Il Partito Comunista Palestinese fa autocritica e si oppone alla soluzione dei “Due popoli, due Stati”!

In Palestina vi sono almeno quattro organizzazioni attive di ispirazione marxista. Il Partito Comunista Palestinese (PCPal) – benché si trovi all’ombra di sigle più grandi e più conosciute, come il Partito Popolare Palestinese (PPP), il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (PFLP) e il Fronte Democratico di Liberazione della Palestina (DFLP) – è un attore di un certo interesse, poiché difende tre posizioni di fondo che lo rendono particolare nel suo genere anche all’interno del Movimento Comunista Internazionale: anzitutto ha rifiutato la soluzione dei “due Stati”; in secondo luogo, storicamente, si è opposto al liquidazionismo “gorbacioviano” senza però finire nel dogmatismo; e infine sostiene la resistenza palestinese realmente esistente, senza settarismi ideologici o attitudini “schizzinose”, comprese quindi le sue fazioni islamiche. Quello che conta è insomma la lotta partigiana unitaria contro il sionismo razzista e colonialista.

Dopo 8 anni di dibattiti una svolta clamorosa!

Nel 2016 il Partito Comunista Palestinese rende pubblico un nuovo programma politico-ideologico, nel quale ammette che la cosiddetta soluzione dei “due popoli, due Stati” – tanto sbandierata dalla sinistra europea impaurita di essere etichetta come “antisemita” – ha portato in realtà a un indebolimento generalizzato della lotta di liberazione nazionale palestinese da un lato e all’isolamento dei comunisti palestinesi dalle masse popolari dall’altro, le quali infatti si sono spostate dal fronte laico a quello islamista rappresentato da Hamas, visto come più coerente e meno arrendevole. Intervistato dal comunista tedesco Noel Bamen proprio su questo tema, Anwar Khoury, membro del Comitato Centrale del PCPal, spiega che il dibattito interno è durato per ben otto anni: “abbiamo sviluppato lentamente e collettivamente una posizione basata sulla riflessione e sullo studio. Al termine di questo dibattito, abbiamo riscritto il nostro programma e formulato pubblicamente la nostra autocritica”. Oggi, nell’area mediorientale anche il Partito Comunista Libanese e il Partito Comunista Siriano sostengono questa svolta del PCPal.

Il Partito Comunista Palestinese (PCPal), dopo il cambio di rotta ideologico del 2016, ripudia la soluzione “a due Stati”.

La soluzione a 2 Stati è oggi un’utopia!

Anwar Khouryspiega anzitutto i cambiamenti demografici e politico-geografici verificatisi in Palestina dopo la firma degli accordi di Oslo del 1993: “la crescita spietata della popolazione dei coloni è passata da 50’000 prima degli accordi di Oslo a quasi 1’000’000 oggi. Il numero di insediamenti coloniali è passato da decine a centinaia e oggi rivendica oltre il 40% della terra su cui, secondo gli accordi, doveva sorgere lo Stato palestinese. È diventato quindi impossibile stabilire l’unità demografica, fisica e geografica di uno Stato palestinese”. Su questa base, il PCPal ha quindi deciso di rifiutare la soluzione dei due Stati e di rivendicare invece uno Stato democratico per tutti i suoi abitanti sull’intero territorio della Palestina storica, compresa la realizzazione del diritto al ritorno dei palestinesi sfollati e dei loro discendenti e il diritto all’autodeterminazione nazionale. “Il nostro obiettivo – continua Khoury – è uno Stato democratico per tutti i suoi abitanti. Ciò significa che vogliamo vivere in uno Stato in cui tutti partecipiamo alla sua costruzione senza alcuna discriminazione. A differenza di oggi, dove la realtà del dominio sionista significa soprattutto una cosa: discriminazione razziale”.

I comunisti alleati dell’Asse della Resistenza?

Lo storico fronte arabo del rifiuto al riconoscimento di Israele, il fronte palestinese del rifiuto agli accordi di Oslo e l’odierno Asse della resistenza sono storicamente e politicamente in continuità. Oggi questo asse – spiega sempre Khoury – è composto dalle fazioni della resistenza palestinese: accanto ai comunisti laici come PFLP, DFLP, ecc. vi sono anche i movimenti partigiani di cultura islamista: Hamas, Jihad, ecc. Il dirigente del Partito Comunista Palestinese non ha accettato di sedersi allo stesso tavolo con loro, ma Khoury ha dichiarato di considerarsi “politicamente parte di questo asse di resistenza contro il colonialismo sionista, contro Oslo e contro l’imperialismo”.

Anche senza il socialismo, la liberazione nazionale è una vittoria!

Con questa svolta il PCPal ha di fatto interrotto il suo privilegiato rapporto con il Partito Comunista di Grecia (KKE) e con la sua dottrina che ritiene ineluttabile l’esistenza dello Stato di Israele finché non si abolirà il capitalismo. Ma cosa risponde Anwar Khoury a chi dice, appunto, che una Palestina libera ‘dal fiume al mare’ sarà possibile solo con il trionfo del socialismo? “Che non hanno capito la differenza tra liberazione nazionale e rivoluzione socialista. Sarebbe auspicabile che la liberazione nazionale si trasformasse direttamente in una rivoluzione socialista, certo, ma la liberazione nazionale senza rivoluzione socialista è già un valore in sé e un passo importante verso la liberazione da ogni sfruttamento e dominio di classe”. Esiste insomma un rapporto dialettico tra la lotta patriottica e la lotta di classe: la lotta di liberazione nazionale è infatti una forma del conflitto di classe.

E in Svizzera?

Un volantino del Partito Comunista della Svizzera, diffuso nelle università elvetiche durante le mobilitazioni in solidarietà alla Palestina.

La linea del PCPal gode di un certo sostegno anche fra i comunisti svizzeri guidati dal segretario Massimiliano Ay. Nelle tesi politiche approvate all’unanimità nel novembre 2021 dai delegati del 24° Congresso del Partito Comunista della Svizzera riunitosi a Bellinzona si afferma quanto segue: “Noi non riteniamo la teoria (presuntamente pacifista) dei ‘Due popoli, due Stati’ come risolutiva del conflitto: consideriamo al contrario Israele un’entità sorta dall’occupazione illegale della Palestina, la cui piena liberazione nazionale noi quindi sosteniamo con forza”. Quella dei comunisti svizzeri non è quindi una linea oltranzista: idealmente essi riconoscono una posizione simile a quella del PCPal, nel contempo le loro tesi congressuali ammettono pragmaticamente la necessità di “dare voce alle forze anti-sioniste e per la pace che non mancano nemmeno all’interno dell’attuale Stato di Israele, con particolare riguardo ai comunisti israeliani”. Insomma finché la nascita della Palestina come Stato unico bi-nazionale non sarà realizzabile, occorrerà sostenere anche le forze democratiche che agiscono all’interno dell’entità sionista e, pur di contrastare il genocidio in corso, è possibile anche sostenere le risoluzioni dell’ONU che di fatto sono orientate alla salvaguardia di Israele. Emerge fra le righe, tuttavia, che si tratta di scelte più tattiche che non strategiche.

Evita invece il problema il Partito Svizzero del Lavoro (PSdL), che non si esprime esplicitamente sulla questione del riconoscimento di uno Stato di Israele. Probabilmente ciò si deve alla presenza, al suo interno, di opinioni contrastanti dovute all’influenza di alcuni dirigenti di origine israeliana come l’ex-presidente Gavriel Pinson. A onor del vero, anche il PSdL, come il PC, non ha tentennato e, in una nota stampa, ha reso noto che “le politiche di colonizzazione e pulizia etnica durate più di 75 anni sono state intraprese dal giovane Stato di Israele contro il popolo palestinese”. Inoltre, nel contesto attuale, “lo Stato di Israele non ha il diritto di difendersi” poiché ciò consisterebbe nel “diritto della potenza occupante di schiacciare il popolo di cui occupa la terra”. Il PSdL conclude la sua presa di posizione con una citazione del leader anti-apartheid sudafricano Nelson Mandela: “è sempre l’oppressore, non l’oppresso, a determinare la forma di lotta. Se l’oppressore usa la violenza, l’oppresso non avrà altra scelta che rispondere con la violenza”.