Dopo che l’Università di Friborgo aveva sciolto d’imperio un’associazione studentesca di ispiraizone trotzkista colpevole di esprimere sostegno alla lotta di liberaziona nazionale della Palestina, il Politecnico federale di Losanna aveva represso un’associazione della sinistra femminista colpevole di aver criticato il sionismo. Ora è il Municipio di Zurigo a piegarsi ai diktat dell’ambasciatrice israeliana in Svizzera che aveva sollecitato più repressione con chi osa schierarsi con la Palestina. La vittima questa volta è un gruppo comunista di orientamento maoista, che si è visto negare una sala per un’assemblea in un centro di quartiere.
La libertà di riunione è garantita solo se non sei …“escludente”
Stando infatti alle linee guida per la locazione dello stabile comunale essa sarebbe esclusa ai gruppi i cui obiettivi o attività siano “razzisti, sessisti, esaltanti la violenza o in qualsiasi altro modo escludenti e/o contrari all’ordine democratico di base”. Per sapere cosa sia il razzismo e cosa si intenda per esaltazione della violenza, basta il Codice penale svizzero e la giurisprudenza. Su cosa invece sia considerabile “escludente” rispetto a un non meglio definito “ordine democratico di base” l’interpretazione può ampiamente variare, a scapito quindi della certezza del diritto. Non esistendo un solo modello di democrazia al mondo, si rischierebbe di escludere tutti coloro che ambiscono a una democrazia diversa da quella borghese e liberale? E se c’è un ordine democratico di base, allora ce n’è forse uno più “avanzato”? È proprio da queste situazioni con espressioni vaghe scritte da persone letteralmente “formattate” e prive di esperienza politica che poi sorgono gli abusi.
Il socialismo è contrario all’ordine costituzionale?
Il gruppo politico in questione – stando alla lettura del loro atto costitutivo – sarebbe colpevole di condurre “un’agitazione politica che implica anche la violenza e che è contraria all’ordine costituzionale svizzero”. Per questo motivo gli è stata negata la facoltà di riunirsi in un edificio di proprietà comunale. Tesi che viene però contestata con forza dall’avvocato Marcel Bosonnet, che infatti ha impugnato la decisione. Non solo la risoluzione costitutiva del movimento in questione ovviamente non indica alcuna volontà di ricorrere alla violenza, ma addirittura esso afferma che “la classe operaia desidera che questa rivoluzione possa essere realizzata senza l’uso della violenza”. L’affermazione del Municipio è quindi errata dal punto di vista fattuale e rappresenta un abuso che limita la libertà di opinione.
Anti-semitismo… un’accusa per tutte le stagioni?
Il rifiuto di affittare la sala ai membri di questo piccolo gruppo maoista zurighese è stato pure motivato dal fatto che in un loro precedente volantino vi si leggesse lo slogan presuntamente “antisemita”: “Socialismo dal fiume al mare”. In quel testo, peraltro, non si poteva trovare nemmeno in forma implicita un sentimento di disprezzo per un popolo, un’etnia o un gruppo confessionale.
L’espressione “dal fiume al mare” – o “min al-nahr ila al-bahr” in arabo – risale peraltro agli inizi del movimento nazionale palestinese nei primi anni ‘60, circa un quarto di secolo prima della fondazione del movimento islamista “Hamas”, considerato oggi come “terrorista”. Lo slogan divenne popolare all’interno dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) come appello per un ritorno ai confini della Palestina controllata dagli inglesi, dove avevano vissuto sia gli ebrei che gli arabi prima della creazione dello Stato di Israele nel 1948. Se questa espressione partigiana è definibile come “anti-semita”, allora perché non è considerato altrettanto razzista (questa volta contro gli arabi) il fatto che il partito della destra israeliana Likud, guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, abbia incluso uno slogan simile nel suo programma elettorale originale del 1977, affermando che “tra il mare e il fiume Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana”?
Ahmad Khalidi, ricercatore dell’Università di Oxford che ha partecipato ai negoziati di pace arabo-israeliani negli anni ’90, è convinto della possibilità “che entrambi i popoli – palestinesi ed ebrei – tra il fiume e il mare siano liberi”. “Il termine ‘libero’ è di per sé necessariamente genocida? Penso che qualsiasi persona ragionevole direbbe di no. Questo esclude il fatto che la popolazione ebraica nell’area tra il mare e il fiume non possa essere libera? Penso che qualsiasi persona ragionevole direbbe di no anche a questo” ha continuato l’accademico.
L’accusa che lo slogan utilizzato dal gruppo sia antisemita è quindi in definitiva una pura e semplice diffamazione. Lo si evince da una sentenza dello Stesso Tribunale federale (DTF 138 III 641 E. 3): i termini “antisemita” e “dichiarazioni antisemite” degradano gravemente la reputazione di una persona tra i suoi simili, in quanto viene anche accusata di comportamenti socialmente disapprovati sotto forma di azioni discutibili secondo lo Stato di diritto. Si tratta quindi di un’etichetta che un’autorità non dovrebbe usare alla leggera a meno di voler gettare gratuitamente discredito su chiunque osi riunirsi ed esprimersi in modo alternativo a quella consentito dal pensiero unico riproposto all’unisono da media, scuola e governo: un precedente terribile per una democrazia avanzata come si credeva fosse quella elvetica.