Banca Nazionale, Unione Sindacale e Partito Socialista vogliono salvare l’Euro? A rischio l’economia svizzera!

Il cambio fisso fra il franco e l’euro fissato a 1,20 rappresenta una misura per impedire alla moneta svizzera di rafforzarsi troppo rispetto alla valuta comunitaria. Una proposta adottata dalla Banca Nazionale Svizzera e dal Consiglio federale con il plauso dai più improbabili alleati: i vertici dell’Unione Sindacale Svizzera (USS) e del Partito Socialista (PS). La scusa è questa: se il franco è troppo forte, l’industria d’esportazione soffre e quindi i padroni licenzieranno i lavoratori. Il portavoce economico dell’USS, Daniel Lampart, ne è convinto: se non si introduce il cambio fisso sono rischio oltre 100mila posti di lavoro. Morale della favola? I sindacati accettano il ricatto del padronato e, al posto di contrastarlo, decidono di aprire ulteriormente il Paese all’Unione Europea (UE), entità che è tutto fuorché sociale. Anche Werner Carobbio, già dirigente socialista di sinistra, nella sua rubrica sul giornale troskista “Solidarietà” decantava pochi mesi or sono questa misura della Banca Nazionale, prendendo il proverbiale granchio.

La Svizzera come fondo salva stati europeo

Alessandro Lucchini (Partito Comunista)

Di tutt’altro avviso a sinistra è solo il Partito Comunista che da mesi sta invitando i sindacati alla prudenza e ad avere una visione più ampia del problema! Nel mese di settembre 2012 il giovane accademico Alessandro Lucchini, membro del Comitato Cantonale del Partito Comunista pubblica un articolo in cui spiega dettagliatamente i rischi di questa pericolosa manovra auspicata sciaguratamente dai sindacati e dai socialisti: “La manovra della Banca Nazionale Svizzera che ha fissato a 1,2 la soglia minima Franco-Euro ha di fatto reso la Svizzera una sorta di fondo salva stati europeo. Mettere il limite a 1,20 è credere (o sperare) che l’Euro si rafforzi.  (…) Questa situazione porterà la Banca nazionale a comprare altre grossissime quantità di Euro nel caso in cui si verificassero nuove perdite di valore della moneta europea.
 Questi soldi non resteranno sicuramente in soffitta, bensì saranno investiti in titoli di stato europei. In poche parole la Svizzera diventerà sempre più un grosso creditore dell’Eurozona, e dunque la Confederazione porterà i rischi di una sua possibile debacle. 
Questa politica (…) causerà delle grosse perdite in bilancio, e dunque essa non sarà più in grado di distribuire i dividendi a Confederazione, Cantoni e Comuni.
 Questa manovra sarà perciò pagata dai lavoratori, perché il Miliardo che la Banca Centrale mancherà di girare alla Confederazione da una parte o dall’altra si avrà la necessità di andare a riprenderlo”. Ma queste cose non le dovevano forse dire i dirigenti del PS che siedono nelle direzioni dei sindacati, che ricoprono scranni in Consiglio Nazionale o in governo? Ci ha pensato un giovanissimo politico marxista a spiegare con parole semplici la sporca manovra che porterà solo vantaggi al padronato con il benestare dei sindacati!

Errare è umano, perseverare è… socialista?!

Come se nulla fosse, ancora di recente, Pelin Kandemir Bordoli, capogruppo PS nel Granconsiglio ticinese, proponeva al governo cantonale di farsi sentire a Berna affinché il cambio fisso salisse a 1,4 comprando quindi ulteriore valuta …morente! Anche in questo caso il Partito Comunista si era distanziato dai socialisti: un comunicato firmato dal segretario Massimiliano Ay e dal responsabile per la politica economica Lucchini spiegava infatti che a “preoccupare invece è il forte legame che si verrà a creare con la traballante Unione Europea una volta fissato il franco a 1,4. Questo renderà la Svizzera sempre più vulnerabile agli scenari politici che stanno rovinando la vita a milioni di lavoratori europei e che indirizzano l’UE verso una possibile debacle”. Gli esponenti comunisti continuavano poi denunciando una mancanza di visione da parte della sinistra di governo: “a sinistra – sostengono Ay e Lucchini – ci si dimentica forse dei forti effetti negativi che una misura del genere può portare. Essa mette a forte rischio la distribuzione degli utili della BNS ai cantoni e comuni svizzeri. Per coprire i deficit sarà ancora una volta tutta la popolazione a dover fare i conti con le politiche dei tagli alla spesa pubblica e dello stato sociale, peggiorando le condizioni di vita di tutti”.

“Così facendo la Svizzera ha aderito a Maastricht!”

Il Partito Comunista è stata l’unica voce nell’ambito politico ticinese a opporsi chiaramente a questa via percorsa dai vertici dell’economia privata e della politica elvetica, ma come sempre i mass-media hanno fatto di tutto per non dare peso all’analisi dei comunisti. Oltre a Lucchini anche un altro esponente di spicco dei comunisti ticinesi, Mattia Tagliaferri, aveva approfondito la questione con un articolo dal titolo provocatorio: “La Svizzera entra nell’Euro senza dirlo a nessuno!” nel quale si diceva: “La decisione di bloccare il valore di cambio del Franco con la moneta unica, ha di fatto sancito l’adesione ai trattati di Maastricht ed è come se oggi la Svizzera facesse parte dell’Euro. Naturalmente il Consiglio federale e la BNS hanno fatto passare questa misura come se fosse qualcosa di straordinariamente necessario affinché le esportazioni elvetiche non vadano macerandosi. Non è però mai stato spiegato che l’Euro è una valuta fondata sulla fissazione del cambio tra la stessa e le varie valute nazionali; l’avere realmente l’Euro tra le mani è in pratica una mera convenzione di comodità commerciale, atta a voler velocizzare gli scambi, ma non è certamente indispensabile. Ora che la Svizzera è di fatto, non de jure, entrata nell’Euro, la banca centrale di riferimento è la Banca Centrale Europea (BCE) di Francoforte e non la BNS, la quale ha ben poca autonomia nelle scelte di politica monetaria, proprio a causa dell’ancoraggio del Franco alla valuta europea, dalla quale la Svizzera dipende totalmente. A causa di questa dipendenza, madre Elvezia vede portarsi via tutti i giorni ingenti risorse liquide, utilizzate nell’acquisto degli Euro necessari a coprire il differenziale creatosi tra il reale cambio di mercato e quello arbitrariamente deciso da BCE e BNS”. Ma i socialisti ci vogliono spiegare come si farà in Svizzera ad uscire dalla crisi da sinistra senza sovranità monetaria e popolare? E i sindacalisti ci vogliono spiegare come si difenderanno i lavoratori e le loro famiglie dagli esiti nefasti che sorgeranno dai tagli che saremo costretti a subire a causa delle perdite che la BNS registrerà nel comprare euro?

Alfonso Tuor e Tito Tettamanti controcorrente!

L'economista Alfonso Tuor

Ora però i nodi arrivano al pettine! Mentre in Grecia si sta discutendo di uscire dall’Euro e in altri paesi europei per la prima volta c’è un crescente dibattito critico su quello che finora era considerato il tabù della moneta unica, la Svizzera (che potrebbe far valere il suo non essere membro dell’UE) decide di legarsi a filo doppio proprio con la moneta comunitaria che sta letteralmente crollando. Berna come crocerossina di Bruxelles, un suicidio assistito che fa comodo (e per di più nemmeno sul lungo periodo) solo e soltanto alla borghesia industriale elvetica! Il problema è che né i sindacati né i socialisti se ne siano resi conto… L’economista Alfonso Tuor, ex-vicedirettore del Corriere del Ticino, esperto della Cina e di fede liberale ammette su Cooperazione che “con la definizione di un tasso di cambio minimo di 1,20 rispetto all’euro, la Banca Nazionale (BNS) si è infilata in un vicolo cieco, da cui è impossibile uscire se non grazie ad una spaccatura della moneta unica europea. Infatti nel mese di maggio la nostra banca centrale è dovuta intervenire sui mercati dei cambi spendendo almeno 65 miliardi di franchi per acquistare euro e così frenare il calo del suo tasso di cambio. Alla fine dello scorso mese di maggio le riserve in valute estere sono salite a 304 miliardi di franchi e hanno raggiunto il loro massimo storico”. Tuor continua: “L’aggravarsi della crisi dell’euro rende probabile che questo genere di interventi debba essere replicato anche nei prossimi mesi. Ora la BNS non può cambiare politica: la sua credibilità uscirebbe a pezzi. Con il senno di poi, sarebbe stato meglio utilizzare questi miliardi per sostenere direttamente i settori più colpiti dal superfranco: il turismo (con l’abolizione dell’Iva) e l’industria di esportazione (con il pagamento degli oneri sociali che le aziende pagano per i loro dipendenti). Adesso è troppo tardi. Vi è dunque da sperare che l’euro non trascini nel suo vortice anche l’economia del nostro Paese. Ma non è solo l’ex-vicedirettore del Corriere del Ticino, però, a criticare la mossa della BNS usando i medesimi argomenti di Alessandro Lucchini del Partito Comunista, ma si è scomodato persino l’84enne finanziere ticinese Tito Tettamanti, che in una intervista sul portale Ticinonline ammette, paventando il rischio inflazionistico: “Lo scorso anno la nostra economia d’esportazione – è cresciuta del 3% nonostante il franco forte. Un franco forte permette di importare a meno prezzo. Noi abbiamo delle nicchie che ci permettono di pretendere prezzi alti”. I comunisti queste cose le avevano già capite nel marzo 2012, a differenza dell’esperto economista Lampart dell’Unione Sindacale Svizzera! Erano infatti a i comunisti ad avvertire diversi mesi fa come “le aziende d’esportazione che si vorrebbe andare ad aiutare stanno tuttora beneficiando del franco forte per l’acquisto vantaggioso delle materie prime per la produzione, e i loro prodotti sono spesso ad alto valore aggiunto e per questo difficilmente sostituibili dagli acquirenti esteri. Alcune di queste aziende hanno poi potuto approfittare della scusa del franco forte per portare a termine ristrutturazioni aziendali non mettendo mai in discussione il loro margine di guadagno a favore dei lavoratori”. Insomma: i sindacati e il loro partito di riferimento, il PS, hanno sbagliato completamente strategia, un’altra volta!

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