//

Il prevedibile boomerang delle sanzioni alla Russia. E ora che fare?

Le sanzioni dovevano servire a mandare in rovina l’economia russa: sta avvenendo esattamente il contrario e a soffrire sono i lavoratori europei e, fra loro, quelli svizzeri. Il Partito Comunista lo aveva previsto già in febbraio, dicendolo a chiare lettere durante la trasmissione “Matrioska” su Teleticino. Le sanzioni dovevano servire a isolare la Russia dal mondo, e invece hanno isolato l’Europa dall’Eurasia (che è l’unica area geopolitica destinata a crescere economicamente) e l’hanno resa dipendente dagli USA (un impero in declino che sta perdendo tutte le contese che lui stesso ha creato, dalla Siria all’Afghanistan, e che ci vuole trascinare nel baratro).

E mentre l’Europa viene privata (dagli stessi europeisti) di ogni rimasuglio di autonomia, ecco che addirittura governi finora almeno tendenzialmente filo-americani come quelli di India, Brasile, Turchia e addirittura Arabia Saudita (!) si stanno svincolando, dando una lezione di sovranità e neutralità persino alla Svizzera (che vergogna!). Che la cabina di regia di questo disastro fosse a Washington il Partito Comunista l’aveva intuito (vedi sempre Matrioska): peraltro fin dal proprio Congresso del 2013 il PC ha coerentemente aggiornato la propria strategia aderendo al concetto di multipolarismo e stabilendo relazioni coi partiti comunisti (forze politiche tutt’altro che marginali) dei paesi emergenti.

Le sanzioni dovevano servire a far crollare Putin. Ed effettivamente qualche oligarca ne ha sofferto, ma forse erano proprio quelli che il Cremlino già non voleva più fra i piedi, essendo legati per affari al solo capitale atlantico. Insomma le sanzioni hanno aiutato a consolidare la leadership di Putin sul piano popolare, con buona pace dei “liberal” (lo dico all’americana) che vivono ancora negli anni ‘90. Persino i comunisti russi, e mi riferisco qui alle organizzazioni più radicali che Putin lo hanno sempre attaccato, che sono pure finiti in carcere, ora hanno tutt’altro atteggiamento e insistono sulla necessità di liberare il Donbass.

Il Partito Comunista di cui sono segretario politico aveva previsto un’escalation in Ucraina già nel 2014 scendendo in piazza a Bellinzona, e ancora nel 2017 aveva invitato il Consiglio federale a impegnarsi per fermare i massacri ai danni dei civili russi. Dopo aver aiutato gli studenti dell’Università di Donetzk i cui diritti venivano calpestati da Kiev, avevamo addirittura perorato la causa dell’apertura di un ufficio di rappresentanza della Repubblica Popolare di Donetzk nella Confederazione. Inutile… i solerti diplomatici di Berna hanno dormito. Anzi hanno preferito discutere su come privatizzare l’economia dell’Ucraina. Sì, perché va ricordato che il summit di Lugano svoltosi all’inizio del mese di luglio non era certo il primo: già subito dopo il golpe di Euromaidan del 2014 si tenne una conferenza dell’aiuto svizzero allo sviluppo a Lucerna – ero presente! – per aiutare il regime del predecessore di Zelensky a liberalizzare l’economia ucraina a favore delle multinazionali americane.

Che fare? Possiamo ancora evitare il peggio e cioè evitare che il nostro paese sia ulteriormente coinvolto in questo terribile conflitto? Forse si, ma dobbiamo partire dal basso e subito. Iniziamo dalle piccole cose:

1. rafforziamo il Movimento Svizzero per la Pace che si muove sul principio “verhandeln statt sanktionieren” e che pone la neutralità della Svizzera come perno essenziale di ogni discorso pacifista;

2. Non cedere alla guerra psicologica e cercare – grazie ad esempio a Telegram – di uscire dall’informazione a senso unico che demonizza tutto quanto non è filo-atlantico. TeleSur in spagnolo, CGTN in francese, ecc. permettono di sentire tutte le campane e uscire dalla bolla eurocentrica in cui ci hanno costretto certi soloni che si pavoneggiano come intellettuali;

3. I giovani coscritti che devono iniziare la scuola reclute preferiscano il servizio civile, rendendosi utili alla collettività negli istituti sociali e di cura, nelle fattorie coi nostri contadini di montagna, ecc. senza così finire agli ordini di ufficiali che parlano meglio l’inglese delle lingue nazionali perché ormai vengono istruiti dalla NATO (lo vogliamo ammettere?!);

4. politicamente poi smettiamola di delegare ad altri e di dar fiducia ai soliti noti. Occorre impegnarsi in prima persona per rafforzare una sinistra patriottica che ponga al centro, accanto ai diritti del lavoro, la difesa della neutralità contro l’UE e per il rimpatrio dei nostri soldati dal Kosovo). Il Partito Comunista e i suoi militanti sono pronti a fare la loro parte!

Massimiliano Ay

Massimiliano Ay è segretario politico del Partito Comunista (Svizzera). Dal 2008 al 2017 e ancora dal 2021 è consigliere comunale di Bellinzona e dal 2015 è deputato al parlamento della Repubblica e Cantone Ticino.