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Fuori dalla morsa del fascismo e dell’imperialismo: la difesa della neutralità svizzera nella storia del movimento operaio svizzero

Il Partito Comunista difende convintamente la neutralità svizzera, in quanto sinonimo di sovranità di fronte al concreto pericolo di essere inglobati nell’Unione Europea e nella NATO e, quindi, in quanto sinonimo di progresso e di pace. La borghesia svendi-patria attualmente capitanata da Cassis ed i suoi alleati (e persino una parte della socialdemocrazia) sta distruggendo giorno dopo giorno la nostra neutralità. In questo contesto di scontro sempre più acceso fra l’imperialismo a trazione atlantica ed il multipolarismo nascente, la questione della neutralità svizzera ha dunque un’importanza elevatissima.

Il rispetto e il riconoscimento della neutralità: una assoluta priorità

Non tutti a sinistra (o meglio, quasi nessuno) però si rendono conto dell’importanza di questa battaglia politica. Certi affermano che non avrebbe senso lottare per la neutralità, dato che questa non sarebbe mai realmente esistita. È sicuramente innegabile, e i comunisti e marxisti lo sanno benissimo, che il governo svizzero, in quanto espressione del potere della borghesia, che ha degli interessi ben precisi, ha sempre avuto delle simpatie a loro volta ben precise: soprattutto nel corso del secolo scorso quindi la neutralità svizzera è stata talvolta violata o interpretata in modo più che discutibile ed il governo svizzero simpatizzava, ad esempio, per il blocco occidentale durante la Guerra fredda, ma ciò non significa che non siamo mai stati neutrali e soprattutto non giustifica oggi un abbandono definitivo della neutralità. Si deve anzi lottare affinché essa venga realmente rispettata e applicata.

Inoltre, quello che conta maggiormente è che a livello internazionale la neutralità Svizzera sia sempre stata riconosciuta, il che ha permesso al nostro Paese di fungere da mediatore in molti casi di conflitto e, quindi, di realmente promuovere la pace. Pensiamo ad esempio al ruolo da intermediario fra gli Stati Uniti d’America e l’Iran, ma non solo. La Svizzera ha infatti già assunto in passato il mandato di mediatore persino per la Russia, il cui ambasciatore all’ONU ha però recentemente affermato in un’intervista che il nostro Paese ha abbandonato la sua storica neutralità, dichiarazioni che durante la guerra fredda non venivano fatte pubblicamente dal blocco orientale in maniera così incisiva. Negli anni ’80, ad esempio, il governo svizzero decise di chiudere l’ufficio stampa sovietico Novosti e di espellere il suo direttore dal territorio elvetico. Nell’incontro che si svolse fra le autorità elvetiche e l’ambasciatore sovietico, incontro che serviva a informare i sovietici di tale decisione, l’ambasciatore disse che il suo Paese apprezzava molto la neutralità svizzera e che riteneva che un tale atto andasse contro la neutralità, invitando così le autorità svizzere a mantenere il suo status. Da parte sovietica non seguirono poi però atti di ritorsione e negli anni successivi la Svizzera ha continuato ad essere ritenuta neutrale. Se in passato quindi la nostra neutralità è stata bistrattata, occorre sottolineare che lo è sempre stata negli interessi di un’alta borghesia svendi-patria, che nel periodo della Guerra fredda sosteneva il campo atlantico, e che ogni volta i comunisti erano in prima linea per condannare tali tendenze. Oggi però, la situazione è ben più grave e ci troviamo di fronte a un vero e proprio cambiamento di paradigma, che potrà portare unicamente a conseguenze negative se non ci si mobilita in modo serio.

Il movimento anti-atomico degli anni ’60 rivendicava la neutralità svizzera. Qui una manifestazione a Zurigo negli anni ’60.

La neutralità è di destra? La storia insegna altro

Ancora più paradossale risulta però l’atteggiamento odierno della sinistra, molto critica nei confronti della neutralità svizzera e che anzi crede che lottare per la sua difesa sia una cosa di destra, che fa soltanto l’UDC. La neutralità è in realtà sempre stata difesa da una buona parte della sinistra, tranne dai movimenti trotzkisti, che già negli anni ’70 si dicevano contrari ad essa. Il Partito del Lavoro, sia a livello nazionale che cantonale, era in prima linea in questa lotta, ma non vi era certo solo lui. Due sono gli esempi che vanno citati e che sono tendenzialmente meno conosciuti. Innanzitutto, occorre menzionare il Movimento contro le armi atomiche (MCAA), in parte animato da dei socialdemocratici (anche se nel PSS vi era un forte dibattito interno in materia di armi nucleari), che negli anni ’50 e ’60 si mobilitò contro il progetto del governo svizzero di dotare il nostro Paese di armi nucleari. Il MCAA criticava questo progetto affermando che avrebbe portato ad un avvicinamento alla NATO e che sarebbe quindi stato incompatibile con la neutralità svizzera. Questo movimento parlava costantemente di minaccia all’indipendenza e alla neutralità del Paese. La somiglianza con quanto dice oggi il PC è dunque innegabile.

Un secondo esempio, ancora più locale, è quello del PSA. Nella campagna elettorale dei socialisti autonomi per le elezioni nazionali del 1979 si volle porre l’accento sulla difesa della politica di neutralità e persino del diritto alla difesa dell’indipendenza e della libertà della Svizzera. Insomma, delle rivendicazioni che oggi manderebbero in cortocircuito mezza sinistra e varrebbero direttamente l’appellativo di “rossobruno”, termine più volte affibbiato ai comunisti ticinesi. Non va poi ovviamente dimenticato il caso dei volontari antifascisti ticinesi che nel 1936 partirono dal nostro Paese verso la Spagna per difendere la Repubblica e combattere il franchismo con il motto “Liberi e Svizzeri!”. Quel motto stava a indicare come il principio della neutralità andasse inteso quale sinonimo di sovranità nazionale rispetto alle pressioni che, a quell’epoca, arrivavano dai paesi vicini caduti nelle maglie del fascismo. Neutralità intesa, insomma, come volontà di garantire l’indipendenza politica del nostro Paese.

I comunisti svizzeri da sempre in prima linea per la neutralità

Manifesto contro il riarmo del Partito Comunista Svizzero (1935).

Ma torniamo al Partito Svizzero del Lavoro, che ha sempre difeso, nel corso della sua storia, il concetto di neutralità svizzera, tranne, per essere completamente onesti, nell’immediato secondo dopoguerra, quando per il PSdL la neutralità equivaleva a un’auto-esclusione dalla neonata comunità internazionale ed era quindi da abbandonare, nell’ottica di inserire la Svizzera nel nuovo contesto geopolitico. Il PSdL cambiò però rapidamente questa sua posizione, rendendosi conto degli sviluppi internazionali e difendendo nuovamente la neutralità in quanto garanzia di non adesione della Svizzera al campo occidentale e, quindi, in quanto strumento per salvaguardare la sovranità nazionale come pure la pace. Occorre però innanzitutto tornare indietro nel tempo. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Svizzera decise di favorire una neutralità detta differenziata, che permettesse di inserirsi nella Società delle Nazioni. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, però, l’applicazione della neutralità cambiò ancora forma e di fronte all’atteggiamento più che ambiguo del governo elvetico, ed in particolare del Consigliere federale Giuseppe Motta, l’allora Partito Comunista accusò il Consiglio federale di mettere in pericolo l’indipendenza del Paese. Nel 1936, quindi nell’anno in cui gli antifascisti partirono per la Spagna, il 6° Congresso del Partito Comunista Svizzero dichiarò che la politica estera del governo svizzero metteva a rischio il mantenimento di una reale neutralità e, di conseguenza, l’indipendenza nazionale. Come nel caso degli antifascisti ticinesi partiti per la Spagna, fra i quali vi erano molti comunisti, per il PCS la neutralità andava realmente applicata così da poter garantire l’indipendenza della Svizzera.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, salvo per il brevissimo lasso di tempo sopra menzionato, il PSdL vide nella difesa della neutralità svizzera una priorità politica, fattore che portò anche a dei dibattiti con altri partiti del Movimento Comunista Internazionale, ma pure, a livello nazionale, a un dibattito interno, scaturito dall’opposizione di una minoranza contraria alla neutralità, che poi si concluse con la fuoriuscita dal PSdL di questo piccolo gruppo, che per lo più finì ai margini della politica svizzera. Di fronte all’attitudine filo-occidentale del governo svizzero, il PSdL sottolineò sempre la necessità di mantenere la neutralità e, negli anni ’50 e ’60, mise in guardia in merito ai pericoli e le gravi conseguenze che avrebbe comportato un orientamento apertamente filo-NATO. Nel 1950, la Direzione del PSdL adottò una risoluzione con la quale dichiarò di opporsi nella maniera più risoluta a tutti i tentativi di far uscire la Svizzera dalla sua neutralità, la cui osservazione più stretta serviva la causa della pace e dell’indipendenza del Paese. Inoltre, con la risoluzione il Partito invitò il Consiglio federale ad astenersi da qualsiasi partecipazione diretta o indiretta alla politica di un blocco. Poco tempo dopo, il comunista romando André Muret affermò che la difesa della neutralità si inseriva nella necessità di tenere conto delle condizioni concrete del proprio paese, il quale benché avesse dimostrato di appoggiare, soprattutto a livello ideologico, il blocco occidentale, non aveva di fatto ufficialmente preso una posizione nel campo della guerra fredda a differenza degli altri Paesi capitalisti.

Nel 1964, poi, il Congresso nazionale del PSdL approvò una risoluzione nella quale si parlava di salvaguardia stretta della neutralità, la quale sarebbe stata inseparabile da una politica attiva di pace. Le tesi del PSdL del 1971 dicevano addirittura che la Svizzera non doveva allontanarsi dall’osservanza di una stretta e rigorosa neutralità di Stato che impedisse ogni avvicinamento e subordinazione alla politica dei blocchi e proprio anche nel nome del mantenimento della neutralità, il Partito rifiutava un’adesione alla Comunità economica europea, in quanto blocco di potenze, economico e politico allo stesso tempo. Nei documenti preparatori del X Congresso nazionale del PSdL del 1974, si affermò che il concetto di neutralità sboccava sempre di più, e necessariamente, nel concetto di universalità delle relazioni diplomatiche, economiche, politiche, commerciali e culturali. Neutralità significava anche non far parte di alcuna sorta di blocco di natura economica, politica o militare. Sempre nello stesso documento, il Partito sottolineò dunque nuovamente l’importanza di salvaguardare la neutralità di Stato. In occasione poi del XIII congresso cantonale del Partito Ticinese del Lavoro nel 1986 si approvò una risoluzione politica nella quale si riaffermava l’impegno del Partito nella rivendicazione di una rigorosa neutralità di Stato della Svizzera, sul piano economico e politico e militare, considerata come premessa di una credibile politica attiva in favore della distensione e della sicurezza internazionale. Insomma: difesa di una neutralità rigorosa per permettere alla Svizzera di avere un ruolo di mediatore per il mantenimento della Pace, proprio come argomenta oggi il PC.

Il Partito Svizzero del Lavoro ha difeso la neutralità in tutto il secondo dopoguerra.

Difendere la neutralità, senza esitazioni e contraddizioni

Di esempi ce ne sarebbero molti altri, ma si rischierebbe di diventare eccessivamente ripetitivi. I documenti politici del Partito Svizzero del Lavoro e della sua sezione cantonale dimostrano che i comunisti sono sempre stati in prima linea nella difesa della neutralità. Proprio questa difesa della neutralità è quindi sempre stata un elemento centrale delle analisi e delle lotte politiche del movimento comunista e operaio ticinese e svizzero, e non solo per quanto concerne il PdL, come ben dimostravano gli esempi del Movimento contro le armi atomiche, degli antifascisti ticinesi e persino del PSA. Coerenti con il suo passato e con la sua tradizione politica, il PC prosegue oggi questa sua lotta, al contrario di chi ha deciso di abbandonare questa battaglia di primaria importanza, non rendendosi conto (o forse sì), che un’abolizione della neutralità significherebbe oggi un’adesione all’Unione Europea e persino alla NATO, con tutte le conseguenze sociali negative che delle tali adesioni comporterebbero. Ma l’incoerenza non è presente di certo solo a sinistra: durante la Guerra fredda erano spesso politici dell’UDC quelli che mettevano a rischio la nostra neutralità, come nel caso del progetto di una bomba nucleare che vedeva l’appoggio del Consigliere federale democentrista Markus Feldmann. Ma anche l’attitudine odierna dell’UDC è particolarmente contradditoria, come per quanto concerne l’acquisto di nuovi aerei militari, che consiste in una chiara sottomissione del nostro esercito alla NATO e quindi in una violazione della neutralità svizzera. L’unico Partito coerentemente a difesa della neutralità è dunque il Partito Comunista, che da sempre è il Partito della neutralità, ma anche del lavoro e del servizio pubblico.

Luca Frei

Luca Frei, classe 1998, è stato eletto coordinatore della Gioventù Comunista Svizzera nel marzo 2020. Dopo la maturità liceale ha iniziato gli studi universitari in storia ed è attivo nel Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA).