La notizia che, insieme a Norvegia e Irlanda, la Spagna ha riconosciuto lo Stato di Palestina non va sottovalutata: è una decisione importante che dà ossigeno al movimento solidale con il popolo palestinese e che si unisce alla recente decisione di 73 università spagnole (pubbliche e private) di sospendere le relazioni di cooperazione accademica con Israele. Sono entrambe posizioni che meritano di essere appoggiate anche solo perché infastidiscono il regime sionista, ma anche perché avvengono in contemporanea alle occupazioni degli atenei in Svizzera, dove gli studenti vengono arrestati solo per aver espresso un’opinione. Il movimento studentesco sfrutti ampiamente l’immagine del governo di Madrid per mettere in imbarazzo chi da noi li reprime!
Da qui a dire, però, che il governo spagnolo sia sinceramente anti-sionista, e magari illuderci che il primo ministro Pedro Sanchez o la socialdemocrazia iberica siano quanto di più progressista esista nel continente, ce ne passa! Non dobbiamo fare tifo, ma analizzare la realtà e i rapporti di forza, e solo su questa base capire cosa ha senso enfatizzare. In politica, insomma, occorre saper riconoscere i meriti di qualcuno (anche di un avversario) per valorizzarli (o eventualmente anche strumentalizzarli) quando essi diventano utili a una causa superiore, che è anche la nostra.
Sminuire la buona posizione sulla Palestina assunta dal governo di Madrid sarebbe insomma un errore; ma altrettanto sbagliato sarebbe ovviamente esaltare il governo di Madrid pensando che abbia inferto un colpo mortale al sionismo. Non è così semplice e lineare: in politica – se aderiamo al materialismo dialettico – contano insomma anche le mezze misure, purché servano da subito a fare un passo avanti concreto. L’importante è quindi usare le posizioni condivisibili del governo spagnolo per far conoscere, e soprattutto per legittimare le nostre rivendicazioni che ovviamente devono evolvere.
La vicepremier spagnola – proveniente dal Partito Comunista di Spagna (PCE) – Yolanda Diaz ha dichiarato esplicitamente: “la Palestina sarà libera, dal fiume al mare” (video). È un fatto eclatante! In politica contano anche i simboli: se quella frase la urla uno studente in piazza non conta molto, se la ripeto io è banale, ma la stessa frase citata davanti alla bandiera del regno borbonico e dell’UE assume tutt’altro peso politico! La vicepremier di un governo dell’UE e della NATO che osa fare questa dichiarazione è per noi un’ottima notizia, poiché finalmente sdogana uno slogan che è corretto, sia storicamente sia politicamente, ma che in alcuni paesi dell’UE è penalmente perseguibile in quanto presuntamente “anti-semita”. In effetti il regime sionista si è subito mosso protestando veementamente tramite il suo ministro degli esteri Israel Katz. Ora però fra i cosiddetti “anti-semiti” c’è nientemeno che un rispettabilissimo governo liberale solido alleato UE/NATO… chi quindi ancora starnazza a vanvera fantasiose accuse di “anti-seminismo”, a Tel Aviv come a Berna, non è più credibile!
Certo il governo spagnolo, al cui interno non sono tutti filo-palestinesi, si è dovuto giustificare affermando di interpretare quel concetto come “due Stati che condividono dal fiume al mare l’economia, i diritti e un futuro di pace”. Si tratta di una frase assolutamente vuota, che tenta di tranquillizzare i partner atlantici (com’è ovvio che sia), ma nel contempo non smorza la potenza di quello slogan, che è solo palestinese! Questa è la diplomazia: dobbiamo imparare a leggere fra le righe, a cogliere solo le cose che contano e l’arrampicata sugli specchi non è affatto dirimente!
Ovviamente non possiamo illuderci che Madrid, di colpo, non riconosca più Tel Aviv: la Spagna resta uno Stato a sovranità limitata che deve ancora ubbidire all’UE e alla NATO, e il PCE è solo un partner minore nella coalizione di governo, che non potrà imporre svolte rivoluzionarie dall’interno. I rapporti di forza, insomma, non permettono di fare di più che riconoscere la Palestina e il principio dei “due Stati”, ma è comunque una conquista che non va sottovalutata. Ovviamente a noi comunisti non basta, ma ciò toglie forse importanza al gesto della ministra Yolanda Diaz e del PCE? No, anzi il gesto va enfatizzato come conquista di tappa, sulla quale costruire qualcosa di ancora più avanzato!
Impariamo insomma a non deprimerci sempre e solo sui limiti di una prassi, ma anche a evidenziarne i progressi, solo così si avanza nel costruire un’alternativa! La forza di un progetto comunista serio necessita di slancio, di entusiasmo, consapevoli che i lavoratori e le masse popolari non si fidano di chi invece ha una prospettiva sempre esclusivamente perdente, minoritarista e gruppuscolare.
Dopo aver dovuto rassicurare Israele che, in pratica, i comunisti non sono maggioritari nel governo, il governo Sanchez ha siglato un accordo vergognoso per l’esportazione di armi all’Ucraina che include l’invio di altri missili Patriot e carri armati Leopard e che prevede contratti multimilionari per l’industria militare spagnola legata alla NATO. Il PCE non condivide ovviamente questa scelta (leggi) ma probabilmente non riuscirà a cambiarla. Deve per questo ritirarsi dal governo (borghese) e finire all’opposizione? È una discussione eterna nel movimento comunista internazionale. Le valutazioni, dovendosi adeguare al paese, alla percezione di massa e alla fase storica, possono divergere. Altri comunisti, come ad esempio i nostri compagni del Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE), da sempre e coerentemente sono dell’avviso che il governo di centro-sinistra non fosse da legittimare e per questo criticano i compagni del PCE (leggi). Cosa però debba ora succedere in Spagna lo decideranno solamente i comunisti spagnoli in piena indipendenza, senza ingerenze da parte nostra.
I compagni spagnoli faranno le opportune valutazioni anche dal punto di vista tattico, per capire se mantenendo dei ministri nell’esecutivo potranno perlomeno frenare con maggiore efficacia le più pericolose derive belliciste che porterebbero la Spagna all’interno della terza guerra mondiale rispondendo agli interessi statunitensi, oppure se riterranno che già oggi i margini di agibilità si siano esauriti e sceglieranno conseguentemente di dissociarsi totalmente da Sanchez, rischiando però che il governo non abbia a quel punto più alcun freno ad allinearsi col peggior imperialismo e sionismo.
Qualsiasi sia la decisione, il dibattito e l’esperienza del PCE saranno per noi fonte di studio, perché perlomeno avrà provato non a declamare principi astratti ma ad incidere nella realtà, e già solo questo è …marxismo!