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Ucraina: Mosca inizia l’operazione di smilitarizzazione. Zjuganov: “imperativo è contenere l’aggressività della NATO”

Oggi 24 febbraio 2022, di prima mattina, le forze armate russe hanno iniziato un’offensiva su vasta scala contro l’esercito ucraino. È iniziata con massicci bombardamenti di obbiettivi militari su tutto il territorio dell’Ucraina. Successivamente le truppe russe hanno varcato il confine da diverse direzioni, e si stanno dirigendo verso i principali centri di potere del paese. È l’inizio dell’“invasione russa” tanto paventata dai media occidentali? Niente affatto: è l’inizio della liberazione dell’Ucraina dal regime fascista e filo atlantico che ha illegalmente conquistato il potere nel 2014. Come ha annunciato Putin, è iniziata la “denazificazione” dell’Ucraina.

Non chiamatela invasione: l’obiettivo è la demilitarizzazione

Perché i termini “invasione” e “occupazione” non sono applicabili alla situazione odierna? Perché essi sottintendono un obbiettivo espansionista, che però è estraneo alle intenzioni di Mosca. Putin, nel discorso infuocato con cui ha annunciato l’inizio dell’intervento, ne ha definito chiaramente gli obbiettivi: la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina. Non la conquista. In altre parole, gli obbiettivi che si prefigge il Cremlino sono:

1) Liquidare il governo golpista salito al potere a Kiev nel 2014, in seguito al colpo di Stato di piazza Maidan. Un governo-marionetta completamente succube della NATO, sponsor del golpe. Un governo che dal primo giorno del suo insediamento ha attuato una politica di assimilazione culturale (se non proprio pulizia etnica) nei confronti della popolazione russofona del paese (ma anche di minoranze come quella romena e quella ungherese). Un governo che ha conquistato il potere con le armi dei neonazisti, e che dei neonazisti è rimasto ostaggio, assecondandone ogni delirio sciovinista.

2) Annientare il potenziale militare dell’Ucraina, sostenuto nel corso degli ultimi anni da costanti rifornimenti bellici da parte della NATO. Le forze armate ucraine sono sin dal 2014 un ricettacolo delle più becere nostalgie nazifasciste, come abbiamo diverse volte illustrato in passati articoli. Spalleggiate dalla NATO, esse sono un diretto pericolo per la Russia, per la stabilità dell’Europa e soprattutto per la popolazione stessa dell’Ucraina.

3) Proteggere la popolazione, in primo luogo quella del Donbass, dalle angherie di un governo russofobo che dal 2014 si è preso le vite di oltre 2000 civili, non disposti a piegarsi al cambio di regime. Questa cifra non considera le vittime tra coloro che, semplici cittadini di Donetsk e Lugansk, hanno preso in mano le armi per difendere le proprie case: essi ricadono sotto le perdite “militari”.

A partire dal golpe del 2014, le bande fasciste hanno imperversato liberamente in tutto il Paese.

Ci troviamo insomma di fronte a un’operazione umanitaria a tutti gli effetti. E questa volta non si tratta di una formula ipocrita, utile solo a coprire plateali aggressioni verso paesi non allineati a Washington.

I media occidentali dicono che Putin ha rifiutato la via diplomatica. Un’affermazione ormai fuori tempo massimo, siccome la via diplomatica si è esaurita già con lo sdegnoso rifiuto americano delle condizioni avanzate da Mosca lo scorso dicembre, tra le quali la fine dell’espansione a est della NATO, in particolare riguardo l’Ucraina. Le richieste di Mosca rispondevano a oggettive esigenze di sicurezza per la Russia, ed erano poste in forma ultimativa. E il mancato rispetto di un ultimatum comporta necessariamente delle conseguenze, altrimenti non si tratta di un ultimatum.

Ciononostante Putin aveva lasciato uno spiraglio per una soluzione più o meno pacifica: in conclusione al suo lungo discorso di lunedì sera, in cui ha riconosciuto l’indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, il presidente aveva esortato Kiev a cessare qualsiasi azione bellica, altrimenti la responsabilità di ulteriori spargimenti di sangue sarebbe ricaduta interamente sul governo ucraino. La risposta? Da parte di Kiev nessuna. Nel Donbass invece l’esercito ucraino non ha cessato i bombardamenti e gli attacchi terroristici (con ordigni esplosivi piazzati nei centri abitati), che hanno colpito, come sempre deliberatamente, centri abitati e infrastrutture civili delle Repubbliche popolari. Ampie porzioni delle Repubbliche sono rimaste senza corrente elettrica e acqua. Nuove distruzioni, nuove perdite umane, anche tra la popolazione civile. Ciò si è protratto per le giornate di martedì e mercoledì, dopodiché “l’orso ha perso la pazienza”.

Nulla valgono ormai gli appelli dei leader occidentali al rispetto degli accordi di Minsk: essi non sono riusciti a costringere Kiev a rispettarli per otto anni, chi vogliono ingannare adesso? In questo articolo Davide Rossi ci spiega come proprio la Russia abbia cercato da sola di tenerli in vita tutto questo tempo. Ma ormai si tratta di carta straccia. Per quanto brutto possa suonare, a causa all’ostruzionismo diplomatico occidentale questo conflitto sarà risolto per via militare.

La situazione militare: verso lo smantellamento delle postazioni ucraine

L’operazione è iniziata con attacchi mirati alle infrastrutture militari: nelle prime ore del mattino sono state colpite le principali basi militari, aerodromi, centri di comando. È stato distrutto il sistema radar dell’esercito. Questo primo passo è stato finalizzato a negare all’Ucraina la possibilità di usare armi a grande capacità distruttiva (come aviazione e sistemi missilistici). Un fattore che infonde ottimismo è che non sono state confermate vittime civili in seguito agli attacchi russi. Sebbene praticamente inevitabili in ogni conflitto di questo genere, l’inizio è promettente, ed è segno che la guerra, per quanto sempre un affare sporco, si può condurre anche senza bombardare ospedali e scuole. Qualcuno oltreoceano dovrebbe prendere appunti.

Ma le vittime civili purtroppo continuano a registrarsi nel Donbass, sempre per mano dell’artiglieria ucraina. Inoltre si riporta che due navi civili russe in navigazione nel mare d’Azov sono state colpite da missili ucraini.

Sulla linea di contatto in Donbass, le milizie di Donetsk e Lugansk sono passate all’attacco, spezzando il fronte nemico con l’obbiettivo di mettere fine ai bombardamenti terroristici che da otto anni stanno martoriando la regione. Ma nella regione è concentrato il grosso dell’esercito ucraino, perciò sono in corso aspri combattimenti.

Le operazioni russe si stanno concentrando essenzialmente su obiettivi militari.

Le unità di terra dell’esercito russo hanno invece varcato il confine in diversi punti. Dal confine nord-orientale sono avanzate verso Kharkov (la seconda città più popolosa del paese), giungendo nelle sue periferie, e verso Sumy (capoluogo dell’omonima regione), di cui è stato preso il controllo.

A sud, dalla Crimea, i russi sono penetrati nella oblast’ (regione) di Kherson, entrando rapidamente nell’omonima capitale. Immediatamente è stato ripristinato l’approvvigionamento idrico della Crimea, interrotto da Kiev con il blocco del canale che la collegava con lo Dnepr. Decisione che ha condannato la penisola a lunghi anni di siccità, finalmente giunti al termine.

A nord un distaccamento ha varcato il confine bielorusso, dirigendosi verso la capitale Kiev. Le forze russe hanno preso in custodia il sarcofago della centrale atomica di Chernobyl’. Un raid effettuato con elicotteri da trasporto ha preso inoltre il controllo dell’aerodromo di Hostomel, a una quarantina di chilometri da Kiev. Qui potranno venire aviotrasportate le numerose forze necessarie alla messa in sicurezza della capitale. Per questo è in corso uno scontro serrato con le truppe ucraine che cercano di riconquistarlo.

Si hanno inoltre testimonianze di scontri nei pressi di Odessa. La conquista della oblast’ odessita significherebbe anche il ricongiungimento con la Transnistria e il corpo militare russo che la presidia.

Al momento della pubblicazione di questo articolo, il Ministero della Difesa russo ha annunciato il raggiungimento di tutti gli obbiettivi prefissati per la giornata di oggi. Il primo giorno di operazione umanitaria può definirsi un successo, anche grazie alla saltuaria e generalmente debole resistenza ucraina.

Del resto nella sua dichiarazione di questa mattina Vladimir Putin si era rivolto in questo modo ai militari ucraini: “Devo anche rivolgermi ai militari delle forze armate dell’Ucraina. Compagni! I vostri padri, nonni, bisnonni non hanno combattuto contro i nazisti, difendendo la nostra patria comune, affinché i neonazisti di oggi potessero prendere il potere in Ucraina. Avete fatto un giuramento di fedeltà al popolo ucraino, e non alla giunta anti-popolare, che sta derubando l’Ucraina e maltrattando questo stesso popolo. Non eseguite i suoi ordini criminali. Vi esorto a deporre immediatamente le armi e ad andare a casa. Voglio essere chiaro: tutti i membri dell’esercito ucraino che soddisfano questa richiesta potranno lasciare la zona di guerra senza ostacoli e tornare alle loro famiglie.

Una proposta che sicuramente è risultata allettante per molti soldati, non certo tutti fanatici e indottrinati.

Soldati ucraini volontariamente arresisi nell’Oblast’ di Donetsk.

Tirando le somme, l’operazione è iniziata nel migliore dei modi: senza (pare) danni collaterali tra la popolazione civile, ed evitando massacri tra i militari nemici. Kiev riporta 40 perdite militari, cifra sicuramente propagandistica e sottostimata, ma che fa capire che non ci troviamo di fronte a un bagno di sangue.

Ma una cosa va chiarita: questo non è l’inizio della guerra. La guerra è iniziata otto anni fa, quando a Kiev trionfò il colpo di stato fascista e anticostituzionale. E per tutto questo tempo il conflitto ha continuato a mietere vittime. Questo non è l’inizio della guerra, ma speriamo che sia l’inizio della sua fine.

E dopo? Gli scenari per la normalizzazione della situazione

Ora che le forze armate russe sono a 40 chilometri da Kiev, la sorte del regime-marionetta di Zelensky sembra segnata, anche se probabilmente sopravvivrà ancora a lungo sotto forma di governo in esilio.

Ma si pone la questione del futuro dell’Ucraina. Cosa l’aspetta una volta rovesciato questo governo illegittimo?

È ancora presto per dirlo, ma sono possibili diversi scenari. La Russia potrebbe indire delle elezioni, questa volta davvero libere, che eleggano un governo disposto a instaurare con Mosca sane relazioni di buon vicinato. Ci auguriamo che in questo caso riesca a parteciparvi anche il Partito comunista dell’Ucraina, messo nel 2015 fuorilegge dalla giunta fascista. È anche possibile che venga perseguita la linea dell’autodeterminazione, come avvenuto con i referendum in Crimea, e nelle oblast’ di Lugansk e Donetsk. Ogni regione così deciderà in autonomia il proprio futuro.

Se l’Ucraina va incontro a cambiamenti drammatici, ma comunque positivi, il peso di questa crisi cadrà sulle spalle della Russia. La NATO, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno escluso un diretto coinvolgimento militare nella faccenda, ma hanno pure annunciato sanzioni pesantissime nei confronti della Russia. Sanzioni che colpiranno l’economia, danneggiando anche il tenore di vita delle persone comuni. La tensione sociale, già piuttosto alta, è destinata a crescere, e con essa la voce dei “pacifisti”, che in questo caso però farebbero, consapevolmente o meno, il gioco dell’imperialismo.

Per Gennadji Zjuganov (PCFR) “solo la demilitarizzazione dell’Ucraina potrà garantire la protezione dell’Europa”.

Putin ne è convinto: si tratta di un sacrificio inevitabile. L’espansionismo atlantico ha spinto la Russia in una situazione in cui non poteva agire altrimenti. Per questo il presidente ha chiamato tutte le forze politiche all’unione nazionale. Il Partito comunista della Federazione Russa, il principale rivale politico di Russia Unita (il partito di Putin), per bocca del leader Gennadij Zjuganov ha espresso il suo sostegno alle decisioni del Cremlino: “Il KPRF parte dalla necessità di smontare i risultati di anni di banderizzazione [da Stepan Bandera, leader del nazionalismo ucraino negli anni della Seconda Guerra Mondiale, a cui si rifanno i neonazisti odierni, ndr.] dell’Ucraina. A dettare la reale politica sul suo territorio sono spesso frenetici nazionalisti. Essi terrorizzano il popolo ucraino e impongono al potere la propria linea politica aggressiva. Piegandosi a questa pressione, Zelensky ha tradito gli interessi dei suoi concittadini, che lo hanno eletto per le sue promesse di pace nel Donbass e di rapporti di buon vicinato con la Russia. In queste condizioni, quando la Russia si è posta a difesa dei cittadini del Donbass, è fondamentale prestare il massimo aiuto ai profughi e alla popolazione civile di DNR e LNR [le Repubbliche del Donbass, ndr.]. Esortiamo tutta la società a fornire loro il necessario aiuto e collaborazione. Urgente imperativo è costringere alla pace i provocatori kieviani, e contenere l’aggressività della NATO. Solo la demilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina garantirà una solida protezione ai popoli della Russia, dell’Ucraina, e di tutta l’Europa.

Una cosa è evidente dagli ultimi eventi: si chiude un’epoca. Un’epoca dove Russia ed Europa, nonostante le costanti tensioni, si consideravano interlocutori e non aperti nemici. “Non ci hanno lasciato scelta.”: lo ha ripetuto diverse volte Putin in questi giorni. L’avanzare della NATO a est, la sua natura dichiaratamente antirussa, la sordità dei suoi leader ai decennali tentativi di Mosca di trovare un equilibrio di convivenza, hanno spinto la Russia con le spalle al muro. Senza più possibilità di indietreggiare, le è rimasta una sola scelta: contrattaccare.

Ma la Russia non è sola: alcuni leader dei paesi che resistono all’imperialismo hanno espresso la propria solidarietà allo sforzo di Mosca. Lo ha già fatto il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, così come il presidente della Siria Bashar al-Assad. Il ministero degli esteri cinese ha esortato a una soluzione pacifica del conflitto, ma ha altresì riconosciuto che la crisi è stata innescata dalla NATO, e che le preoccupazioni della Russia riguardo l’espansione del blocco atlantico sono legittime. Se il mondo libero, quello multipolare, si dimostrerà solidale alla sua causa, la Russia uscirà vittoriosa anche da questa prova.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. Dal 2020 milita nella Gioventù Comunista Svizzera.