Da qualche ora lo storico Partito Comunista Francese (PCF), che dopo quello italiano, è stato in passato il più forte e influente partito comunista d’Occidente, ha concluso i suoi lavori congressuali. Da tempo, però, il partito che rappresentava le istanze rivoluzionarie della classe lavoratrice francese, si trova ormai in una situazione di crisi. Nonostante rimanga un partito popolare ancora molto ancorato sul territorio con sezioni ovunque, sedi territoriali e sindaci in numerosi villaggi e comuni francesi, anche nella fase preparatoria a questo Congresso il PCF non ha potuto fare altro che registrare un calo di quasi il 20% delle tessere rispetto all’ultima assise del 2008. Nei congressi di livello inferiore (di sezione e di federazione) che preparano la discussione finale al Congresso nazionale, inoltre, si è registrata una partecipazione al voto dei vari documenti politici del 30%: il 70% degli iscritti quindi risulta rassegnato e non ritiene nemmeno più di dover partecipare alle assemblee.
La “mutation” ha indebolito il Partito
Il malcontento della base deriva soprattutto dalle scelte adottate dalla Direzione nazionale del Partito, che da anni progressivamente opera per rendere il PCF una forza politica socialdemocratica, rinunciando a ogni elemento che sia anche solo lontanamente di rottura anti-capitalista. Il revisionismo ideologico all’interno del PCF è certamente iniziato da tempo, ma è nel corso degli ultimi due decenni, soprattutto, che è stato effettivamente teorizzato dai propri dirigenti (con Robert Hue in testa) attraverso il concetto di “Mutazione” (“Mutation”), tramite il quale si è deciso di abbandonare man mano le categorie analitiche marxiste e della lotta di classa per favorire una “sinistra plurale”, genericamente “anti-liberista” a sinistra della socialdemocrazia ma molto spesso subalterna politicamente ad essa. Ancora di recente il PCF ha dimostrato di aver perso la bussola: ha sostenuto la controrivoluzione filo-americana in Libia, perora la causa della balcanizzazione della Turchia, dell’Irak e della Siria con l’appoggio ai separatisti curdi armati dall’Occidente, sostiene la teocrazia del Dalai Lama contro i comunisti cinesi, e ancora di recente ha quasi giustificato la guerra neo-colonialista in Mali dell’Eliseo guidato dal “socialista” François Hollande.
Addio alla falce e al martello
Tale linea è visibile sia su aspetti simbolici sia su questioni di fondo. La nuova tessera 2013 del PCF, con disappunto dei militanti, non presenta più da nessuna parte il simbolo storico della falce e martello, che viene sostituita da una stella stilizzata che altro non è che il logo della Sinistra Europea (SE), di cui il PCF è membro. La SE è un’organizzazione dei partiti di sinistra finanziata dalla Commissione europea usata – con la scusa dell’unità – per liquidare l’identità marxista dai partiti comunisti che ancora esistono in Europa. E proprio sulla SE la segreteria nazionale dei comunisti insiste, con un passaggio del documento congressuale in cui la questione dell’UE viene messa via in modo sciatto e imbrogliando con le parole i delegati: in pochi hanno infatti realizzato l’aggiunta di una frase che rende la SE un elemento essenziale per le prossime elezioni. Pierre Laurent, riconfermato presidente nazionale del Partito, nella sua relazione conclusiva, ha chiarito come il PCF debba rompere con tutto ciò che fa anche solo ricordare l’idea di comunismo del 20° secolo, dimenticando forse che proprio quella tradizione marxista-leninista ha permesso alla Francia di conquistare la democrazia contro i fascisti. Tutti gli esempi di “nuovismo”, peraltro, hanno coinciso semplicemente la liquidazione dei partiti rivoluzionari e la loro socialdemocratizzazione, ma sembra che in Francia ciò non faccia paura, almeno alla burocrazia di Laurent, che sta portando il partito al collasso.
Prove di liquidazionismo?
Oltre a ciò la nuova tessera dei comunisti francesi porta su di sé la scritta “L’essere umano prima di tutto!”, uno slogan assolutamente banale e vuoto, privo di quella connotazione di classe che i militanti comunisti si attendono e per di più copiato dallo slogan del programma elettorale del Front de Gauche (FdG), il cartello elettorale composto da comunisti, indipendenti e socialisti di sinistra. Il FdG è sicuramente una soluzione interessante per favorire l’unità d’azione e costruire un migliore rapporto di forza elettorale, tuttavia esso non è mai stato democraticamente stabilito da un congresso dei comunisti francesi, ma imposto dall’alto. Secondo alcuni la Direzione di Pierre Laurent è quella di gradualmente sciogliere il PCF all’interno del FdG, rinunciando del tutto anche alle ultime reminiscenze di marxismo e a ogni ipotesi di indipendenza dei comunisti dalle forze socialiste. E questa ipotesi viene corroborata dal punto di vista del radicamento territoriale del Partito: la centrale del partito ha infatti rifiutato di inserire nel documento politico un riferimento all’organizzazione di cellule militanti come proposto dalla minoranza.
Non mancano le resistenze
Ma nel PCF vi sono ancora numerose sacche di resistenza popolare alla strategia imposta dalla Direzione: esse si concentrano in alcune federazioni, come i comunisti parigini del 15° distretto, nelle sezioni giovanili, ma anche in piattaforme programmatiche, oseremmo dire vere e proprie correnti nazionali interne al Partito che lavorano per frenare le derive opportuniste dei vertici e per restituire il controllo dello stesso ai militanti di base. Fra queste si segnalano in particolare non solo la corrente “Viva il PCF” fortemente critica verso il FdG e ispirata ideologicamente alla riscoperta del marxismo-leninismo, ma anche una corrente più moderata, “Far vivere il PCF” pur sempre orientata però alla rivalorizzazione dell’identità comunista. Altri invece hanno preferito abbandonare il partito costruendo organizzazioni come il Polo di Rinascita Comunista (PRCF) e l’Unione dei Rivoluzionari Comunisti (URCF), che tuttavia restano marginalizzate nel dibattito politico francese. La possibilità per salvare il PCF dalla sua agonia assistita sta tutta nei lavoratori e nelle fasce popolari ancora iscritte al Partito e a tutti i comunisti non organizzati, affinché elaborino la strategia adeguata per riprendere il controllo politico dell’organizzazione.