciando i due uomini con un vuoto affettivo difficilmente colmabile. Questa carenza improvvisa d’affetto, fa sì che i due uomini si ritrovino improvvisamente orfani, indifesi e “senza maschera”, come affermato da Senzani nel film. Il parallelismo corre infine tra i protagonisti e la situazione della città dell’Aquila, simbolo della decadenza politica che da diversi decenni caratterizza la vicina penisola e che, come i due protagonisti, è stata ferita dagli eventi e poi abbandonata da una casta politica si è limitata a spacciare promesse.
L’aspetto cinematografico
Il film, girato interamente con il telefonino da Delbono – tranne alcune scene con una telecamera che riprende spezzoni del suo spettacolo teatrale “Cavalleria Rusticana” – è ovviamente più difficile da sostenere e scorre meno fluentemente della realizzazione con camera e strumenti tradizionali, tuttavia l’ottima scelta delle musiche in sottofondo contribuisce a renderlo più fluente. Delbono ha utilizzato in modo proprio questa tecnica di ripresa, in modo tale da creare un’intimità e una forte vicinanza del pubblico lungo il tragitto che sfocerà nella perdita personale affettiva.
Cosa c’entrano le Brigate Rosse?
Pippo Delbono ha aperto la proiezione all’auditorium Fevi chiarendo che il film dispone di un’importante dimensione privata che si mischia con un senso politico. Il film non è a suo giudizio né uno psicodramma, né un’opera narcisistica incentrata sulla propria persona, ma intende parlare della realtà politica attuale e passata partendo da un’esperienza personale.
Nel mezzo della storia recente dei personaggi, che si sviluppa sul lento distacco di un figlio dalla propria madre e – anche se più marginalmente di un uomo dalla propria compagna – vengono fatti alcuni rimandi in prima persona da parte di Senzani all’esperienza delle Brigate rosse. In un’intervista successiva alla proiezione del film, l’ex leader delle brigate rosse afferma come “Sangue” sia un film sui morti che i due amici si portano dentro, quelli che li accompagnano e quelli che si sono lasciati dietro: in qualche modo il percorso del film consente di parlare di vita attraverso la morte.
Gli spunti di riflessione politica sul passato delle Brigate rosse sono sostanzialmente nulli nel film, che è – come già detto – incentrato sulla fase del lutto dei due uomini. Tuttavia Senzani ricorda nelle battute finali del film l’uccisione di Roberto Peci, compiuta in seguito al tradimento della causa brigatista. Il film non è quindi un film sulle Brigate rosse, e non intende dare un giudizio di valore – anche se Delbono ha rimarcato più volte la sua totale estraneità alla violenza – su quella che è stata una pagine comunque importante dello sviluppo politico italiano.
I limiti della pellicola
Il principale limite della pellicola è la scarsa chiarezza logica con cui essa è stata costruita. Come affermato da Delbono stesso in interviste successive alla realizzazione del film, quest’opera è stata caratterizzata dagli eventi intercorsi nella vita dei due protagonisti. Dal teorico obiettivo di fondere due diverse visioni del mondo, si è arrivati ad affrontare insieme un lutto che ha colpito entrambi. E quest’esperienza, che da un lato apre svariate possibilità tematiche nel confronto tra i protagonisti, è finita per diventare l’elemento centrale del film, intorno al quale si sono costruite alcune digressioni sulla realtà politica attuale e sul passato di Senzani, che sono – probabilmente anche per inclinazione ideologica buddista del regista – elementi che si sono manifestati durante le riprese e che non devono avere per forza un nesso logico e riflessivo con il resto del film (come accade anche per le riprese dello spettacolo “Cavalleria Rusticana” dello stesso Delbono). Il pubblico non è stato messo dunque in grado di avere tutti gli strumenti necessari per una buona comprensione del lungometraggio, e ciò ha causato in seguito diverse polemiche e strascichi.
La finta morale
Sulle polemiche generate dai giornalisti rimasti scioccati e scandalizzati alla proiezione stampa, che hanno urlato letteralmente il loro dissenso per la scelta di inserire nel film l’ex terrorista, prendendosela in seguito con chi è vicino a Senzani per questioni ideologiche – ma di certo distante dalla lotta armata – va rimarcato che la scelta di portare sullo schermo un personaggio come Senzani è perfettamente legittima, se si ritiene che possa portare un contributo di valore al film. E visto che vige la libertà artistica, Delbono ha fatto bene a farlo se lo riteneva importante. L’ex-leader delle Brigate rosse è un uomo libero – che ha scontato la sua pena carceraria – ed è portatore di un’esperienza che ha segnato, nella sua contraddizione, la realtà storica italiana e che non può essere elusa come troppo spesso viene fatto. Mentre ai due deputati del Gran Consiglio ticinese che hanno protestato tramite un atto parlamentare per la scelta del Festival mostrano di non aver probabilmente visto il film, o quanto meno di non averlo assolutamente capito, pertanto sia la richiesta di scuse, così come l’invito a cessare l’attività di incentivo alla produzione cinematografica da parte della cineteca svizzera e della RSI, sono totalmente ridicole e ingiustificate. E l’immagine Svizzera, unico obiettivo dell’investimento nella cultura secondo i due parlamentari paladini della giustizia, non viene certo rafforzata da sterili polemiche come quella da loro inscenata.