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Nobel: l’Occidente premia sempre sé stesso

La premiazione con il Nobel per la pace di Dmitrij Muratov, capo redattore di Novaya Gazeta (Giornale Nuovo), non stupisce più di quel tanto. Essendo uno tra i principali organi di informazione della scena liberale russa, era naturale che la sua attività attirasse l’attenzione del comitato Nobel. Il premio Nobel per la pace infatti non viene assegnato a chi ha raggiunto concreti risultati per la pace del nostro povero pianeta, quanto piuttosto a chi ha soddisfatto qualche punto dell’agenda politica neoliberista. E Novaya Gazeta ne soddisfa molti, essendo una delle principali voci che veicola la propaganda liberista occidentale alle orecchie dei russi. Del resto tra i principali azionisti del giornale troviamo il miliardario Alexander Lebedev, che come tutti gli oligarchi non può rimanere indifferente al messaggio liberista, ma anche Michail Gorbachev, anch’egli vincitore del Nobel per la pace, visti i suoi innegabili meriti nella vittoria dell’ordine mondiale liberale.

La vera natura di queste premiazioni si è palesata molte volte negli ultimi anni. Nel 2012, ad essere premiata con il Nobel per la pace è stata l’Unione Europea. Due anni più tardi, organizzando un colpo di Stato di estrema destra in Ucraina, e provocando con esso una guerra civile tutt’ora in corso, l’UE dimostra di non essere in grado di mantenere la pace nemmeno nei confini del proprio continente.

Nel 2009, l’onore era toccato a Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America. Non sembrò preoccupare il Comitato Nobel il fatto che il presidente fosse in carica da un solo anno, e che quindi non avesse fatto in tempo a realizzare i buoni propositi espressi in campagna elettorale. In ogni caso Obama procedette a non realizzarli anche per i successivi sette anni di presidenza.

Nel 1973 il fortunato era stato invece Henry Kissinger. Lo stesso anno, egli fu il curatore del colpo di Stato di Pinochet in Cile.

Ma le perplessità, quest’anno, non si limitano al Nobel per la pace. Il Nobel per la letteratura è finito in mano a tale Abdulrazak Gurnah. La qualità della sua letteratura è difficilmente valutabile, siccome i suoi libri sono irreperibili in italiano (gli unici tre pubblicati sono fuori catalogo da anni). Ma anche trovare una recensione in inglese che sia precedente al premio Nobel è affare tutt’altro che scontato. Ad ogni modo, la qualità della scrittura non sembra essere il criterio principale con cui viene deciso il vincitore.

Nel caso di Gurnah, sappiamo che scrive di emigrazione e colonialismo. Egli stesso è fuggito dalla Tanzania all’età di 18 anni, per giungere nel 1968 in Gran Bretagna, dove vive tutt’oggi. È per ora impossibile verificare come egli affronti questi temi. L’unico dato certo che abbiamo è che le ragioni della nomina sono politiche invece che letterarie. Ce lo spiega il Comitato stesso, descrivendoci “la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.

Nel 2015 il premio era stato assegnato alla scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievič, la cui opera in patria è considerata poco più che panphlettistica di opposizione. Cosa che ha fatto dell’Aleksievič la degna erede di una lunga tradizione di scrittori-dissidenti russi, premiati con il Nobel per gli sguardi politici ma non certo per le qualità letterarie, francamente modeste (qualcuno ha detto Solzhenitsyn?).

Nel mentre un titano della letteratura mondiale come Lev Tolstoj non ricevette mai il premio, nonostante fosse il candidato più evidente per tutti i primi anni della sua esistenza. Il motivo? La commissione svedese lo riteneva un nemico del progresso, non apprezzando la sua filosofia e il suo stile di vita pauperistico. Alle prime premiazioni della storia, avvenute nel 1901, Tolstoj era stato candidato al premio, ma la commissione svedese gli preferì Sully Prudhomme. Vi chiederete: chi è Sully Prudhomme? Appunto.

Insomma, i premi Nobel per la pace e la letteratura (ma troppo spesso anche gli altri) sono un riconoscimento fazioso, che risponde agli interessi politici correnti dell’Occidente liberale, nonché al suo sistema culturale. E l’eccessiva importanza che gli viene attribuita dai mass media ne è la dimostrazione. In altre parole, l’Occidente premia sempre sé stesso.

Vale la pena citare un estratto dalla voce “Premio Nobel” della Grande Enciclopedia Sovietica: “I governi borghesi dei principali paesi capitalisti, con l’aiuto di ogni sorta di intrigo, cercano di ottenere i Premi Nobel (soprattutto il premio per la pace) per i propri rappresentanti. Come risultato, il Premio Nobel è stato spesso assegnato non in base a reali meriti scientifici, letterari, o nella lotta per la pace, ma in base agli interessi politici delle nazioni borghesi“.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. Dal 2020 milita nella Gioventù Comunista Svizzera.