Nel luglio 1952 il Movimento Sociale Italiano va a congresso, riunendosi a L’Aquila in Abruzzo. Il quotidiano “L’Unità” invia Luigi Pintor – futuro direttore de “Il Manifesto” – come corrispondente, ma intanto il 26 luglio lo analizza con un editoriale in prima pagina di Enrico Berlinguer, segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana e al tempo anche segretario della gioventù mondiale di orientamento marxista.
Tanto l’inviato Pintor quanto Berlinguer denunciano quanto sia vergognoso che a dei fascisti dichiarati sia permesso di tenere il loro congresso e intuiscono con un anno di anticipo quale sarà la strategia della Democrazia Cristiana verso missini e monarchici, ovvero farne una stampella dei governi centristi. Una pratica che procederà per tutto il resto del decennio, fino all’inqualificabile governo Tambroni, che darà le dimissioni nell’estate 1960 dopo aver autorizzato il congresso del Movimento Sociale Italiano a Genova e aver subito le contestazioni di tutta la città partigiana e antifascista. Sarà quella l’ultima occasione ufficiale per una collaborazione governativa tra democristiani e missini, altre ve ne saranno purtroppo nelle maglie oscure del golpismo e dell’eversione degli anni ‘60 e ‘70, per non dire dei voti determinanti nel dicembre 1971 per l’elezione del presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Pintor e Berlinguer segnalano il passaggio dei missini, al di là della retorica antistatunitense, al sostegno della reazione conservatrice italiana, evidenziando come si mettano di fatto al servizio degli interessi della NATO e dell’imperialismo.
Tuttavia entrambi son ben consapevoli dei malumori della base, in particolare dei giovani. Pintor segnala che sono insoddisfatti al punto da minacciare di abbandonare il congresso e paventare una scissione.
Enrico Berlinguer fa molto di più. Nell’editoriale intitolato “Rottami a congresso”, dopo parole durissime contro il fascismo mussoliniano e il neofascismo del suo tempo (di cui già Almirante è un dirigente di spicco, fattosi “perfetto conformista al servizio della reazione”), segnala come “alle posizioni neutraliste, ai virulenti sfoghi antiamericani del passato, sono succedute le dichiarazioni a ripetizione di lealismo alla politica atlantica, gli osanna, le lettere aperte e le offerte di servigi fatte ai generali americani”, in particolare da quel principe Borghese, allora dirigente MSI, che sarà, con l’appoggio statunitense, organizzatore del fortunatamente fallito golpe del 1970. A questo punto ci si aspetterebbe da parte di Berlinguer una chiusa nello stile dell’azione e della comunicazione politica dei nostri tempi attuali, ovvero una condanna implacabile dell’avversario politico, magari enfatizzandone la sua demonizzazione. Invece Enrico Berlinguer è pienamente consapevole di come la politica sia la costruzione di un consenso da edificare con la pazienza nell’esplicitazione delle proprie posizioni, che non vanno annacquate o diluite in un calderone che tutto omologa, alla caccia di qualche voto in più. Si tratta di un costante lavoro alla ricerca dei punti di contatto con gli avversari, con l’obiettivo di indurli a unirsi ad altro e ben differente progetto politico.
Solo i massimalisti, di cui abbiamo nel tempo odierno tanti esempi e da cui siamo costantemente circondati, non coglierebbero il valore straordinario dell’apertura che Berlinguer, dalla prima pagina del quotidiano del Partito Comunista Italiano e certamente dopo un confronto preventivo con Palmiro Togliatti, apre nei confronti dei giovani del Movimento Sociale Italiano.
Scrive esplicitamente Enrico Berlinguer: “Noi non neghiamo che vi siano nel MSI gruppi di giovani che sinceramente credono che la grandezza della Patria [con la maiuscola nel testo berlingueriano, NdA] possa essere costruita solo nella lotta contro ogni ingerenza e dominazione straniera e nel rinnovamento morale e sociale della Nazione [ndr anche in questo caso con la maiuscola, NdA]: nel rifiuto perciò di ogni compromesso con l’imperialismo e con le forze conservatrici del Paese [ibidem].”
Ovviamente Berlinguer afferma che questi giovani dovrebbero prendere atto delle scelte antitetiche del loro partito rispetto alle loro aspettative e dovrebbero compiere un passo di piena consapevolezza, che li porti a scegliere il campo antimperialista, operando tuttavia un decisivo cambiamento, quello di liberarsi dell’anticomunismo, “il quale acceca l’intelligenza e inevitabilmente porta, come dimostra l’esperienza di ieri di oggi, a divenire strumenti di interessi inconfessabili di caste privilegiate e di imperialismi stranieri”.
In conclusione, una grande lezione politica di Enrico Berlinguer, sulla quale sarebbe opportuno riflettere, soprattutto oggi, un tempo in cui siamo chiamati a costruire la pace, difendendo la sovranità nazionale e la neutralità svizzera, messe in discussione da troppi che vorrebbero assoggettarsi alla NATO e all’Unione Europea.