Dopo che lo scorso anno si erano svolte le elezioni politiche col rinnovo del parlamento (vedi questo articolo), nella Repubblica Araba di Siria, lo scorso 26 maggio, si sono tenute anche le elezioni presidenziali. La Siria è da undici anni martoriata da un terribile conflitto che non è una “guerra civile” come vuole la vulgata, ma è una guerra di aggressione, di stampo neo-coloniale, condotta dagli USA e dai suoi alleati europei e israeliani per distruggere una nazione che non ha voluto sottomettersi ai diktat del neo-liberismo e che impediva alle multinazionali occidentali di saccheggiare le proprie risorse. Naturalmente i mass-media svizzeri ed europei, riciclando le informazioni delle agenzie stampa finanziate dagli americani, parlano di “elezioni farsa” e nascondono le foto delle enormi manifestazioni di popolo a sostegno del processo elettorale.
Ma i fatti sono testardi: il tutto si è svolto infatti in modo sereno e con una alta partecipazione: sono infatti stati ben 14 milioni 239 mila 140 i cittadini che si sono recati alle urne, cioè il 78,6% del totale di 18 milioni 107mila 109 cittadini con diritto di voto, dentro e fuori il Paese. Vista l’alta partecipazione, il Comitato Elettorale Supremo ha pure deciso di prolungare per altre cinque ore, fino alla mezzanotte, le operazioni di voto, permettendo così alla popolazione di recarsi nei propri seggi elettorali.
Vince chi sa leggere il sentimento patriottico socialista e laico dei siriani
A contendersi lo scranno più alto della Repubblica Araba erano tre candidati: il primo – favoritissimo fin dall’inizio – era il Presidente uscente, Bashar Al-Assad. Diffamato come un tiranno dai media occidentali, ha dimostrato di godere in realtà di grande consenso in patria per la sua strenua difesa della sovranità nazionale e della giustizia sociale. Assad, leader del Partito Socialista del Risorgimento Arabo (Baath), era espressione della stragrande maggioranza dei componenti del Fronte Nazionale Progressista, l’ampia coalizione patriottica di sinistra che governa il Paese e a cui aderiscono convintamente anche i due storici Partiti marxisti-leninisti attivi nel paese, stretti alleati di Assad. Con più di 13,5 milioni di voti Assad ha stravinto la competizione elettorale, ha spiegato il 27 maggio, il presidente dell’Assemblea Popolare Siriana, Hammoudah Sabbagh, nel proclamare i risultati dello scrutinio: il trionfo di Assad si vede anche paragonandolo ai poco meno di 214mila consensi per il giurista Abdullah Saloum Abdullah, l’altro candidato aderente al Fronte Nazionale Progressista, espressione del Partito Socialista Unionista (SU) di tradizione “nasserista”. Il primo fra i non eletti è stato invece il socialdemocratico Mahmoud Ahmad Marei, leader dell’Associazione Araba dei Diritti Umani (AOHR) che si candidava per la coalizione “ribelle”, il Coordinamento per il cambio democratico, che ha raccolto però solo 470’267 voti per una percentuale del 3,3%. Marei sembrerebbe sia stato nel frattempo già espulso dal suo Partito, l’Unione Araba Socialista Democratica (DASU), con l’accusa di aver “legittimato” con la sua fallimentare candidatura la leadership di Assad anche agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.
Islamisti, americani e curdi tolgono il diritto di voto ai cittadini
Il risultato, sia per quanto riguarda la partecipazione sia per quanto concerne il risultato personale di Assad, è assolutamente notevole in quanto non tutti i cittadini siriani si sono potuti recare serenamente alle urne: in effetti in alcune regioni tuttora occupate del Paese, i cittadini sono dovuti restare a casa sotto la minaccia delle armi. Questa drammatica situazione non solo è stata il caso nelle zone sotto il controllo dei terroristi islamisti, ma purtroppo anche nel cosiddetto Rojava, l’area fintamente libertaria amministrata dai separatisti curdi del PYD/YPG che garantiscono l’occupazione militare americana.
Oltre a ciò numerosi paesi stranieri hanno bellamente vietato ai cittadini siriani immigrati di votare presso i consolati e le ambasciate siriane: ad esempio i siriani residenti in Svizzera, così come quelli residenti in Francia, in Turchia, negli USA, ecc. Con la scusa che il sistema politico siriano non sarebbe “legittimo” ai loro occhi i neo-colonialisti e i loro lacché interferiscono negli affari interni di un paese sovrano e ostacolano il diritto di voto di donne e uomini (il che è pure controproducente dal loro punto di vista, poiché molti degli avversari ad Assad a causa della guerra sono proprio fuggiti all’estero). Il motivo è presto detto: per chi davvero conoscere il popolo siriano, profondamente patriottico, secolare ed educato al socialismo arabo e certo non al liberalismo, è evidente che i candidati ribelli e filo-occidentali non avrebbero avuto alcuna chance di sconfiggere l’uscente. Occorreva dunque inventare la fakenews delle elezioni cosiddette “farsa” e manipolate. Un po’ lo stesso copione utilizzato in passato in Venezuela per provare a delegittimare il successo del presidente socialista Nicolas Maduro o recentemente in Bielorussia per negare la vittoria del presidente post-comunista Aleksandr Lukashenko. Insomma: democratico è solo chi aderisce alla filosofia liberale e ubbidisce al campo atlantico (cioè UE e USA). Tutti gli altri sono …dittatori da abbattere. E nonostante la guerra, gli attentati, le sanzioni economiche, le minacce, ecc. laddove il governo legittimo (riconosciuto dall’ONU) ha potuto applicare la Costituzione, il popolo in massa e festante ha votato per chi ha guidato il Paese in questi dieci anni difficilissimi al coro di “Allah, Suriya, Bashar wa bass” (“Dio, Siria, Bashar al-Assad e nient’altro”).
Bagdache: “siamo partigiani e abbiamo già vinto!”
Subito dopo l’esito elettorale il deputato Ammar Bagdache, segretario generale del Partito Comunista Siriano, organizzazione che conduce la lotta partigiana contro gli invasori occidentali e che difende l’integrità territoriale e la sovranità nazionale della Repubblica Araba di Siria, ha dichiarato: “chi credeva che il popolo siriano si piegasse davanti alle armi imperialiste era un illuso, ma ancora più illusi sono stati coloro che hanno creduto che il popolo siriano si piegasse all’ideologia imperialista e votasse contro la propria storia, contro il proprio Paese e contro il suo Presidente Assad. Il popolo siriano, i comunisti siriani, si sono battuti prima in armi e ora, in queste elezioni, politicamente, come i partigiani di Spagna si batterono contro i franchisti. Con una sola differenza: noi abbiamo vinto!”.
I paesi occidentali sconfitti si inventano che le elezioni sono manipolate
Mentre in tutta la Siria, dopo l’esito elettorale, la popolazione scendeva nelle strade per celebrare la vittoria e centinaia di migliaia di cittadini occupavano pacificamente le piazze di tutte le più grandi citta siriane – da Damasco ad Aleppo “la liberata”, da Homs ad Al-Raqqa “la martoriata”, manifestando così il senso di liberazione partigiano col quale la vittoria elettorale è stata vissuta, i cosiddetti giornalisti indipendenti svizzeri ed europei ubbidivano a Joe Biden e insultavano quei cittadini come fossero costretti a festeggiare e manipolati dal governo. Dopo la distruzione e la ri-colonizzazione (chiamata “democratizzazione”) dell’Irak e poi della Libia, ma anche della Serbia, della Georgia e dell’Ucraina, l’Occidente sperava di sottomettere anche la Siria, inventandosi l’ennesima “rivoluzione colorata” che il nostro portale aveva denunciato già nel 2011 in questo articolo (leggi). Invano! Non è bastato inventare la Free Sirian Army, non è bastato coinvolgere il terrorismo sunnita del Fronte Al-Nusra e dell’ISIS, e nemmeno i curdi laici armati e mandati al massacro sia contro gli islamisti che contro l’esercito regolare: la nazione siriana unita con tutti i suoi gruppi etnici, confessionali e politici ha fatto quadrato a difesa della sovranità, del secolarismo e del socialismo arabo.
E mentre la minoranza europea e statunitense condanna la Siria, il resto del mondo si felicita con il presidente Assad: “I risultati delle votazioni hanno pienamente confermato il tuo alto prestigio politico, la fiducia dei cittadini per la politica perseguita per stabilizzare la situazione in Siria il più rapidamente possibile e rafforzare le sue istituzioni”, ha scritto il presidente russo Vladimir Putin in un telegramma al rieletto leader siriano. Messaggi di stime sono giunti a Damasco anche dal ministro degli esteri cinese Zhao Lijian che ha ricordato come la Cina e la Siria siano “tradizionalmente buoni amici”, aggiungendo che “la Cina sostiene fermamente la Siria nella salvaguardia della sua sovranità, indipendenza e integrità territoriale”. Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro “si congratula con il popolo siriano per la giornata democratica esemplare tenutasi il 26 maggio 2021, che si traduce nell’ampio e ineccepibile trionfo del fratello presidente della Repubblica araba siriana, Bashar al-Assad”. Sulla stessa linea d’onda anche il presidente cubano Miguel Díaz-Canel Bermúdez e anche la Repubblica Islamica dell’Iran ha dichiarato che “la massiccia affluenza alle urne dei siriani è un passo importante per garantire la pace e la stabilità e per ricostruire la Siria”. Anche il presidente bielorusso Lukashenko si è complimentato per la vittoria democratica e ha promesso di intensificare la “cooperazione tra Minsk e Damasco in campo politico, commerciale, economico, umanitario e culturale, riferendosi al interesse della Repubblica di Bielorussia a partecipare al processo di ricostruzione in Siria”. In pratica l’imperialismo e la sua propaganda liberale può continuare a raccontare il mondo coi suoi occhi, ma il futuro è già iniziato ed è quello di un mondo multipolare a cui USA e UE dovranno cedere.