Gli USA non comandano più il mondo: la Siria potrà farcela? La testimonianza di Mehmet Yuva, un professore turco a Damasco

Prima del 2011 la Siria, guidata da una coalizione di sinistra composta dal Partito Socialista del Risorgimento Arabo (Baath) di Bashar Al-Assad, dal Partito Comunista Siriano di Ammar Bagdache e da altre formazioni patriottiche “era il paese più stabile, sicuro e in più rapida crescita nella regione, uno dei paesi al mondo con il minor debito estero”. A dirlo è il prof. Mehmet Yuva, eminente accademico turco presso l’Università di Damasco, che scrive regolarmente sul quotidiano “Aydinlik” di Istanbul, con cui anche la nostra redazione collabora da anni.

Il professor Mehmet Yuva.

La Siria era un rifugio per i rivoluzionari, gli americani l’hanno distrutta!

“Sunniti, sciiti, aleviti, arabi, curdi, turkmeni, assiri, armeni, ebrei, circassi, albanesi, mamelucchi, abkhazi vivevano in fratellanza. Insieme hanno condotto la lotta anti-imperialista che ha portato alla creazione della Repubblica Araba Siriana”. La Siria era diventata “la casa di africani, asiatici e caucasici in fuga da guerre civili, fame e crisi. Era un rifugio sicuro per i rivoluzionari: artisti, registi, scrittori, poeti e mercanti libici, tunisini, algerini, eritrei, yemeniti, palestinesi e libanesi che combattevano contro i colonialisti”. La Siria – ricorda sempre Yuva – è stato il Paese in cui sono stati protetti non solo gli esponenti della sinistra laica turca in fuga dalla giunta golpista filo-americana del generale Kenan Evren che prese il potere nel 1980, ma che accolse nei suoi atenei le ragazze musulmane turche a cui la socialdemocrazia tolse il diritto allo studio se non avessero prima rinunciato a indossare il velo islamico durante i corsi universitari. Tutto questo è stato distrutto dagli USA, dall’UE e dalla NATO a partire dal 2011.

Chi è felice per la caduta di Aleppo è un amico di Israele e degli USA!

Mehmet Yuva è però duro soprattutto con chi, nel suo Paese, la Turchia, elogia oggi i terroristi che hanno appeso la bandiera nazionale turca sul castello di Aleppo. Un’azione ovviamente non autorizzata dal governo turco e che è utile semmai proprio a impedire la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi, come auspicato da Mosca e Teheran. Il prof. Yuva ricorda come, dopo il 2022, vi siano stati notevoli progressi fra Ankara e Damasco e che ciò non va bene alle ancora forti correnti atlantiste presenti ad Ankara, come quelle vicine all’ex-premier Ahmet Davutoğlu, che aveva rotto con Erdogan dopo le sue svolte eurasiatiste.

I ribelli appendono bandiere turche sulla fortezza di Aleppo.

“La Turchia non ha ancora rinunciato alla riconciliazione con Assad”

“Ma la caduta di Aleppo nelle mani dell’HTS è dovuta alla negligenza siriana? L’esercito di Assad e i suoi alleati non erano consapevoli dei movimenti nemici dall’area di Idlib e Aleppo, che dimostrava chiaramente la cooperazione tra gli islamisti dell’HTS e i curdi delle YPG sostenute da Israele, Ucraina, Stati Uniti e Regno Unito – si chiede il professore. Non è però ora il momento per discuterne: quando si è in guerra occorre compattezza e non porsi troppe domande. E infatti Yuva taglia corto: “le risposte a tutte queste domande emergeranno militarmente sul campo e quando i negoziati politici diventeranno chiari”. Infatti Turchia, Iran e Russia si preparano ad incontrarsi a Doha la prossima settimana. Il professore dichiara sicuro: “la Turchia non ha ancora rinunciato all’incontro e alla riconciliazione con Assad”. Ankara ha infatti inviato proposte di soluzione a Damasco attraverso i suoi intermediari e una delegazione per la sicurezza siriana si trova già ad Antalya.

Ma Assad è ancora al posto giusto?

Mehmet Yuva (il secondo a destra) in passato ha incontrato personalmente Bashar Al-Assad.

“Perdere Aleppo, il più grande centro industriale e commerciale della Siria, peggiorerà ulteriormente la già grave situazione del paese”, l’accademico ne è consapevole. Nel contempo è anche convinto che la reputazione di Assad si sia rafforzata. “Le vittorie militari – spiega – acquistano significato e importanza se coronate da vittorie politiche. È stata la vittoria militare a garantire la vittoria politica di Assad nel 2011-2020. Oggi, la vittoria militare della Siria sarà assicurata dalla vittoria politica di Assad”. Yuva è sicuro che “Assad ha consolidato la sua legittimità dopo il disastro di Aleppo”. Assad “è stato a capo di una Siria isolata. Era il leader di un paese che gemeva sotto l’embargo. Era il presidente di un Paese in cui in tutte le città si svolgevano ribellioni armate e dove decine di migliaia di guerriglieri professionisti reclutati da tutto il mondo devastavano la Siria” eppure è sopravvissuto. Certo con l’aiuto della Russia di Vladimir Putin, ma anche con lo capacità che i socialisti, i comunisti e i sindacalisti siriani hanno dimostrato nell’organizzare la resistenza patriottica araba contro gli islamisti dell’ISIS, contro i separatisti curdi alleati degli USA e contro l’Esercito Libero Siriano protetto dalla setta gülenista turca al potere fino al 2016 ad Ankara. Yuva è netto: “solo coloro che ignorano la politica, l’arte militare e la storia possono credere che la fine del governo siriano arriverà con la caduta di Aleppo”. E questo perché “il mondo che dice sì a tutto non c’è più”: il multipolarismo è insomma una realtà! “L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che in precedenza avevano dichiarato guerra ad Assad, si sono ora dichiarati pronti ad assisterlo”. Anche il Qatar, proprietario di “Al-Jazira”, il media più provocatorio della guerra siriana, usa un linguaggio più pacato. Yuva conclude: “L’HTS e i suoi pari possono essere lucidati e purificati quanto vogliono, o comportarsi con indulgenza quanto vogliono, restano un mostro dai denti insanguinati travestito da pecora”. Un mostro che i leader di dozzine di tribù arabe e di altre etnie situate nel nord-est dell’Eufrate conoscono bene, e per questo hanno dichiarato di essere dalla parte del legittimo governo di Damasco. Ma sarà tutto ciò sufficiente alla Siria, benché non più isolata come un tempo, per ancora salvare l’idea del socialismo arabo?