Si ritorna a parlare della strage di Ustica a seguito di un’intervista rilasciata a la Repubblica dall’ex Presidente del Consiglio italiano Giuliano Amato, che attribuisce la responsabilità all’aviazione francese, la quale avrebbe voluto abbattere un aereo su cui avrebbe dovuto viaggiare nientemeno che Muammar Gheddafi. La sera del 27 giugno 1980 però non è stato il leader libico a trovare la morte ma gli 81 occupanti (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio) di un DC-9 dell’Itavia, in rotta per un volo di linea da Bologna a Palermo. In questo articolo darò per scontata la conoscenza dei fatti; qualora si volesse ripercorrere gli eventi fondamentali della strage è disponibile un approfondimento qui.
Cossiga e Amato. Le dichiarazioni shock
Nel 2008 Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio, affermerà in un’intervista che la causa di tutto fosse la volontà francese di abbattere il Mig libico, su cui avrebbe dovuto viaggiare Gheddafi, proveniente dalla Jugoslavia. Secondo Cossiga il Generale Santovito, alto graduato del Sismi, il servizio segreto militare italiano, avrebbe avvisato Gheddafi della possibilità di un attentato, sicché il colonnello non si sarebbe imbarcato. Bisogna ricordare che allora la Francia combatteva contro la Libia in Ciad. Amato nella sua recente intervista riprende questa tesi aggiungendo nomi e dettagli. Secondo Amato la responsabilità sarebbe parimenti francese, ma ad avvisare Gheddafi sarebbe stato nientemeno che Bettino Craxi. Amato sottolinea però come i francesi non potessero agire da soli in un’operazione del genere, e che avrebbero quindi avuto il via libera dagli americani. L’aeronautica italiana sarebbe stata informata, di modo che potesse facilitare il compito all’aviazione francese; in questo modo troverebbero spiegazione gli spegnimenti e i buchi di qualche minuto dei radar.
Ma… siamo sicuri?
Partiamo da un presupposto: la responsabilità delle forze aeree NATO nella tragedia di Ustica è innegabile. Andando però nel dettaglio delle dichiarazioni di Cossiga e Amato troviamo comunque delle incongruenze e delle zone d’ombra non indifferenti, ad iniziare da chi avrebbe avvertito i libici. Secondo il primo sarebbe stato il Generale Santovito, secondo l’altro direttamente Craxi. Risulta difficile credere che si sia trattato di Craxi in prima persona, dal momento che egli non deteneva alcun mandato ufficiale nel governo Cossiga II in carica nel 1980 e che quindi non avrebbe dovuto avere accesso a quel tipo di informazioni. È altrettanto vero però che il ministero della Difesa era allora diretto da un esponente del PSI, Lello Lagorio, ed è possibile che in quel modo Craxi sia venuto a conoscenza delle informazioni in possesso del Sismi, istruendo poi per vie traverse il Generale Santovito di passare le informazioni ai libici attraverso i suoi canali.
Le incongruenze principali però non si trovano dietro le quinte delle stanze del potere ma alla prova dei fatti: il Mig libico intercettato quella sera viaggiava solo, disarmato ed era un velivolo monoposto; certamente una preparazione singolare per un volo che avrebbe dovuto simulare la scorta di un capo di Stato. Non si capisce quindi come nella versione Cossiga-Amato i caccia francesi siano caduti nella trappola libica, e come mai i libici abbiano ordito una trappola che non aveva via d’uscita per un loro pilota e velivolo che sarebbero stati certamente persi, con un notevole dispendio di mezzi molto costosi e personale militare altamente qualificato. Se davvero Gheddafi avesse volato quella sera su dei caccia (scelta comunque singolare) ci si aspetterebbe un assetto di almeno un MiG-23SM di scorta (armato) e un Mig-23UB biposto, su cui il colonnello avrebbe potuto trovare posto senza dover essere lui stesso ai comandi.
Bisogna inoltre ricordare che un altro “supertestimone” ha rilasciato delle dichiarazioni che vanno in tutt’altro senso: Brian Sandlin, marinaio statunitense in servizio sulla portaerei Saratoga, di stanza a Napoli, ha affermato in un’intervista ad Andrea Purgatori per Atlantide (La7) che la sera del 27 giugno 1980 ha chiaramente visto dei caccia intercettori F-4 Phantom decollare dal ponte della Saratoga armati di tutto punto e ritornare sprovvisti di missili aria-aria. Interrogato dagli inquirenti italiani, ha però ritrattato tutto, dicendo semplicemente di essersi sbagliato, ma lasciando trasparire di aver subito pressioni. In questo modo non si è potuto utilizzare queste informazioni in tribunale.
Il valore politico delle dichiarazioni di Amato
Insomma le dichiarazioni di Amato non aiutano a fare luce sulla strage ma addirittura rischiano di spostare l’attenzione del dibattito pubblico italiano sulle trame di potere interne agli apparati di sicurezza italiani, perdendo il focus fondamentale sull’unica responsabilità accertata: quella della NATO. Invece di concentrarsi su storie di spionaggio e torbide trame primorepubblicane è bene sottolineare un punto fondamentale dell’intervista ad Amato. È proprio lui ad affermare che “[…la presumibile mano francese, […] però non può non essere stata autorizzata dagli americani: è impensabile che una sporca azione come questa sia stata progettata mentre i generali americani erano impegnati a giocare a boccette”. Se dobbiamo trarre un insegnamento storico è proprio questo: da che esiste la NATO rappresenta una forza offensiva e tendenzialmente aggressiva, che comporta una perdita di sovranità e indipendenza per i paesi che ne fanno parte. La testa della NATO rimane a Washington, non c’è Consiglio Atlantico che tenga. Qualsiasi operazione e ambizione di un paese membro della NATO deve prima essere controllata e validata dagli americani, che la valutano sulla base della conformità o meno al proprio interesse nazionale. In altre parole, se conviene agli Stati Uniti si può fare, altrimenti nulla. Un caso eclatante in questo senso è quanto accaduto all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001: il 12 settembre 2001 il Consiglio della NATO invoca l’articolo 5 del trattato atlantico offrendosi di scatenare la difesa collettiva contro il terrorismo a sostegno degli Stati Uniti. Washington replica: “è la missione che decide la coalizione” (vedi Limes n.4/2019, p. 18). Traducendo dal linguaggio diplomatico ciò significa “siamo noi a decidere la missione e in conseguenza decidiamo chi viene con noi e cosa deve fare”.
Questa è la NATO e questo va sempre tenuto a mente. Il 27 giugno 1980 ne hanno fatto le spese 81 civili innocenti, uccisi da un atto di guerra in tempo di pace. L’insegnamento per noi oggi non è tanto piangere le vittime e dare dei cattivi ai responsabili, ma essere consapevoli dei motivi profondi di quella strage ed operare nel contesto presente affinché ciò non avvenga più. Il contesto presente costituisce un nodo fondamentale: ci troviamo in uno scenario scivoloso, in cui la guerra è dietro l’angolo. Guerra che conviene agli Stati Uniti e non conviene né agli Stati né ai popoli europei. Il nostro compito oggi di svizzeri è quello di difendere l’indipendenza del nostro paese e la nostra sovranità, di modo che non ci si debba più piegare agli interessi dell’imperialismo d’oltreoceano e si possa costruire un mondo multipolare e di pace.