Lunedì 30 gennaio 2012 è stata convocata in Belgio uno sciopero generale. Il medesimo giorno a Bruxelles il summit dei capi di stato e di governo dell’Unione Europea si riunirà e saranno prese nuove misure anti-popolari per uscire dalla crisi economica a scapito dei diritti sociali dei lavoratori: stando alla convocazione inviata dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il summit sarà consacrato alla “stabilità finanziaria”. Il governo belga ricorrerà all’aerodromo militare di Beauvechain per permettere ai leader europei di atterrare: in effetti l’aeroporto internazionale civile di Bruxelles rischia di essere paralizzato a causa dello sciopero generale indetto dai sindacati. Non si esclude nemmeno l’utilizzo delle forze armate per tenere a bada il popolo in agitazione.
Essere povero… costa!
Ci sono motivi sufficienti per scioperare? I sindacati belgi ne sono convinti! Il governo per far fronte alla crisi economica, infatti, non sta in nessun modo trovando delle soluzioni che vadano a reperire i soldi dove ci sono, ma sta promuovendo misure che indeboliscono ulteriormente le fasce già tartassate della popolazione. Le ultime proposte sono l’aumento delle tasse (non proporzionali al reddito) sulla televisione, sul tabacco e sull’alcool. I ricchi potranno quindi ancora consumare a piacimento, i poveri invece no. Lo stesso governo limita poi il diritto alle deduzioni fiscali che le famiglie potevano richiedere per isolare la propria abitazione, per affidare i bambini agli asili nido e per l’alloggio. Anche qui le abitudini dei ricchi non muteranno, mentre le famiglie di ceto medio-basso dovranno tirare ancora un po’ la cinghia. Non è tutto: il governo di Bruxelles ha deciso di ridefinire il calcolo delle pensioni riducendo le future rendite pensionistiche. Le indennità per i disoccupati naturalmente sono pure state tagliate, peraltro cosa che in Svizzera la destra è riuscita a far passare in votazione popolare lo scorso anno giocando sull’inganno dei presunti “abusi”. Insomma: un attacco dietro l’altro al potere d’acquisto dei ceti medi e bassi della popolazione.
Il padronato belga costantemente favorito
Il governo belga, così intento a “uscire” dalla crisi a scapito dei lavoratori, rassicura però le grandi imprese: suicidariamente si aboliscono le imposte alle grandi aziende, rinunciando così a ben 16 miliardi di euro che mancheranno per finanziare servizi di utilità pubblica, come la scuola e le assicurazioni sociali. E allo stesso modo tutta una serie di altri contributi sono stati tolti per alleggerire il carico fiscale delle grandi aziende che – crisi non crisi – in realtà continunano a fare utili. In pratica si obbliga le famiglie operaie belge a risparmiare per 11,3 miliardi di euro, ma nel contempo si rinuncia a incassare da parte dei ricchi decine e decine di miliardi. E nel frattempo il governo sta già studiando di aumentare i prezzi dei biglietti dei mezzi di trasporto pubblico dal 2,7 al 4,5% e a un incremento generalizzato delle tariffe minime di elettricità, gasolio, ecc.
Una forte mobilitazione
In questo clima di forte scontro sociale, o per usare una terminologia d’altri tempi ma che in realtà rende bene l’idea di “lotta di classe” fatta dall’alto verso il basso, i sindacati belgi hanno scelto la via dello scontro: dopo una manifestazione il 2 dicembre con 80’000 persone in piazza nella capitale, ora è la volta dello sciopero generale in tutti i settori economici che mira a bloccare l’intero paese. All’interno dei sindacati e sul territorio è fortemente impegnato il Partito del Lavoro (PTB), un’organizzazione di ispirazione comunista che con i suoi oltre tremila militanti attivi organizzati in cellule sui posti di lavoro e nelle scuole esercita una influenza non indifferente in molti sindacati di categoria del paese e in vari altri movimenti. Il PTB inoltre tramite il suo servizio giuridico informa sui diritti dei lavoratori e dei sindacalisti nei vari momenti dello sciopero e attraverso le sue “Case medicali” offre cure mediche gratuite a molti cittadini non benestanti. Realtà popolari abbandonate con il tempo invece dai socialisti belgi, ormai collusi con gli apparati di governo e discreditati dalle precedenti amministrazioni. Anche il “Fronte delle Sinistre”, alleanza cui appartengono gli euro-comunisti e i trozkisti, seppur molto più debole rispetto al PTB, inizia a far sentire la sua voce ricercando consensi contro il neo-liberismo.
Giornalisti papagalli… altrimenti perdono il posto!
Se vi dicessimo, a questo punto, che tutti i media sono obbligati a dare notizia di un singolo sondaggio che affermerebbe che oltre la metà dei cittadini belgi è contro i sindacati e la loro dichiarazione di sciopero generale e che se quella redazione che rifiutasse di seguire il diktat rischierebbe la chiusura? In molti griderebbero all’esagerazione, altri replicherebbero che in Occidente vi è piena libertà e pluralità di informazione e che non a caso ci sono tanti quotidiani orientati verso varie idee politiche. Qualcuno sicuramente direbbe anche che solo nei regimi totalitari succederebbe il contrario. Ebbene non è così: sotto il manto del pluralismo e della democrazia i giochi li conducono pochissimi centri di potere economico e politico che fanno finta a volte di “litigare” e altre volte, quando è necessario, si uniscono in cori bipartisan. Osservate ad esempio questa immagine.
Lo stesso titolo, lo stesso articolo, le stesse parole! Non c’è una sola penna, un solo giornalista che osa dire qualcosa di diverso rispetto a quanto le poche multinazionali chiamate “agenzie di informazione” obbligano a pubblicare ai giornali. Niente di che stupirsi: basta aprire la pagina di politica internazionale dei tre quotidiani ticinesi per scoprire che molto spesso gli articoli sono uguali: ma non è plagio, semplicemente tutti e tre fanno a capo alla medesima fonte! Se non è l’ATS, è l’ANSA, ma sono comunque pochissime e rappresentano un oligopolio in mano a settori fortemente collusi con i poteri economici e politici occidentali. Un finto pluralismo, insomma, è alla base della libertà di stampa nelle tanto decantate democrazie europee che pretendono di insegnare al mondo cosa sia la democrazia. Si tratta insomma di una campagna di propaganda e di disinformazione a senso unico degna di ben altri regimi: è così che i governi democraticamente eletti dei paesi in crisi cercano di nascondere la verità ai propri cittadini, sperando di castrare la loro volontà di reagire e di resistere.