“Valigia Blu” è una pagina web che si dichiara “basata sui fatti, aperta a tutti”, così aperta che i milioni di yuan cinesi per lo sviluppo del continente africano, i contratti di cooperazione e le materie prime energetiche e alimentari pagate dieci o venti volte di più rispetto agli occidentali spariscono nel colorito e farlocco articolo “Le mani della Cina sull’Africa”, che subito inventa “danni ambientali e sociali della pesca commerciale, delle estrazioni minerarie e dello sfruttamento delle materie prime”, è vero invece il contrario, quando i cinesi arrivano e osservano disperati i danni ecologici fatti dagli occidentali, cercano di rappezzare la situazione mettendo in campo infrastrutture eco-compatibili. Poi si passa a una ironica falsità: “all’inizio era il comunismo. Poi venne il capitalismo che si trasformò velocemente in neo-colonialismo. Sta negli “ismi” la sintesi della parabola dei rapporti (in epoca contemporanea) tra Cina e Africa.”
L’autrice Antonella Sinipoli, giornalista responsabile del progetto AfroWomenPoetry, insomma dovrebbe occuparsi meritoriamente di emancipazione femminile in Africa, invece ci spiega che ora “al socialismo non ci pensa più nessuno, mentre la discussione è ormai rivolta ai numeri degli investimenti, ai volumi di cemento armato, alla quantità di prestiti e debiti”, l’orientamento socialista di nazioni come il Mozambico e l’Angola in cui ferrovie e infrastrutture portuali sono state edificate dai cinesi non paiono interessarla, così come accenna solo in conclusione ad alcune grandi e meritorie opere realizzate dai cinesi come il Museo delle Civiltà Nere a Dakar in Senegal, il Mwalimu Nyerere Memorial Academy in Tanzania, in onore del presidente socialista (caspita un altro!) dal 1964 al 1985 e amico di Zhou Enlai, il quartier generale dell’Unione Africana (2012) ad Addis Abeba, quello della Cedeao/Ecowas ad Abujia in Nigeria, i nuovi parlamenti di Zimbabwe, ecco un’altra nazione di orientamento socialista, la Repubblica del Congo e il Gabon.
L’avversione dell’autrice per lo sviluppo delle forze produttive cinesi e africane a volte lascia immaginare che li preferirebbe poverelli, scalzi e magari come prima affamati e derubati delle loro ricchezze naturali e minerarie dai paesi della NATO, poi si mette a denigrare alcuni punti largamente condivisibili dell’accordo tra Cina e nazioni africane: “L’universalità dei diritti umani e delle libertà fondamentali dovrebbe essere rispettata.” … “Ogni paese ha il diritto di scegliere il proprio sistema sociale, il modello di sviluppo e i modi di vivere alla luce delle specifiche condizioni nazionali” … “La politicizzazione dei diritti umani e l’imposizione di condizioni, relative ai diritti umani, sull’assistenza economica dovrebbero essere fermamente contrastate in quanto costituiscono una violazione dei diritti umani”. Aggiungendo stupidaggini come sempre sugli uiguri e sul fatto che i diritti umani non sarebbero rispettati in Africa come in Cina, quando in realtà il testo dell’accordo è chiarissimo, rifiuta e respinge la democrazia liberale, che genera povertà ed esclusione e che utilizza strumentalmente la questione dei diritti umani per aggredire mediaticamente e militarmente i suoi avversari.
La Cina socialista in un decennio ha realizzato in Africa seimila chilometri di strade e ferrovie, venti porti, ottanta centrali elettriche ed idroelettriche, centinaia di scuole e di ospedali, opere che non rappresentano una losca pervasività, come si vorrebbe far credere, ma una concreta cooperazione. Sono strade, porti, centrali elettriche, scuole ed ospedali che gli occidentali colonialisti e neo-colonialisti mai hanno immaginato di realizzare perché mossi soltanto dalla cultura del puro furto a danno delle comunità locali. Nel campo medico-sanitario, spesso si parla con ragione dei medici cubani nel mondo, meno dei medici e degli infermieri cinesi in Africa e Asia, senza contare le ingenti donazioni di strumentazioni medicali, medicinali. Il personale medico inviato dalla Cina in Africa negli ultimi venti anni è di oltre ventimila infermieri e dottori, peccato non si sia mai letta una riga di ciò neppure su “Il Manifesto”.
Migliaia sono le giovani e i giovani africani che studiano nelle università cinesi e si specializzano, in particolare nei settori tecnici e scientifici e non sono oggetto di “atti di razzismo” come vorrebbe far credere, attingendo non si sa da dove tali informazioni, l’articolista che altresì si rammarica, guarda caso, che i governi africani stiano preferendo accedere ai prestiti erogati da China Development Bank e China Exim Bank, piuttosto che dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, forse perché hanno capito che queste due ultime istituzioni sono sempre generosamente pronte a strozzare ogni economia emergente, imporre accordi capestro e obbligare alla distruzione dello stato sociale.
A segno del declino dell’Europa, non sarà un caso se l’ufficio estero della Xinhua News Agency sia stato trasferito da Parigi a Nairobi, così come sempre nella capitale keniota abbiano sede la CCTV (China Central Television), gli uffici della China Global Television Network e la stazione della China Radio International. A Nairobi e Johannesburg, ecco un’altra nazione in cui sono al governo i comunisti!, c’è poi la redazione del China Daily. Tali fatti, che rappresentano l’attenzione e l’impegno cinese per l’Africa, sono letti dall’autrice come l’esportazione di un giornalismo autoritario, una baggianata da morir dal ridere, a cui possono credere solo gli estimatori della “libera” stampa anglosassone.
I cinesi sarebbero pure “cattivi” perché hanno realizzato gli smartphone Tecno, Infinix e Itel a bassissimo costo, dieci o venti dollari, attraverso la Transsion di Shenzhen, casa sconosciuta in Europa, ma prima in Africa per vendite, con tecnologie calibrate come batterie dalla lunga durata, visto l’accesso limitato all’elettricità, anche di questo primato in Europa nemmeno una parola, perché l’ordine è di parlar solo male della Cina e di Xi Jinping.
Concludendo la Sinipoli scambia la cooperazione per “intento predatorio da parte della nazione asiatica”, già, d’altronde l’Occidente invece per secoli e fino ai nostri giorni in Africa ha portato e porta fiorellini.