Manifesto dello sciopero del 2002

A dieci anni dallo sciopero, le cave ticinesi ancora in fermento

Manifesto dello sciopero del 2002

Nel 2002 (leggi) furono parecchi gli scalpellini che aderirono allo sciopero generale del settore edile che chiedeva un prepensionamento a 60 anni. Un anno dopo, la lotta dava i sui frutti ed il prepensionamento è diventato realtà anche per le cave ticinesi.

Tuttavia, a dieci anni di distanza, il padronato del granito e l’Associazione Industrie dei Graniti Ticinesi (AIGT) contestano l’importantissima conquista. Per tramite di uno studio legale, l’AIGT ha inoltrato un ricorso alla SECO contro l’assogettamento degli scalpellini al Contratto Nazionale Mantello dell’edilizia (CNM). Tale ricorso riporterebbe ad una situazione antecedente la Prima Guerra mondiale che non contemplerebbe dunque un Contratto Collettivo di Lavoro del granito (CCL-Ti).

La disdetta unitalerale del CCL-Ti, che fungeva da complemento al CNM, aveva già lanciato i primi segnali d’allarme ad inizio anno. Con il ricorso inoltrato a fine agosto, gli imprenditori hanno anche lanciato una dichiarazione di guerra dove non c’è pace sul lavoro che tenga. Non avere un CCL significerebbe infatti perdere: salari minimi, tredicesima, regolamentazione degli orari, una settimana di vacanza ed il pensionamento anticipato a 60 anni.

Gli operai delle cave fanno un lavoro molto duro e pericoloso per la salute. Un lavoro fisico che, fino all’anno scorso, prevedeva delle discrete condizioni di lavoro: 42.5 ore di lavoro in media alla settimana, una salario minimo di 25 Fr.- all’ora, una buona copertura contro le malattie e gli infortuni professionali, ecc.

D’altra parte il granito estratto in Ticino è destinato al mercato dell’edilizia svizzero: sia quello abitativo che delle infrastrutture. Il patrimonio di questa materia prima deve essere difeso preservando l’ambiente e la qualità del lavoro, come anche permettendo agli operai di eseguire le loro mansioni nel migliore dei modi e con delle ottimali garanzie lavorative.

Nei prossimi mesi bisognerà quindi lottare per garantire l’assogettamento degli operai delle cave al contratto degli operai edili (CNM) ed ottenere un CCL-Ti migliorativo. Dopo mesi di trattative infatti, non solo nessun risultato tangibile è stato raggiunto, ma addirittura, mediante un ricorso, si è giunti ad un ulteriore attacco contro il decreto d’obbligatorietà generale del CNM. Il rischio reale è che, anche nel settore del granito, si arrivi ad una giungla della mala-edilizia.

La strada della lotta risulta pertanto il solo cammino percorribile, secondo i sindacalisti. Riuniti in assemblea congiunta a metà settembre, gli operai delle cave ticinesi hanno approvato una risoluzione che rivendica chiaramente il ripristino dei dispositivi contrattuali. Al fine di ottenere quanto richiesto, i lavoratori hanno votato lo stato d’agitazione: “si dia mandato alle organizzazioni sindacali UNIA e OCST affinché siano messe in atto tutte le misure d’informazione e di coinvolgimento delle maestranze necessarie. Si autorizzano espressamente i sindacati UNIA e OCST di organizzare tutte le misure di lotta necessarie per raggiungere gli obiettivi” – così si legge nella loro risoluzione.

Sul fronte politico si è mosso anche il Partito Comunista che commenta: “il padronato del granito non può permettersi di giocare con la vita degli operai e le loro famiglie. Dinnanzi ad un attacco frontale di tale entità, i lavoratori devono rispondere con la stessa moneta minacciando con convinzione lo sciopero, anche prolungato”.

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