/

La Svizzera, l’anticomunismo e lo sport: 50 anni fa il caso Reto Delnon

La Svizzera viene sempre descritta come un Paese democratico, in cui tutti godono di libertà e diritti, quasi fosse il paradiso in terra. Eppure si sa che la storia del nostro Paese è piena di macchie, sia nel presente che nel passato. La neutralità, valore che teoricamente sta alla base delle relazioni internazionali elvetiche, viene oggi continuamente minata, in modo particolare in ambito militare (ma non solo). Anche nel corso della Guerra Fredda, però, è ormai risaputo che la Svizzera si collocava de facto nel campo occidentale. Strettamente legato a questa collocazione internazionale vi era il forte sentimento anticomunista, che impregnava ogni aspetto della società svizzera e che, di conseguenza, è ancor oggi fortemente presente.

L’anticomunismo in Svizzera: le schedature ed il Berufsverbot

L’anticomunismo strutturale presente in Svizzera è visibile innanzitutto nel divieto del Partito Comunista Svizzero, avvenuto nel 1940, ma pure nella violenta repressione dello sciopero generale nel 1918 e di manifestazioni operaie ed antifasciste, il cui esempio più eclatante è quello ginevrino del 1932, quando l’esercito svizzero sparò sui manifestanti a Plainpalais, uccidendone 13 e ferendone 65. Evento ancora più simbolico di questo forte anticomunismo è però sicuramente lo scandalo delle schedature scoppiato nel 1989, quando si scoprì che la polizia federale aveva schedato circa 900’000 persone, vale a dire circa un decimo della popolazione svizzera. Vittime di questa schedatura sistematica erano militanti comunisti, pacifisti, socialdemocratici, sindacalisti o anche solo persone vagamente sospettate di avere simpatie per la sinistra.

Lo “scandalo delle schedature” aveva sollevato un’ondata d’indignazione in tutto il Paese.

Fra le persone più illustri che furono spiate dalla polizia federale vi è, ad esempio, Friedrich Dürrenmatt, “pericolosissimo” scrittore svizzero. In questa isteria anticomunista, non veniva però schedato soltanto chi realmente era attivo politicamente. Nelle grinfie della polizia federale ci finì anche chi, ad esempio, partecipò a delle cene a base di cibo cinese organizzate dalle associazioni d’amicizia con la Cina, che venivano seguite con particolare attenzione dagli agenti federali. Assieme alla schedatura e lo spionaggio dei rappresentanti del “pericolo rosso”, vigeva in Svizzera anche un vero e proprio Berufsverbot per chi veniva identificato come comunista. I comunisti erano dunque sistematicamente esclusi da determinati ambiti lavorativi. Il quotidiano Blick ha recentemente raccontato la storia, dimenticata, di una delle vittime di questo divieto di lavorare.

Reto Delnon: sportivo svizzero e comunista

Reto Delnon fu campione d’Europa nel 1950.

Reto Delnon nacque il 1° maggio 1924 a Samedan, nel Canton Grigioni. Fu innanzitutto un giocatore e poi allenatore di hockey: giocò ben 74 partite per la nazionale svizzera, con la quale vinse addirittura il campionato europeo nel 1950, torneo che nel frattempo non viene più organizzato. Fu poi allenatore e presidente dell’HC La Chaux-de-Fonds e, prima della fine della sua carriera, allenatore dell’HC Friborgo. A fine dicembre 1961 era inoltre stato nominato allenatore della nazionale elvetica.

Di famiglia comunista, Reto Delnon era membro del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL) e non nascose mai più di quel tanto le sue opinioni, senza però, stando a sue stesse dichiarazioni, mai mischiare lavoro e politica. Grazie anche alla sua attività professionale visitò più volte Paesi del blocco socialista. Fu così, ad esempio, che nel 1947, in seguito ai campionati mondiali a Praga, attirò su di sé le attenzioni in dogana, a causa di una statuetta di Stalin acquistata nella Repubblica Socialista Ceca. Nel 1961, in seguito a una partita in DDR, dichiarò in un’intervista al giornale del PSdL “Voix ouvrière” che i cittadini della Germania-Est fossero più contenti di quelli svizzeri. Queste sue idee politiche gli procurarono non pochi problemi.

Prima spiato e poi licenziato

La vignetta pubblicata dal Nebelspalter.

Nel 1962, proprio mentre stava rilasciando un’intervista al Blick, Delnon fu raggiunto da una telefonata da parte della Federazione svizzera di hockey su ghiaccio, che lo informò del suo licenziamento, solo 19 giorni dopo l’assunzione. Il motivo? Avevano scoperto che Delnon era appunto comunista e membro del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL).

Questo evento fece discutere molto. Il Blick dedicò la prima pagina al licenziamento di Denon, titolando: “Hockey-Delnon smascherato come comunista”. Il Nebelspalter, giornale satirico svizzero, consacrò invece un’illustrazione all’allenatore, raffigurato con una canottiera con la stella rossa sotto la maglietta della nazionale. Nella didascalia di questa illustrazione, gli autori del Nebelspalter si domandavano se non si sarebbero dovute conoscere già in precedenza queste sue idee politiche. Nei confronti di Delnon furono sprecati numerosi epiteti, fra cui non poteva mancare il solito “porco comunista”, e l’allenatore fu persino minacciato di morte.

La stampa romanda fu molto più critica nei confronti del comportamento della Federazione, accusandola di non aver rispettato il principio di neutralità politica prevista dai suoi statuti. Tempo dopo questi eventi, si scoprì che Delnon fu anche spiato e schedato dalla polizia federale, secondo la quale Delnon aveva ad esempio in passato provato a imporre “l’estremismo di sinistra” nella squadra del La Chaux-de-Fonds. Per l’allenatore fu dunque creata una cosiddetta fiche e le sue telefonate furono intercettate e ascoltate.

L’anticomunismo, un “valore” fondamentale in Svizzera

Questi fatti riportati dal Blick sono l’ennesimo esempio del forte anticomunismo che caratterizzava la Svizzera nel ‘900. La sorte di Delnon fu la stessa di centinaia di migliaia di altre persone, la cui unica colpa era quella di credere nella giustizia sociale e nella pace. Oggi la situazione parrebbe essere un po’ migliore, almeno per quanto riguarda lo spionaggio da parte della polizia federale, ma è chiaro che ancora oggi chi si oppone al modello liberale e capitalista e all’egemonia unipolare atlantica è visto come un problema, se non un pericolo, come dimostra la nuova Legge contro il terrorismo recentemente approvata alle urne, ma pure le continue diffamazioni da parte della stampa nei confronti di chi, come il Partito Comunista, lotta in modo concreto per la costruzione di una società alternativa a quella liberal-capitalista.

Luca Frei

Luca Frei, classe 1998, è stato eletto coordinatore della Gioventù Comunista Svizzera nel marzo 2020. Dopo la maturità liceale ha iniziato gli studi universitari in storia ed è attivo nel Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA).