Che il servizio militare obbligatorio sia una realtà quasi più di folklore dall’antico sapore patriottardo nella Confederazione Elvetica, che non una reale struttura di difesa, è noto a tutti coloro che conoscono l’esercito da vicino. Anche coloro che difendono questa istituzione lo sanno, per quanto non sempre lo ammettano: per gli uni costituisce infatti un importante affare di tipo economico (l’esercito è uno dei pilastri – l’altro è la piazza finanziaria – su cui si strutturano i poteri forti che controllano il sistema politico-sociale della Svizzera) per altri è, molto più banalmente, il solo modo per vincere il senso di frustrazione che caratterizza la propria vita civile. Fatto è che la guida dei programmi televisivi, due settimane fa, riportava questo lancio con una retorica degna dei cinegiornali degli anni ’30 e senza alcun accenno alle alternative previste dalla legge: “Fra poco più di un mese inizia la scuola reclute estiva. Un momento significativo per molti giovani svizzeri. (…) È possibile inoltre prestare servizio con la ferma continuata, al servizio della patria per dieci mesi di seguito. (…) Viaggio di Falò all’interno dell’esercito svizzero dalla parte dei giovani soldati. Uomini e donne che vivono la formazione militare come una scuola di vita più che una preparazione alla difesa o alla guerra”.
Crescono i “renitenti”. L’esercito corre ai ripari.
Oggi solo il 40% dei coscritti svizzeri completa tutti i propri giorni di servizio militare (fra chi nemmeno inizia la scuola reclute, chi si fa scartare dalla milizia a servizio inoltrato e chi si dichiara obiettore). Una situazione grave, non tanto per la politica militare elvetica (che peraltro si sta orientando a una diminuzione degli effettivi), quanto piuttosto per il concetto ideologico che ci sta dietro e che viene inculcato nei cittadini svizzeri fin dalle scuole elementari, attraverso lezioni di storia e di civica in cui il riferimento alla milizia non deve mancare e dove, in alcuni casi, docenti di destra spediscono i propri allievi ad assistere alle parate militari (come avvenuto nel 2007 a Lugano, suscitando la reazione stizzita non solo del sindacato degli studenti, ma anche di un ispettore scolastico pacifista). In questo contesto l’esercito corre ai ripari, lavorando proprio sul fattore ideologico: da qualche anno si vede infatti regolarmente uno stand delle forze armate anche a “EspoProfessioni”, l’evento di orientamento professionale destinato soprattutto a ragazzi di 14-15 anni. E’ un esempio, ma non basta! Ecco che forse è il caso di mobilitare la TV statale con un bell’approfondimento che insista (magari indirizzandosi ai genitori con difficoltà relazionali con i loro ragazzi) sull’importanza della scuola reclute per educare i giovani, per fare una non meglio precisata “esperienza di vita”, per insegnare dei presunti valori (quali? Decisi da chi?) alle nuove generazioni, o forse solo per conservare intatto l’apparato di potere del regime corporativo elvetico. E proprio a questo gioco tutto politico si sarebbe prestata “Falò”, la trasmissione d’inchiesta della Radiotelevisione Svizzera di Lingua Italiana (RSI)! A dirlo sono alcuni giovani politici e sindacalisti ticinesi particolarmente irritati dal servizio intitolato “Obbligo di leva” mandato in onda lo scorso 7 giugno 2012, nel quale, a un mese dall’entrata in servizio delle nuove reclute la RSI ha ceduto i microfoni al comandante del centro di arruolamento del Monte Ceneri, il colonnello Martino Righetti, e a un imprenditore che sosteneva la leva (quando non è un mistero che ampia parte dell’economia privata si ritiene svantaggiata proprio dal sistema di milizia che “ruba” la loro manodopera).
“…come il peggior Emilio Fede!”
Fra i giovani politici intervenuti vi è la Gioventù Comunista, coordinata dal civilista Aris Della Fontana, che ha inviato un lungo comunicato stampa in cui, rammaricandosi per la scarsa professionalità giornalistica, paragona l’episodio di Falò come “il peggior Emilio Fede”, riferendosi all’ex-direttore del TG4 italiano, noto per la sua faziosità filo-berlusconiana. Il servizio in questione – spiegano i giovani comunisti – “dal primo all’ultimo secondo” si basava “sull’omissione dei fatti e la mancanza di spirito critico; incompleto, parziale e tendenzioso”. Esso “non ha fatto altro che dipingere l’esercito come una realtà idilliaca. Tutti i coscritti intervistati erano favorevoli all’esercito, esaltati dalla scuola reclute oppure rassegnati a dover prestare servizio militare. Nessuna voce critica, nessun potenziale obiettore”. Della Fontana non ha dubbi: “si è trattato di un tentativo incredibile di indottrinare i giovani e i loro genitori a proposito dell’utilità di ‘servire la patria’ imbracciando un’arma nelle fila delle forze armate elvetiche, collaboratrici della NATO guerrafondaia e partner degli aguzzini israeliani che massacrano i palestinesi”. Anche in studio la situazione non è piaciuta: “privo della benché minima controparte, il comandante del centro di reclutamento ha potuto sciorinare tutto la sua propaganda a favore del servizio militare e dell’esercito. Come mai non c’era un esponente delle associazioni pacifiste e studentesche che si occupano da vicino dei ragazzi chiamati alle armi che vorrebbero essere informati in modo più obiettivo sui loro diritti di poter svolgere un’alternativa più utile al servizio militare? Ci stupisce che il servizio pubblico – sulla scia di quanto purtroppo avviene alla giornata informativa e al reclutamento – metta in secondo piano la possibilità di realizzare un servizio civile alternativo”. La ragione di questa caduta di stile della RSI è secondo la Gioventù Comunista è facile da capire: “Evidentemente, complice il crescente numero di giovani che riescono a farsi scartare, i molti che chiedono di poter assolvere servizio civile e, di fronte alla riuscita raccolta delle firme a favore dell’iniziativa popolare per abolire la leva obbligatoria che dovremo in futuro andare a votare, non si é trovato di meglio da fare che trasmettere un bel servizio propagandistico proprio a ridosso dell’entrata in servizio delle nuove reclute. Non sia mai che qualcuno di questi giovani nel frattempo si lasci convincere dai pacifisti del GSsE, dai sindacalisti studenteschi del SISA o dalla sinistra traditrice della patria a dichiararsi obiettore rifiutando di servire nel militarismo elvetico” conclude Della Fontana.
Che i giornalisti non diventino “zerbini” del potere!
Il segretario del Partito Comunista, Massimiliano Ay, è furente. Lo si percepisce leggendo il suo stato su Facebook, particolarmente duro per i suoi standard: “lo dico forte e chiaro: il servizio di Falò sul servizio militare è stato una porcheria faziosa e propagandista assolutamente indegna del servizio pubblico!”. Sollecitato telefonicamente da Sinistra.ch il responsabile politico ticinese spiega che ha pure inviato un’e-mail di protesta alla RSI e si dice rammaricato: “Falò, almeno una volta, era una trasmissione che dimostrava che ci sono ancora giornalisti veri e non zerbini del potere, giovedì sera la faziosità era invece a livelli allucinanti”. Egli ha rifiutato gli ordini a scuola reclute ed è impegnato da dieci anni a favore dei renitenti alla leva. Anche Ay contesta lo “stucchevole ufficiale in studio, che ha potuto tenere un comizio falsamente paternalista senza nessun contraddittorio”. Ad Ay in particolare hanno infastidito le dichiarazioni di Martino Righetti che durante la trasmissione, parlando ai coscritti, diceva “voi siete i nostri datori di lavoro, ma qui c’è una regola: la musica la metto io e voi la dovete ballare”. Conclude sarcastico il segretario del Partito Comunista: “Ma chi è? Il pifferaio di Hämelin?! Comunque sia, il mio compito è quello di fare in modo che i suoi datori di lavoro lo licenzino e possano vivere in una società in cui i cinque mesi di quella prigionia obbligatoria chiamata scuola reclute siano solo un ricordo!”.
Nella protesta inviata alla RSI, Ay ha pure scritto: “non credevo possibile che una Televisione, per quanto statale, alle nostre latitudini potesse servire da stampella del governo e del suo esercito in crisi, per indottrinare (fra l’altro disperatamente) qualche giovane a ridosso dell’inizio delle scuole reclute. Complimenti anche per la scelta naturalmente casuale della figura del ‘buon imprenditore’, naturalmente membro della Società Ticinese degli Ufficiali”. Egli si riferisce qui evidentemente al fatto che il datore di lavoro intervistato garantiva che non solo non avrebbe sostituito il proprio giovane lavoratore chiamato alle armi, ma che sosteneva il principio della milizia. Una realtà, questa, spesso non vera nell’economia privata e che Falò s’è ben guardato dal mostrare, preferendo dare la parola a Michele Bertini, imprenditore, consigliere comunale del PLR a Lugano, primo tenente dell’esercito e membro della Società Ticinese degli Ufficiali.
Un ex-soldato ammette: “servizio parziale e tendenzioso”
Ma i commenti critici non si fermano qui. Sul forum di discussione on-line della trasmissione è intervenuto anche un giovane soldato recentemente passato al servizio civile con una lettera firmata con nome e cognome. Si tratta di Edwin Winkler, in passato rappresentante degli studenti al Liceo di Bellinzona.
Il giovane neo-civilista racconta di aver assolto cinque mesi di scuola reclute, ma di aver poi deciso di passare al servizio civile. Una scelta coraggiosa quella di Winkler che – nonostante i vari tentativi delle autorità di frenare l’obiezione di coscienza – continua ad essere in crescita fra tanti giovani. “Mi permetto di giudicare il vostro reportage come oltremodo incompleto, parziale e tendenzioso”. Così attacca la lettera del giovane bellinzonese, che continua contestando il fatto che il servizio televisivo esaltasse gli aspetti considerati utili dell’esercito, come l’imparare ad utilizzare le attrezzature sanitarie, ma praticamente nulla si è visto delle situazioni “grottesche che, purtroppo, sono all’ordine del giorno nelle compagnie d’istruzione. Cito, fra le tante: esasperazione sino al ridicolo dell’ordine nelle camere, urla e grida fini a sé stesse da parte dei superiori (troppo spesso di grado ma non in utilizzo della ragione) oppure punizioni imbarazzanti inflitte per motivi inconcepibili”. E continua: “Le testimonianze da voi raccolte fra i diretti interessati non corrispondono all’opinione generale nei confronti del servizio militare (…) “l’immagine scaturita dal vostro reportage è molto diversa da quella serbata nei ricordi di chi ha vissuto la scuola reclute. Coloro che il militare non l’hanno fatto sono portati a pensare che, in fondo, la scuola reclute non può che fare del bene ai giovani. Scuola di vita, crocevia delle lingue nazionali e sorgente di rapporti interpersonali sono solo alcuni dei cavalli di battaglia decantati dai promotori dell’obbligo di leva ed esaltati nel reportage. Tuttavia, come detto, la realtà è ben altra ed è peccato che si sia persa un’ulteriore occasione di far luce sugli aspetti negativi del servizio militare, che rimangono oscuri a gran parte dei cittadini”.
Tirata in ballo anche la CORSI
I guai per la redazione non sono però finiti: Janosch Schnider, coordinatore del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) e membro del comitato promotore dell’iniziativa popolare che chiede di sopprimere l’obbligatorietà della leva militare sta infatti preparando un reclamo giuridico contro la RSI richiedendo direttamente l’intervento del mediatore della CORSI (la Società cooperativa per la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana), avvocato Gianpiero Raveglia. Il SISA contesta sostanzialmente due aspetti: il mancato rispetto del principio di oggettività e del principio di pluralità o di pluralismo, secondo l’articolo 4 della Legge sula radiotelevisione che recita: “le trasmissioni redazionali con contenuto informativo devono presentare correttamente fatti e avvenimenti, in modo da consentire al pubblico di formarsi una propria opinione” e inoltre “i programmi (…) devono rappresentare in modo adeguato la pluralità (…) delle opinioni nell’insieme delle loro trasmissioni redazionali (…)”. Si vedrà ora se i colleghi giornalisti del servizio pubblico sapranno fare autocritica e recuperare la propria professionalità nonostante la lottizzazione ciellina degli studi di Comano.