La scelta delle pellicole in Piazza Grande per il 65° del Festival del Film di Locarno è stata forse il punto a sfavore di questa edizione. Certamente la Piazza rappresenta la sezione più complessa sotto il punto di vista del saper coniugare qualità cinematografica e attrattività della proposta, visto che deve riuscire a raggiungere un pubblico vasto per riempire gli 8’000 posti a sedere e per far vivere al festival anche a chi non si abbona e non lo segue assiduamente. Abbiamo quindi assistito a film di vario genere, dalla commedia al dramma, dal film storico a quello d’azione, ma l’insieme a mio avviso è stato poco convincente.
Per cominciare, film-spazzatura come “Bachelorette” di Leslye Headland non devono essere proiettati in Piazza, nemmeno se le attrici godono di una certa notorietà a Hollywood e possono attirare alcuni fan. Un film totalmente privo di significato e “retto” unicamente da una trama banale, in questo caso la notte prima di un matrimonio, e che basa la propria comicità su dialoghi volgari e dissacranti. Scegliendo invece commedie sul filone di “Ruby Sparks” dei brillanti Jonathan Dayton e Valerie Faris, già autori di “Little Miss Sunshine”, che riescono a portare bravi attori, come Paul Dano e Zoe Kazan, a svolgere ruoli interessanti in commedie che oltre a divertire fanno comunque riflettere lo spettatore su diverse tematiche, si fa certamente un affare. In questo caso la trama ruota attorno ad una storia d’amore, dove l’introverso scrittore di successo Calvin, confrontato con il classico blocco dello scrittore, inspiegabilmente riesce a dare vita alla protagonista del suo nuovo racconto, Ruby Sparks, che gli si presenta come la sua ragazza. Calvin scoprirà in seguito di poter plasmare il carattere e le capacità di Ruby a suo piacimento, con risvolti che ovviamente alla lunga non potranno certo essere positivi.
Altri film gradevoli, soprattutto per la propria originalità sia per soggetto che per realizzazione, in puro stile seconda serata in Piazza Grande, sono “Nachtlärm” dello svizzero Cristoph Schaub, “Wrong” di Quentin Dupieux e “Sightseers” di Ben Wheatley. Il primo, proiettato in prima serata, narra le vicende di una coppia esasperata dai continui pianti del figlio neonato, a cui viene rubata l’auto in una stazione di servizio da due malviventi con a bordo il piccolo, generando così un inseguimento divertente, che coinvolge il pubblico per tutta la durata del film, e che alla fine permette ai coniugi di ritrovare l’affiatamento perso. Lo stesso giorno, ma in seconda serata, è tornato a Locarno Quentin Dupieux, già autore del folle e acclamato “Rubber”. In questo film il regista francese sperimenta ancora una volta una trama priva di senso, con personaggi stravaganti e situazioni improbabili, riuscendo però ancora una volta a catalizzare lo spettatore nonostante i presupposti per nulla scontati. Anche se non convince appieno quanto la storia dell’ormai conosciuto copertone killer, questo nuovo lavoro di Mr. Oizo (lo pseudonimo musicale del regista, che tra le altre cose scrive tutte le colonne sonore dei propri film) non lascia insoddisfatti gli amanti del genere. Condito da macabro umor nero britannico, Sightseers riesce invece a divertire la piazza con una storia stravagante che vede protagonista Chris, che decide di portare la compagna Tina, cresciuta in un ambiente iperprotettivo, a visitare i luoghi importanti della sua vita. Durante il viaggio il pubblico scoprirà la follia omicida di Chris, che la fa pagare in modo sproporzionato a chiunque gli faccia un torto, e la reazione di Tina, non proprio canonica e fuori dall’ordinario.
Privi invece di particolare significato “Magic Mike” di Steven Soderbergh, che mi vede personalmente molto stupito in negativo vista la grandissima caratura del regista americano e dei grandi film ai quali ci ha abituato e “The Sweeny” di Nick Love, classico poliziesco dove si muove una squadra anticrimine composta da agenti duri e pronti a qualsiasi cosa per acciuffare i criminali. Film piuttosto scontato, dove i poliziotti buoni sono fuori da ogni legge e norma e non si risparmiano metodi poco convenzionali per raggiungere i propri obbiettivi. Da ultimo val la pena nominare “Camille Redouble” di Noémie Lvovsky e “No” di Pablo Larraìn, due film buoni nell’intento, ma che non convincono moltissimo: il primo comunque apprezzabile sotto alcuni di vista lascia un po’ insoddisfatti con una storia che sta venendo utilizzata molto nell’ultimo periodo, ovvero la possibilità di tornare giovane per adulti insoddisfatti della propria vita e di rivivere esperienze positive e negative fatte durante l’adolescenza. Il secondo invece è apprezzabile nell’intento, ma non in quanto ne scaturisce, visto che da un film sulla campagna al No contro il plebiscito alla presidenza del dittatore cileno Pinochet ci si sarebbe potuti aspettare decisamente di più in termini politici, mentre il film tratta poco quest’aspetto e approfondisce più la questione legata alla campagna pubblicitaria, di competenza appunto del protagonista.
Simone Romeo