I giovani vanno a sinistra? Interviene Aldo Brandirali a riportarli sulla retta via.

Figlio di un partigiano antifascista che nel 1945 fu pure segretario di sezione del Partito Comunista Italiano (PCI), Aldo Brandirali lavora giovanissimo come pendolare fra Novara e Milano, dove si occuperà presso la ditta Europhon della catena di produzione dei apparecchi radiofonici. All’inizio degli anni ’60 inizierà la sua attività politica, inizialmente in ambito sindacale come organizzatore di scioperi e agitazioni nella sua azienda e nelle fabbriche vicine. Negli ultimi mesi è stato due volte a Bellinzona: la prima occasione nel novembre 2012 invitato dalla Parrocchia cittadina per l’Anno della Fede, legittimato anche dal sindaco PS Mario Branda che fa gli onori di casa, e la seconda occasione al Liceo di Via Francesco Chiesa durante le Giornate Culturali del marzo 2013. Sinistra.ch ha deciso di ripercorrere la storia di quest’uomo che sembra riscontrare così tanto (strano) successo nel nostro Cantone.

L’adesione al Partito Comunista Italiano

Lavorando come funzionario sindacale presso la Camera del Lavoro di Milano legato al sindacato CGIL, allora controllato dai comunisti, Aldo Brandirali si avvicina sempre più al movimento operaio e al suo partito di riferimento: il PCI, tanto che nel 1962 viene eletto membro della Segreteria Nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italina (FGCI) spostandosi così a Roma assieme al futuro distruttore del PCI, Achille Occhetto. I giovani italiani che lavoravano per i partiti costituzionali a livello dirigenziale non erano tenuti a prestare il servizio militare (che in quegli anni era ancora obbligatorio), ma Brandirali inizia a trovarsi in disaccordo con il suo partito e non ottiene l’esonero dalla scuola reclute: durante il servizio militare a Messina si fa promotore di alcune rivolte “atee” contro gli ufficiali che obbligavano i soldati ad andare a messa. Finito il periodo in grigioverde ottiene un incarico sempre nella FGCI, ma questa volta a livello milanese, dove inizia a lavorare in maniera frazionista contro i vertici del Partito fondando una sua tendenza giovanile dissidente.

La svolta “maoista”

Brandirali contesta al PCI la moderazione e l’insufficiente volontà rivoluzionaria: nel conflitto ideologico fra i comunisti russi e i comunisti cinesi il PCI si schiera con Mosca e ribadisce la propria via italiana al socialismo, una strategia basata sul pluripartitismo e sulla costruzione di una democrazia progressiva. Brandirali, per contro, rifiuta categoricamente queste posizioni giudicate “riformiste” e decide di parteggiare per Pechino. I comunisti cinesi diretti da Mao Zedong contestavano a quel tempo ai sovietici di aver abbandonato la linea politica di Stalin ed essere quindi dei “revisionisti”, ovvero di voler stravolgere il marxismo-leninismo. Brandirali condivide questa analisi: si converte al maoismo e rifiuta di condannare lo stalinismo. Egli abbandona così il PCI e fonda un suo partito nel 1968: l’Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) che pubblica il giornale “Servire il Popolo”. La UCI(m-l) diverrà poi Partito Comunista (marxista-leninista) Italiano, un partito d’avanguardia cui poteva aderire solo chi dimostrava un vero spirito rivoluzionario e che disponeva di 10mila militanti selezionati sparsi per tutt’Italia. “Servire il Popolo”, che per un certo periodo di tempo fu addirittura un giornale quotidiano, non era solo la testata, ma era pure il nome corrente con cui si identificava prima l’UCI(ml) e poi il PC(m-l)I. Un movimento che seppe coinvolgere fra i suoi membri personaggi oggi molto noti come il giornalista Michele Santoro, il cantautore Pierangelo Bertoli, il regista Marco Bellocchio, ecc. Molti di essi oggi sono passati armi e bagagli a destra, ma alcuni di loro furono già puniti ai tempi da Brandirali stesso: Linda Lanzillotta fu espulsa perché si era innamorata con un uomo sposato (contravvenendo alla morale “militante”, oltre che a quella cattolica!), mentre Antonio Polito venne allontanato perché giocava uno sport “borghese” come il Tennis in un circolo di Castellamare di Stabia.

Fanatismo ideologico, il maoismo come religione

Il maoismo di Brandirali è un’interpretazione estremamente dogmatica e settaria del pensiero comunista. Impone ai suoi militanti il culto della personalità, tanto che alle manifestazioni di piazza lo slogan urlato era addirittura “Stalin – Mao – Brandirali”. Nell’ UCI(ml) i militanti si sposavano fra di loro con tanto di riti para-religiosi celebrati dal leader politico, i cosiddetti “matrimoni comunisti” e la scelta di povertà tanto ostentata era solo un modo per Brandirali di controllare meglio i propri adepti che regalavano al partito tutte le loro proprietà. Del pensiero di Mao Zedong in realtà c’è ben poco, al di là forse della retorica (anche quella peraltro piuttosto imprecisa), tanto è vero che anche Pechino preferisce tenere relazioni con altre organizzazioni in Italia, piuttosto che la setta di “Servire il popolo”, a dimostrazione dell’assoluta rappresentatività nulla di questo partito creato ad arte come strumento per delegittimare i comunisti e la sinistra e rendere l’ideale socialista né più né meno che una farsa. E questa farsa viene invece presentata al liceo di Bellinzona agli studenti e nella sala di Palazzo civico alla cittadinanza come fosse qualcosa di serio, di veramente identificativo con la sinistra. Il messaggio è chiaro ed è politico: i comunisti e i socialisti rivoluzionari sono dei pazzi, l’unica sinistra che si può tollerare è quella liberale e socialdemocratica!

Dal maoismo all’integralismo cattolico

Alla fine del 1975 Brandirali si rende conto che l’estremismo sta raggiungendo limiti estremi: iniziano infatti contatti con le Brigate Rosse e il rischio di finire nella lotta armata lo spaventa. Decide così di sciogliere il Partito, spiegando ai suoi compagni che “tutto il discorso marxista–leninista non regge, la scelta extraparlamentare finisce con l’estremizzare a tal punto il senso dell’azione che si rischia il passaggio alla violenza”. Strano per uno che fino a pochi anni prima, nel 1972 nell’opuscolo “Sulla via dell’insurrezione” scriveva frasi del tipo: “il nostro primo obiettivo è l’instaurazione della dittatura del proletariato, la nostra strategia rivoluzionaria è fondata sulla via insurrezionale” e “il principio della lotta armata per l’instaurazione del potere proletario è una verità universale”, polemizzando così contro i comunisti del PCI che invece relativizzavano questa strategia e si riconoscevano al contrario nel contesto democratico italiano. In realtà, in fondo, vi era coerenza e oggi tutto torna: Brandirali non era marxista-leninista, ma un provocatore inserito nel movimento comunista italiano per spaccarne l’unità d’azione, così da confondere i militanti e indebolirlo definitivamente nel confronto storico con la Democrazia Cristiana. Il Congresso del PC(ml)I è sconcertato dall’abiura e Brandirali viene espulso. Espellere il leader però non aiuta quello che più di un partito era una setta religiosa basata su un dogma e non un partito marxista dialettico, e dopo altre spaccature il gruppo finisce per sciogliersi poco tempo dopo. Il trauma del “tradimento” del loro profeta Brandirali porta alcuni militanti addirittura al suicidio. Il guru del finto maoismo italiano inizia poi un percorso vieppiù esplicito che lo porterà a incontrare don Luigi Giusanni, il leader della setta integralista cattolica “Comunione e Liberazione” (CL).

Al soldo di Berlusconi

Passato defintivamente anche dal punto di vista dell’immagine a destra, Brandirali dopo una fase nella Democrazia Cristiana, entra sotto l’ala protettrice di Silvio Berlusconi in Forza Italia e poi nel Popolo della libertà, i partiti di proprietà dell’imprenditore milanese ed esponente della loggia massonica deviata “Propaganda 2” che prenderà il potere in Italia nel 1994 rovesciandone i principi costituzionali e portando il partito erede dei fascisti mussoliniani al governo. Il leader di “Servire il popolo” viene nominato consigliere comunale a Milano, carica che ricopre tuttora, e dal 2001 al 2006 sarà pure assessore della giunta esecutiva della città meneghina con lauti guadagni e privilegi tipici della casta partitocratrica italiana, alla faccia della scelta di “povertà” di cui si riempie la bocca in tutte le sue conferenze.

Propaganda contro la sinistra

A conclusione delle sue elucubrazioni il ciellino berlusconiano mai stato comunista ma che si inventa un passato di rivoluzionario per meglio impressionare la gioventù da indottrinare afferma che grazie a lui, di fatto, gli italiani capiscono la crisi della pretesa scientifica del socialismo: la teoria scientifica, infatti, non conoscerebbe la fragilità e la contraddizione dell’uomo, che insomma si deve abbandonare alla fede in Dio. E da ultimo Brandirali ringrazia pure il Padreterno per aver distrutto la sua organizzazione. Un delirio spacciato per conferenza ad alto valore intellettuale dall’intellighentzia svizzero-italiana. Accanto a Brandirali, nell’evento presso la sala di Palazzo Civico a Bellinzona (dove nel 2009 per ironia della storia si è celebrato il Congresso del Partito Comunista ticinese), vi è pure un altro di coloro che hanno abiurato i valori della sinistra: l’avvocato di simpatie leghiste Tuto Rossi (ex-consigliere comunale bellinzonese per il defunto Partito Socialista Autonomo, la scissine leninista del PS del 1969) che – dice – nella sua militanza ha sempre privilegiato il contatto diretto con la base e che ammette come la “utopia socialista di sradicare lo sfruttamento la lotta di classe” sia fallita, constatando la facilità con cui i dirigenti socialisti e comunisti “si convertono alle lusinghe del potere”. Niente male detto da una persona che proprio in quota socialista (!) entrò nel Consiglio di Amministrazione (lottizzato!) di BancaStato, finendo accusato di amministrazione infedele per un buco finanziario di oltre 20 milioni di franchi. Lo ripetiamo: invitare Brandirali (accompagnato da Rossi e Branda) per parlare della “fine delle ideologie” non è altro che una mossa propagandista della destra e del clero ticinese contro il sentimento giovanile tendenzialmente favorevole verso la sinistra e i comunisti perché non vi è assolutamente nulla di scientifico in quanto ascoltato a Bellinzona nelle due occasioni citate: prendere come esempio “Servire il popolo” come esperienza progressista e comunista è a dir poco scabroso, una farsa che viene dipinta invece come una realtà politica veramente identificativa di quell’area politica: tutto fa brodo per dipingere i comunisti e i socialisti rivoluzionari come dei pazzi, inaffidabili e pericolosi. Ma per indottrinare i giovani bisogna affidarsi a personaggi impresentabili come questi, significa che la borghesia ticinese non sa che pesci pigliare…

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