Difficile definire in poche righe il fascismo salazariano. António de Oliveira Salazar, impregnato di un cattolicesimo reazionario, retrivo e pauroso di tutto ciò che odorasse di modernità, conservatore fino al parossismo, nemico del liberalismo ma servo della NATO e aggrappato alla greppia del Piano Marshall, timoroso dell’istruzione al punto di impedire la nascita di nuove università preservando solo quella secolare di Coimbra, spaventato dalle fabbriche di cui ha vietato la costruzione ritenendole un covo di potenziali sovversivi marxisti, propugnatore di una civiltà agraria di stampo medievale con pochi padroni e molti contadini obbedientemente sottomessi a cui doveva essere garantita poco più di una modesta sussistenza, difensore indefesso del colonialismo quale strumento di sfruttamento accanito e implacabile degli africani considerati razzisticamente inferiori in tutto – anche spiritualmente – ma mascherato dietro la farsa del “lusotropicalismo” inventato su consiglio del suo amico Winston Churchill, edificatore di un corporativismo che non aveva neppure la parvenza, ancorché falsa e posticcia, del presunto solidarismo interclassista mussoliniano, ma era ferocemente gerarchico e anzi teorizzatore dell’obbligatoria subordinazione delle classi inferiori ai ricchi e ai potenti. Un fascismo esteriormente sobrio, il professorino d’economia Salazar, benché primo ministro per più di quarant’anni, non si faceva quasi mai vedere, niente balconi e adunate come il fascismo, il nazismo e il franchismo, pertinacemente autoritario, possibilmente autarchico, realmente violento, essendo la polizia politica PIDE una delle più assassine della storia del Novecento, un Portogallo in cui i giovani erano obbligatoriamente organizzati nella Mocidade Portuguesa dai sette ai venticinque anni, ma poi nulla più, per lasciare spazio all’oscurantista chiesa cattolica nazionale e all’esercito. Un tragico e feroce miscuglio antimodernista chiamato “Estado Novo”, che di “nuovo” aveva solo il nome, essendo in tutto e per tutto l’organizzazione sociale più anacronistica d’Europa.
Tuttavia nel 1973 il destino del Portogallo esce dalla sonnolenta dittatura salazarista che da quasi mezzo secolo lo avvinghia e prende a correre verso il futuro, a gennaio Amilcar Cabral fondatore del Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde è brutalmente ucciso in Guinea dalla terribile PIDE, la quale ha anche provato a uccidere il presidente guineano Ahmed Sékou Touré che ha protetto e aiutato Cabral e i guineani nella loro lotta, per altro l’ONU ha accolto tra i suoi membri la Guinea-Bissau, installata nei territori liberati dai rivoluzionari, quale nazione a tutti gli effetti, ancorché riconosciuta solo dai paesi socialisti e da alcune nazioni africane. Il generale Antonio de Spinola, governatore della colonia, da tempo si incontra segretamente con il presidente senegalese Léopold Senghor per discutere del futuro e quindi in estate viene rimosso e richiamato a Lisbona. Da quando nel 1968 Antonio de Oliveira Salazar è finito prima in ospedale e poi dal 1970 al campo santo, il posto di primo ministro è toccato all’avvocato Marcello Caetano, il quale ventenne nel 1926 all’avvento della dittatura si mostrava spavaldo e sprezzante, definendosi antimoderno, antiliberale, antidemocratico, antiborghese, antibolscevico, controrivoluzionario, reazionario, cattolico, monarchico, intollerante e intransigente, in realtà mezzo secolo dopo è un burocrate impacciato, stretto tra qualche piccolo cambiamento che non riesce a realizzare, la spocchia di quella parte dei militari rimasti fascisti che chiede di utilizzare il pugno di ferro contro tutti gli avversari del regime, le colonie di Guinea, Capo Verde, Angola e Mozambico decise e perseguire la strada dell’indipendenza. Caetano indice per ottobre ’73 le elezioni, ma a votare vanno in pochi, finendo contestato da tutti, dai crescenti gruppi marxisti ancorché non dichiarati apertamente, anche tra i soldati e i capitani dell’esercito, dagli estremisti di destra, dai borghesi che guardano al capitale finanziario anglo-americano.
I capitani dell’esercito, dopo aver fondato a dicembre il Movimento delle Forze Armate, decidono per il 16 marzo 1974 di realizzare un colpo di stato, una rivoluzione che rimetta il popolo al potere, ma due giorni prima sono rimossi i generali de Spinola e Costa Gomes e sono costretti a rimandare la rivoluzione. Il 22 marzo 1974 esce il libro di de Spinola “ Il Portogallo e il futuro”, un libro moderatamente gollista ma capace di terremotare la politica e la società, vendendo centinaia di migliaia di copie, chiede di riconoscere l’indipendenza alle colonie, ma salvaguardando gli interessi lusitani e atlantisti, tanto, aggiunge il generale, la guerra è impossibile vincerla, perché i movimenti di liberazione hanno profonde radici popolari, in più le guerre coloniali assorbono metà del misero bilancio nazionale portoghese, francamente un po’ troppo per le tasche dei cittadini. Nulla di rivoluzionario, ma tutti temi vietati dalla censura di regime sulla stampa portoghese. Il colpo definitivo contro la dittatura lo assesta il più grande pontefice del Novecento, Paolo VI, anche indispettito per il divieto di circolazione imposto dai salazaristi alla sua enciclica “Populorum Progressio”, il papa conferma di accogliere la risoluzione di gennaio ’74 delle Nazioni Unite secondo cui il Portogallo non rappresenta e non può rappresentare i popoli di Angola, Mozambico, Capo Verde e Guinea Bissau. A mezzanotte e mezza del 25 aprile 1974 Radio Rinascita trasmette la canzone “Grandola villa morena”, all’alba tutta Lisbona e tutto il Portogallo sono in festa, i capitani d’aprile sono usciti dalle caserme, hanno destituito tutti i rappresentanti della dittatura e insediato una giunta di salvezza nazionale con a capo il generale de Spinola. È la Rivoluzione dei Garofani, perché neppure un colpo viene sparato, ma comunisti e socialisti fanno affluire nella capitale migliaia di garofani rossi, messi nelle canne dei fucili dei soldati da donne e uomini festanti.
La rete clandestina del Partito Comunista Portoghese emerge dalla clandestinità, dopo aver pagato il più alto tributo in carcere e sangue nella lotta contro la dittatura, per tutto il paese sventolano le bandiere rosse, gruppi di ogni orientamento marxista inneggiano alla falce e al martello per la gioia degli extraparlamentari di tutta l’Europa occidentale. Alvaro Cunhal, segretario generale dei comunisti portoghesi, indica la strada di un radicale cambiamento sociale e la possibilità di uscire dalla NATO, il Movimento delle Forze Armate condivide i suoi orientamenti, ma la borghesia e il Partito Socialista di Mario Soares in un anno e mezzo riporteranno il Portogallo nell’alveo atlantista e imporranno un compromesso socialdemocratico, disinteressato a una vera emancipazione delle masse lavoratrici agricole e operaie.
Tuttavia alcuni semi di quell’aprile resteranno indelebili, non solo nella memoria dei portoghesi, ma anche in uno spirito di partecipazione alla vita democratica più solido che nel resto dell’Europa, a memoria di una libertà tardivamente conquistata.