Da “Extinction Rebellion” a “Just Stop Oil”: l’eco-attivismo manipolato dal grande capitale

Imbrattare opere d’arte pare essere diventata negli scorsi mesi la nuova moda della cultura ecologista di stampo liberal. Una tipica “americanata” avremmo detto in altri momenti. Ovviamente non si tratta di nulla di spontaneo come certa sinistra ingenua potrebbe credere: le due attiviste che hanno gettato della salsa di pomodoro sul quadro di Van Gogh indossavano infatti una maglietta che è nel contempo una divisa: lo slogan “Just Stop Oil” (alla lettera: “Fermate il petrolio e basta”) che vi campeggiava non è infatti una generica rivendicazione, ma il marchio di un’organizzazione politica che fa riferimento all’esperienza della già nota “Extinction Rebellion” (XR), il gruppo più intransigente degli scioperi per il clima che nel 2019 erano stati promossi da Greta Thunberg e che avevamo analizzato già su queste colonne. Se i quadri di una galleria d’arte sono protetti dai vetri, “Just Stop Oil” non sembra volersi fermare e pare intenzionata a compiere gesti a quel punto decisamente criminali, come quella di bloccare un’ambulanza con a bordo un paziente pur di trasmettere il loro messaggio apocalittico. Parola del loro stratega!

Un “rivoluzionario” che viene pagato dai ricchi

Il guru di “Just Stop Oil” si chiama Roger Hallam, ed era già una delle menti di XR, ex-agricoltore biologico e un ecologista integralista convinto che bisogna arrivare a zero emissioni di CO2 nel giro di al massimo 4 anni. Una soluzione politicamente ed economicamente impossibile se non con un processo decrescista esasperato, la deindustrializzazione (squisitamente neo-liberale, ma ovviamente dipinta come ecologica) e una crisi sociale senza precedenti ai danni della classe operaia. Una visione messianica del tutto priva di effettivi risvolti scientifici che ci ricorda chi alcuni anni fa invitava i giovani a non più andare a scuola perché ormai il mondo non ha futuro se non si fosse fermata la cosiddetta crisi climatica. Il metodo di Hallam è chiaro: oltre ad azioni eclatanti come quello contro i dipinti di Van Gogh si deve passare al blocco delle strade e delle infrastrutture di trasporto dei centri urbani e questo “settimana dopo settimana, fino a quando gli arresti non sfoceranno nella violenza”.

Dopo Extinction Rebellion, Roger Hallam ha recentemente fondato “Just stop oil”.

Nemmeno fondata la sua associazione ha già potuto godere di cospicui finanziamenti da privati (non male per un movimento “di base” e che si pone un obiettivo apparentemente eversivo): si tratta ovviamente di imprenditori, quella parte cioè del capitalismo atlantico che fa profitti con la cosiddetta “green economy”. Fra di loro vi è ad esempio il milionario Dale Vince, fondatore di Ecotricity, una società che opera nel campo dell’energia verde, che ha ammesso di aver donato 10mila sterline. E questa è ancora una cifra bassa: altri e ben maggiori finanziamenti arrivano invece dal Climate Emergency Fund americano di Aileen Getty.

Essere militanti o essere mercenari?

Questi soldi sono usati per pagare un team di avvocati (che deve assistere gli attuali 79 attivisti fermati, ma poi quasi subito liberati: solo 7 persone si sono viste infatti confermare l’incarcerazione). Accanto ai legali vi è anche una rete di consulenti comunicativi, psicologici e politici che preparano il reclutamento dei giovani soprattutto nelle università, il loro indottrinamento e la campagna mediatica che deve sempre accompagnare le azioni nei musei, nelle gallerie d’arte, ecc. I soldi sono ovviamente anche necessari per spostare i giovani attivisti da un posto all’altro e per offrire loro vitto e alloggio. Non si tratta quindi di ragazzi magari un po’ idealisti che ci mettono del loro come vorrebbe la militanza politica di sinistra, operaia e studentesca, che imparano a organizzarsi, ma di veri e propri funzionari reclutati dai settori ribellistici e un po’ annoiati della piccola borghesia intellettuale che ha trovato un tema su cui divertirsi per un qualche tempo e senza saperlo (né capirlo) favorisce una ristrutturazione del sistema produttivo capitalistico a scapito delle classi popolari.