Alla Biennale di Venezia vanno in scena le ultime novità del cinema italiano e internazionale

L’edizione 2021 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia verrà ricordata per aver lanciato la saga “Dune”, che certo tra capitoli filmici e riduzioni televisive ci accompagnerà per qualche decennio e per l’opera autobiografica e tutta partenopea di Paolo Sorrentino.

“Dune” e mezzo secolo di cinema fantascientifico

Il primo capitolo del kolossal fantascientifico del canadese Denis Villeneuve racconta gli albori di una lunga storia e in uno scoppiettante susseguirsi di battaglie e duelli come il pianeta Arrakis sia impoverito e inaridito e Atreides e Arkonnen lottino, gli uni per la sua sopravvivenza, gli altri per il suo sfruttamento, tra sangue e lacrime, acqua e terra, deserto e cielo, in cui volteggiano poderose e megagalattiche astronavi. Le pagine del romanzo di Frank Herbert – una saga di ben sei romanzi e pure un seguito, il cui primo è del 1965 e ha venduto dodici milioni di copie – son state più volte fonte di un desiderio di trasposizione cinematografica, tuttavia il progetto degli anni ’70 immaginato da Alejandro Jodorowsky è stato travolto dai suoi costi astronomici e dalle invidie e dai boicottaggi statunitensi, risultando come scoperto di recente, d’ispirazione per la longeva epopea di “Guerre Stellari” a cui l’opera di Villeneuve molto deve, con sguardi, ambientazioni, soldati schierati e astronavi spaziali, mentre a metà degli anni ’80 David Lynch riesce per primo a portare “Dune” sullo schermo, ma tra disavventure produttive e scarsità di risorse, si trova a realizzare un film molto modesto di tre ore tagliato dalla produzione a due ore e un quarto, pochi minuti confrontati con certe proposte di oggi, a volte di tre o quattro ore e senza problemi, ma all’epoca ostico non tanto per il pubblico, ma per gli esercenti e i distributori occidentali che detestavano film così lunghi perché meno proiezioni avrebbero significato meno biglietti venduti. I due giovani attori di questo primo capitolo della saga di “Dune”, Timothée Chalamet e Zendaya, gettano le basi per diventare dei noti miti planetari e certamente a breve avremo e vedremo in ogni dove ninnoli, bambolotti e adesivi con i loro volti.

Mario Martone e l’infanzia di Eduardo De Filippo

“Qui rido io” di Mario Martone è un capolavoro straordinariamente capace di coniugare il cinema con il teatro, dopo molte prove autoriali non sempre convincenti, che ci offre una ricostruzione perfetta del teatro popolare napoletano tra XIX e XX secolo,  raccontando con i gesti del padre, Eduardo Scarpetta, e gli sguardi del figlio, Eduardo De Filippo, la storia di un’epoca. Va ricordato che Eduardo De Filippo sarà tra i più grandi autori di teatro del Novecento e senatore a vita per il Partito Comunista Italiano. Tuttavia se il dilagante Toni Servillo restituisce a pieno la personalità esuberante ed esorbitante di un padre, patriarca e padrone, sono i silenzi e l’acuta osservazione della realtà che lo circonda realizzati dal piccolo Edoardo, interpretato da un bravissimo Alessandro Manna a essere il cuore del film, così come la sua profonda amicizia con la sorella Titina interpretata da un’altrettanto brava Marzia Onorato.

Paolo Sorrentino e il mito di Maradona

Paolo Sorrentino torna a casa e si racconta, così nel raccontarsi celebra una città stupenda come Napoli e al contempo una stagione, quella dei due scudetti vinti da Maradona e compagni, simbolo al contempo di riscatto per un popolo e di libertà per una generazione di ragazzi e di ragazze di cui anche l’autore ha fatto parte. “È stata la mano di Dio” è un film visionario e duplice, prima commedia e poi dramma, come nello stile del regista, ma meno onirico e più discorsivo, più capace di guardare, con gli occhi della poesia, la realtà, senza doverla obbligatoriamente trasfondere in proposte fantasmagoriche.

La NATO comanda in Ucraina

Certo Venezia ha offerto anche altro. Modesta e biasimevole l’intenzione del francese Loup Bureau, condannato in Turchia per attività terroristica a vantaggio dei separatisti etnici, già distintosi per propaganda antisiriana e oggi esule in Ucraina, di mostrarci con “Trincee”, in un bianco e nero che vorrebbe, senza riuscirci, rimandare ad altre epoche, quelli che sarebbero secondo lui “i buoni”, ovvero gli ucraini, contro quelli che sarebbero, sempre a suo avviso “i cattivi”, ovvero i russi, mentre nei fatti la realtà è esattamente l’opposto. Siamo nel Donbass dentro una trincea in cui l’odio antirusso è raccontato dai militari, non si capisce se regolari o mercenari, certamente volontari, in lingua … russa, in cui un comandante rimbrotta i suoi sottoposti perché devono rispettare i protocolli della … NATO! Un’opera realizzata per celebrare dei combattenti, ripetiamolo schieratisi dalla parte sbagliata, si trasforma, così del tutto involontariamente, nella più efficace denuncia dell’intromissione occidentale in Ucraina.

Amore in Palestina

Sposarsi e avere dei figli. Da tutte e tutti nel mondo è ritenuto un diritto sancito dal rispetto dell’umanità, prima ancora che dalle leggi. Eppure vi è un luogo al mondo in cui la barbara violenza dello stato nega questa elementare forma di amore e di futuro. “Amira” di Mohamed Diab ci porta nel gorgo doloroso della feroce violenza degli israeliani che negano ai prigionieri politici palestinesi incarcerati per anni e anni, tale diritto. Tuttavia una moglie che mai ha ricevuto una carezza, perché il fidanzato è stato arrestato prima del loro matrimonio, poi celebrato con un ritratto di lui, può ancora diventare madre, quando con la forza della volontà si vincono le barriere carcerarie riuscendo a far uscire da quelle terribili mura il seme procreatore.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.