L’Associazione Svizzera-Israele paga per controllare chi la pensa diversamente. Nel mirino dei sionisti persino le autorità federali!

L’associazione Svizzera-Israele (ASI) offre un posto di lavoro ai suoi soci, quello di …spia! In cambio di un compenso fisso vi sarà infatti la possibilità di “osservare sistematicamente il campo avversario”. In un’e-mail inviata ai membri, che la redazione del settimanale comunista romando “Voix Populaire” ha potuto consultare, questa lobby sionista che opera sul territorio della Confederazione vuole avviare un monitoraggio esteso dei cittadini svizzeri che osano solidarizzare con la lotta di liberazione nazionale palestinese: “ci sono più istituzioni di quante ne conosciamo che si dichiarano solidali con la ‘Palestina’, anche se il conflitto in Medio Oriente spesso non ha nulla a che fare con i loro obiettivi e compiti. Spesso la cosiddetta ‘solidarietà’ ha una connotazione antisemita”, ritiene l’autrice dell’e-mail.

Spiare i deputati, intimidire gli accademici, ecc.

Il target principale dell’ASI sono in particolare l’Associazione Svizzera-Palestina guidata dall’ex-deputato ecologista Geri Müller, il colletivo militante “Urgence Palestine” e – senza alcun limite e rispetto per le istituzioni democratiche – addirittura il gruppo parlamentare Svizzera-Palestina, di cui è membro il “senatore” socialdemocratico ginevrino Carlo Sommaruga. Ma l’operazione non si limita a questi gruppi: stando al giornalista Joel Depommier che ha condotto l’inchiesta per “Voix Populaire”, l’ASI include nella sua “indagine” anche i media e le università, che non a caso stanno vivendo un’ondata di proteste studentesche proprio in queste settimane: l’associazione sionista, infatti, nella sua circolare interna cita esplicitamente gli atenei di Berna, Basilea, Neuchâtel e Ginevra, e in particolare invita a tenere d’occhio le tesi di ricerca sul post-colonialismo. Insomma: intimidire gli studenti e i docenti affinché non osino discutere di temi critici per il regime di Israele. Ad essere un target dell’ASI però ci sono anche organizzazioni umanitarie per nulla considerabili come unilateralmente filo-palestinesi: Alliance Sud, Amnesty International, persino il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR). Anche la Confederazione – nonostante con il ministro Ignazio Cassis, capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), si sia sbilanciata a favore di Israele – va spiata: “in particolare alcune parti del DFAE e del DFI e il Fondo nazionale” sono sospettati dai sionisti di essere prevenuti a favore della Palestina.

Dopo le occupazioni in solidarietà con la Palestina, anche gli atenei svizzeri finiscono nel mirino dei sionisti.

L’ASI nega di voler spiare gli avversari, ma…

Il logo dell’Associazione Svizzera-Israele, improvvisatasi (o specializzatasi?) agenzia di intelligence.

Ovviamente, contattata dal giornalista, l’associazione sionista elvetica rifiuta l’accusa di spionaggio, ritenendo semplicemente di voler osservare le informazioni pubblicamente accessibili provenienti dalle organizzazioni e istituzioni citate che risulterebbero coinvolte nel conflitto mediorientale. Poi ammettono: “svolgiamo questo tipo di monitoraggio da molto tempo, ma poiché ogni giorno compaiono nuovi attori, abbiamo bisogno di rafforzare il nostro piccolo ufficio”, spiega Walter L. Blum, responsabile dell’organizzazione intervistato dalla “Voix Populaire”. Il messaggio è chiaro: i sionisti sono organizzati, hanno risorse finanziarie e non si limitano a tenere d’occhio l’avversario leggendone le attività sulla stampa, ma attraverso un “piccolo ufficio” di persone (per di più stipendiate) stanno raccogliendo informazioni e costruendo verosimilmente un database di persone e associazioni nemiche. Un certosino lavoro di intelligence (che manca invece a sinistra) che potrebbe essere funzionale anche alla sicurezza nazionale israeliana che – tollerata dagli 007 confederati – è probabilmente già oggi presente sul territorio svizzero.

Gli insegnamenti per il movimento anti-sionista

Non occorre fare allarmismo: la lotta di classe si sviluppa così da sempre e quella palestinese è proprio l’esempio più alto di lotta di classe che si unisce a una lotta di liberazione nazionale. Ovvio quindi che i sionisti abbiano paura, anche dopo la decisione di 75 università spagnole di sospendere la cooperazione accademica e di ricerca con gli istituti israeliani collusi con il genocidio e l’apartheid. Occorre quindi continuare la mobilitazione ponendosi obiettivi concreti e realizzabili, senza essere però ingenui. Gli infiltrati sionisti nei movimenti studenteschi e nei partiti progressisti esistono: si possono fingere filo-palestinesi ma in realtà agiscono con fare disfattista oppure solo provocatorio per deviare le lotte con maggiore potenziale su binari morti. Il regime di Tel Aviv proprio sulla cooperazione accademica ha costruito una parte consistente del suo potere internazionale e il suo esercito ne sfrutta le ricerche tecnico-scientifiche, ecco perché questo movimento di lotta nelle università potrebbe essere una pietra miliare e di cesura nella storia di Israele, lo Stato (coloniale e razzista) costruito ex-novo nel 1948 dopo gli orrori nazisti occupando con la forza la Palestina e scacciandone i suoi abitanti. Ed ecco perché la repressione dei rettori è così forte contro i ragazzi e così incoerente rispetto a quanto fatto con la Russia solo due anni fa: è in ballo la libertà accademica, il pluralismo e la stessa sovranità nazionale svizzera. I circoli svendipatria si sono annidati ormai non solo a Palazzo federale e nello Stato Maggiore Generale dell’esercito, ma anche ai vertici dei poli accademici che sempre più rappresentano un’élite globalista lontana dalla cultura nazional-popolare del nostro Paese. Nella resistenza a tutto ciò risiede l’importanza di questo movimento!