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Elezioni in Serbia : quando la democrazia diventa un fenomeno mediatico

Il 28 dicembre scorso, il giornalista Christoph Mörgeli intitolava il suo articolo apparso sulla Weltwoche nel modo seguente : Se il presidente serbo Vucic viene eletto con il 47% dei voti, i media le definiranno “elezioni rubate”. Se Joe Biden sconfiggerà Trump alle elezioni americane, tutto sarà perfetto. I critici potranno subito accusare Mörgeli, la Weltwoche e tutto l’UDC di sostenere, seppur in modo velato, la tesi espressa da Trump dopo la sconfitta elettorale del 2020. Poco male. A me l’articolo interessa più che altro perché ci invita a riflettere sul modo in cui i media influenzano la nostra visione degli altri paesi.

Infatti, gli argomenti con cui, il 24 dicembre scorso, i leaders della coalizione antigovernativa “Serbia contro la violenza” hanno convinto i loro sostenitori ad assaltare il Municipio di Belgrado, non sono particolarmente diversi da quelli usati da Trump per spingere i suoi adepti ad attaccare il Campidoglio, nel gennaio del 2021. Come l’ex presidente americano, inoltre, anche l’opposizione serba dispone di imponenti apparati mediatici. Questa volta, però, ad incoraggiare la rivolta non è Fox News, il canale televisivo dei repubblicani a stelle e strisce. A dare voce alle organizzazioni politiche serbe filo-occidentale, infatti, c’è un canale televisivo, “N1”, finanziato e organizzato nientepopodimeno che dalla CNN statunitense : il canale del Partito Democratico degli USA. Gli stessi giornalisti che davano del pazzo a Trump per le sue accuse di brogli e auspicavano il suo arresto per aver organizzato l’assalto “al cuore della democrazia americana”, accusano oggi Vucic di brogli e incitano i serbi alla rivolta.

Né Fox News, né N1 dispongono di prove concrete per avvallare la loro tesi di “elezioni rubate”. L’opposizione serba si appoggia sulle inchieste di “osservatori internazionali indipendenti”, vale a dire i delegati dell’Unione Europea. Essi però, oltre a non essere né “internazionali” né tantomeno “indipendenti”, hanno comunque sottolineato che questi brogli, se ci sono stati, non erano in ogni caso determinanti per l’esito delle elezioni. Chi, puntualmente, non manca di far pressione su Belgrado affinché adotti le sanzioni contro la Russia, allenti i suoi legami con la Cina, riconosca l’indipendenza del Kosovo e smetta di incitare il sentimento irredentista dei serbi di Bosnia, ammette quindi la vittoria elettorale di Vucic.

D’altro canto, anche tra i media europeisti, non mancano coloro che invitano alla prudenza. Il 26 dicembre scorso, in un articolo apparso sul sito Meridiano 13 e intitolato Non c’è nessuna rivoluzione in Serbia il giornalista Marco Siragusa affermava che l’Europa “ha tutto l’interesse a mantenere la situazione stabile ed evitare di spingere definitivamente Belgrado nelle braccia di Mosca e Pechino”. La “situazione stabile”, a cui allude Siragusa non è altro che il frutto della politica di neutralità adottata da Vucic nelle relazioni internazionali. Pertanto il suo invito è quello di non rompere un equilibrio che porterebbe all’apertura “di un nuovo fronte in cui altri attori, non solo Russia e Cina ma anche la Turchia di Erdogan, possono giocare un ruolo importante minando il faticoso lavoro ormai ventennale per avvicinare i Balcani Occidentali all’Unione”. 

Solo il tempo ci dirà quale strategia adotterà l’occidente verso un popolo e verso un governo colpevoli di voler preservare la propria indipendenza politica, senza allinearsi al diktat di potenze straniere. In tutto ciò, i media giocano e continueranno a giocare un ruolo cruciale, sia all’esterno che all’interno del paese. Creare indignazione per cercare lo scontro con la polizia, come fa N1, ma anche denunciare, come fa la Radiotelevisione della Svizzera Italiana, il “pugno di ferro di Vucic”, non farà altro che minare le basi dell’attuale neutralità serba. Chi persegue questo obiettivo, deve però tener presente che, all’interno del paese la politica estera di Vucic non è criticata solo dagli europeisti ma anche da un trasverale sentimento filo-russo che pervada la base elettorale di numerosi partiti, compresi quelli ufficialmente pro-UE, e in modo esplicito dai membri del cosiddetto “Partito russo”, i quali, tra l’altro, sono riusciti a eleggere il loro primo deputato. Contrariamente alla maggioranza degli altri media, Sinistra.ch ne ha riportato la notizia.

Levi Morosi

Laureato in storia a Friburgo, classe 1996, si è occupato di storia politica e diplomatica nell'Europa del Novecento, con un particolare interesse per la propaganda e il dibattito politico in Svizzera.