La Germania è contro l’Euro, anche se nessuno lo dice!

 

La crisi finanziaria ed economica che sta travolgendo tutto il mondo occidentale dal non più così vicino 2008, si è ora trasformato in una crisi del debito, a causa dei grandissimi investimenti statali fatti dai vari paesi per salvare le proprie banche dal fallimento: miliardi e miliardi tra franchi, euro, sterline e dollari che la comunità ha di fatto regalato al mondo finanziario, senza nemmeno avere la lungimiranza di pretendere in cambio anche solamente dei paletti alla speculazione. Evidentemente le lobby bancarie presenti in governi e parlamenti sono troppo forti.

Indubbiamente quei paesi che già precedentemente avevano un elevato debito pubblico in rapporto al proprio Prodotto Interno Lordo (PIL) e una struttura economica fragile – pensiamo al Portogallo, all’Irlanda, all’Italia, alla Grecia e alla Spagna (i cosiddetti PIIGS) – si trovano ora con maggiori problemi rispetto agli altri. La forte crisi di questi stati, sommata alla speculazione che il mondo finanziario, soprattutto quello statunitense, sta attuando contri di essi, ha creato una grande instabilità per l’Euro, che si è ritrovato ai minimi storici sia nei confronti del dollaro americano sia nei confronti del franco svizzero: chissà a quale rapporto di valute saremmo ora se la Banca Nazionale Svizzera (BNS), non avesse varato la misura del blocco a 1,20, a causa della quale stiamo bruciando miliardi: e questo non va dimenticato, perché non è che tale misura sia tutte rose e fiori, come cercando di farci credere gli esperti economisti della BNS e gli infausti analisti dell’Unione Sindacale Svizzera (USS), che vorrebbero il blocco addirittura all’1,40.

Il vero nodo della questione sull’Euro – e conseguentemente anche sul futuro dell’Unione Europea (UE) – che vede nella moneta unica il solo suo vero collate, passa però dalla Germania, il motore del Vecchio Continente, la cui politica economica e internazionale è in questo momento la principale discriminante sulla tenuta futura della moneta unica.

Tanto per cominciare il cancelliere Angela Merkel è la principale artefice della manovra europea che ha dato vita all’ormai famosissimo fondo salva-stati, il quale può apparire – con una prima e superficiale analisi – un elemento di solidarietà che permette agli stati in piena crisi di avere accesso ad una liquidità che non potrebbero più reperire sul mercato finanziario, a causa della bassa efficienza marginale dei capitali che poi reinvestirebbero nell’economia reale o che perlomeno utilizzerebbero per coprire i propri debiti (in sostanza si parla di un problema legato alla fiducia dei mercati); una più attenta analisi può però far emergere tre diversi elementi che permettono una chiave di lettura completamente diversa su quanto sta accadendo.

Va innanzitutto detto che i soldi investiti dai tedeschi nel fondo salva-stati, volto in primis a salvare la Grecia, non sono assolutamente privi di un secondo fine: le banche tedesche sono infatti molto scoperte dalle speculazioni fatte in Grecia, le quali mettono di riflesso a rischio la liquidità delle stesse; questo vuol dire che una parte del denaro girato agli ellenici per il loro salvataggio, torna in Germania nelle casse delle banche (con i francesi succede quasi la stessa cosa, anche se in tono minore: non a caso Nicolas Sarkozy è stato uno degli altri artefici della creazione del fondo salva-stati); mettendo così in atto un secondo salvataggio pubblico della finanza privata tedesca che – a differenza di quello precedente – non viene fatto alla luce del sole ma camuffandosi da filantropico aiuto: il governo tedesco sa bene che un ulteriore salvataggio, percepito come tale dall’opinione pubblica, non sarebbe stato molto ben accetto e conseguentemente il rischio di una non rielezione di Merkel alle prossime elezioni potrebbe diventare un vero e proprio spauracchio.

Il secondo particolare aspetto dell’operazione fondo salva-stati è quello di una perversa struttura – e conseguentemente funzionamento – volto a un indiretto sfaldamento degli attuali paradigmi della moneta unica. Ilfondo salva-stati viene infatti finanziato dagli stati dell’eurozona, seguendo quelle che sono le percentuali partecipative dei singoli paesi alla Banca Centrale Europea (BCE); in termini concreti vuol dire che il prestito ricevuto dai greci – e sottolineamo il fatto che sia un prestito, per cui con dei tassi di interesse che si aggirano al 4% – è formato anche dai versamenti di paesi come la Spagna, i quali vivono a loro volta con dei problemi di liquidità: questo vuol dire che Madrid può reperire i fondi da girare ad Atene solamente sul mercato finanziario, dove i tassi di interesse si attestano oggi attorno al 6%, per cui meno vantaggiosi rispetto a quanto viene imposto da Bruxelles con il fondo salva-stati.

Evidentemente un paese in crisi come la Grecia non riuscirà a restituire ai loro creditori il debito creatosi, se non gli interessi maturati che – come visto – sono inferiori rispetto a quelli del mercato finanziario; la Spagna non può così che registrare una grave perdita da questa operazione, non potendo a lungo andare che richiedere lei stessa un salvataggio al fondo salva-stati. A questo salvataggio dovranno però partecipare anche gli altri paesi in crisi, rimettendo in gioco il perverso sistema appena descritto, il quale si trasforma in un circolo vizioso assolutamente azzoppante per quell’Europa con più difficoltà (per non parlare delle misure d’austerità imposte agli anelli deboli).

Sul lungo periodo, ma nemmeno troppo, un paese come quello greco non potrà che costringersi all’uscita da questo fondo e dai suoi meccanismi distruttivi, oppure chiedere di stravolgerne la struttura per così pagare meno. Ad una situazione del genere la locomotiva tedesca non può che essere già pronta, avendo lei stessa scatenato la creazione delle condizioni precedentemente descritte, per cui non avranno problemi ad avanzare grosse lamentele – che già oggi cominciano a trasparire – legate al fatto che si stanno accollando buona parte dei debiti dei paesi continentali più instabili: cosa evidentemente – per la questione dell’esposizione delle banche tedesche in molti di questi paesi, descritta nelle prime righe – vera soltanto fino a un certo punto.

Di palese c’è però il fatto che il discorso, tutto sommato populista, del “stiamo pagando per tutti”, porterà l’opinione pubblica germanica – al contrario di quanto accadrebbe oggi – a sostenere la proposta di escludere dall’Euro un paese come la Grecia. L’effetto domino di un simile scenario è assicurato, per cui anche gli altri PIIGS (e forse altri ancora) non si sentiranno più in dovere di contribuire al fondo salva-stati – di cui oggi si vuole, soprattutto dai tedeschi, un potenziamento che accelererebbe le dinamiche qui denunciate – e la Germania non si sentirà in colpa per tentare di escluderli: o per meglio dire, il Governo non avrebbe più ripercussioni elettorali se applicasse misure così radicali.

Il fallimento dell’eurozona – almeno nella forma in cui la conosciamo oggi – non è quindi così lontana, e con essa tutta l’UE, che si sta dimostrando un progetto assolutamente fallimentare.

Mattia Tagliaferri, candidato al Consiglio Nazionale per il Partito Comunista

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