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La Mongolia: una storia socialista, ma ben poco conosciuta

Gli unni sono stati i primi abitanti della regione stretta tra i monti Altai e il deserto dei Gobi che oggi si chiama Mongolia, quando lasciano quella terra per arrivare alle porte d’Europa, fanno conoscere un nuovo mondo, con i loro volti glabri e tagliuzzati, per non piangere nelle cerimonie funebri, gli occhi stretti degli orientali, i crani rasati e allungati per le energiche fasciature, con un solo codino di capelli. Un’alterità molto differente dai neri nubiani, dai goti germanici, dai popoli slavi, quelle fino ad allora conosciute dalla romanità. Nel frattempo per secoli nella lontana Mongolia siberiani, tungusi, turchi altaici, uiguri, kazaki, kirghisi e cinesi si alternavano, dando vita a incroci nomadi, che hanno delineato l’attuale incantevole bellezza dei mongoli.

mongolia3Gengis Khan nella nostra interpretazione eurocentrica della storia non ha il peso che merita. È lui a cambiare la storia del mondo, fondando dapprima l’impero più grande di tutti i tempi, quindi originando quell’organizzazione sociopolitica e quelle realtà statuali che a tutt’oggi compongono l’Asia da Ankara a Pechino. L’impero mongolo è tra l’altro la premessa e l’inizio dello stato cinese moderno. Occorrerebbe dunque che nelle scuole si iniziasse a studiare la storia in modo più attento allo sviluppo planetario degli avvenimenti, riportando le vicende europee dentro i modesti limiti storicamente dati. Dopo di lui il potere cinese incrocerà il destino dei mongoli e della loro terra. La dinastia Yuan sarà fondata nel 1271 dal nipote di Gengis Khan, Kubilay Khan, amico di Marco Polo.

Quando in Cina, alla fine del ‘300, si consolida l’ascesa della dinastia Ming, Temur-e-lang, detto da noi Tamerlano, prende il sopravvento nell’Asia centrale. I Ming si affermano nel 1368 e Temur-e-lang si impone nell’assemblea, detta kuriltai, di Balkh nel 1370. I successori dei Ming, i Qing, chiuderanno la stagione della presenza cinese in Mongolia nel 1912, contestualmente alla dissoluzione del Celeste Impero.

La Rivoluzione d’Ottobre e il socialismo sono per tutti i mongoli una grande opportunità di emancipazione e affrancamento dalla sudditanza verso i cinesi. Ulaan Baatar, l’Eroe Rosso, nome odierno dalla capitale, si riferisce al tipografo nel 1919 ventiseienne Damdin Sùhbaatar, amico di Lenin e fondatore della Repubblica Popolare di Mongolia, insieme a lui un venitreenne telegrafista, Horloogijn Čojbalsan che gli succederà e guiderà il paese fino al 1952 ed erigerà per l’amico un mausoleo nella piazza principale della capitale, purtroppo smantellato nel 2005 per far posto a una grande statua di Gengis Khan attorniato dai suoi figli a cavallo. Fuori dall’università vi è ancora invece la statua di Čojbalsan.

Quando si ricordano gli anni ’20 e ’30, spesso ci si dimentica che non c’era una sola nazione socialista, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, bensì due. La Mongolia, dal 1921, rappresenta la seconda nazione socialista del mondo. Se oggi i mongoli sono tre milioni, all’avvento del socialismo erano solo seicentomila, metà allevatori, l’altra divisa in due quarti, uno formato dalla casta lamaista, l’altro da donne e uomini ridotti allo stato servile del primo. Proprio le masse sfruttate sono state quelle più convintamente decise nella battaglia antireligiosa contro il buddismo e per l’affermazione degli ideali di Karl Marx, mosse dalla certezza che fosse profondamente ingiusto un mondo in cui i pochi abbienti rivestivano i loro libri di seta, mentre la maggioranza dei cittadini si copriva di stracci per proteggersi dai rigidi venti siberiani che fanno di Ulaan Baatar la capitale più fredda del mondo.

Una scuola dedicata ad Atatürk, fondatore del socialismo turco
Una scuola dedicata ad Atatürk, fondatore del socialismo turco

Con il socialismo una nazione di pastori e allevatori dediti alla transumanza, che vivevano in maggioranza nelle yurte, dette in mongolo ger, diventa anche una realtà industriale, attraverso imprese conserviere e di insaccati, tessili e di tappeti, di birra e di vodka, per grande soddisfazione dei tecnici sovietici venuti a contribuire allo sviluppo del paese. Le miniere di rame e di molibdeno vengono aperte negli anni ’30. La radio di stato inizia a diffondere onde e parole nel 1931. Si pensa anche alla campagna, con lo creazione di oltre trentamila pozzi per l’irrigazione dei campi e l’abbeveramento degli animali al pascolo. Nasce il circo nazionale, promosso da Togoontchuluun Tsendayuch, grande contorsionista e fondatrice della rinomata scuola di fama internazionale. Il socialismo è il tempo della scuola e dei libri, degli ospedali e delle medicine, dell’emancipazione femminile, della vittoria sull’analfabetismo, dell’edificazione di case e palazzi governativi nella capitale. Per la prima volta nella storia della Mongolia cresce l’aspettativa di vita. È un tempo entusiasmante, contraddistinto dagli ideali di Marx e Lenin. Sebbene da sempre la lotta, la corsa a cavallo e il tiro con l’arco rappresentino gli sport storici del popolo mongolo, che affondano le loro radici nei tempi eroici della lotta per la propria affermazione, nascono le società polisportive d’ispirazione socialista, anche nel nome, Soyol (Cultura), Kuch (squadra delle forze di sicurezza interna), Aldar (Gloria, la squadra dell’esercito), Zamchin (la società dei ferrovieri, come le formazioni Lokomotiv nell’Europa orientale), Khudulmur (Lavoro), Barligachin (Costruttore).

Quando nel 1939 l’aggressione dell’imperialismo nipponico si scatena contro la Mongolia, l’Armata Rossa sovietica sarà vittoriosamente al fianco del popolo mongolo, guidata da Georgij Žukov, il quale poi si distinguerà nella lotta contro il nazifascismo sui campi di Mosca, Leningrado e Stalingrado, conducendo le forze sovietiche alla Liberazione di Berlino e dell’intera Europa il 9 maggio 1945, una vittoria alla quale contribuiscono reparti mongoli, capaci di apportare un fondamentale contributo distinguendosi per l’eroicità del loro slancio. Pochi ricordano che l’Esercito Popolare Mongolo, fin dai primi giorni dell’aggressione nazista nel giugno 1941 entra in guerra a fianco dei sovietici. Di Georgij Žukov svetta un monumento lungo la Prospiekt Mira, che attraversa da est a ovest tutta la città, spariti invece quelli dedicati a Lenin e a Stalin. Quello del georgiano ha campeggiato davanti alla Biblioteca nazionale fino al 1990, con soddisfazione anche di Molotov spedito qui come ambasciatore sovietico alla fine degli anni ’50, dopo che lui e altri dirigenti sovietici come Malenkov e Kaganovic avevano provato senza fortuna a contrastare le derive cruscioviane. La presenza di Molotov darà impulso a una maggiore presenza delle altre nazioni del campo socialista, nel decennio degli anni ’60 un centinaio di complessi industriali vengono aperti in collaborazione con le nazioni del Comecon. Nel 1967, cinquantesimo dell’Ottobre, si inaugura la televisione nazionale. Sono questi gli anni, dal 1952 al 1984, in cui il Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo è guidato da Yumjaagiin Tsedenbal, successore di Horloogijn Čojbalsan.

Stalin, ricordato come il liberatore dal nazifascismo
Stalin, ricordato come il liberatore dal nazifascismo

La statua di Lenin in piazza indipendenza è stata sostituita da quella del grande scrittore e poeta marxista Dashdorjiin Natsagdorj, che ha scritto: “Arrivò il 1917 e si scatenò la Rivoluzione! incrociandosi la falce e il martello hanno cominciato a brillare ai raggi del sole, e la bandiera rossa spiccò il volo dalla catena degli Urali, rallegrando il cuore degli oppressi, portando loro la liberazione”. Stalin per parte sua è ancora presente, con un ritratto sul lato esterno del memoriale colorato, vivace e sempre spazzato dal vento, posto sulla collina di Zaisan, a sud del centro cittadino, edificato tra il 1971 e il 1979, celebrante l’amicizia tra i popoli sovietici e quello mongolo, la comune lotta contro il fascismo e l’imperialismo, il successo mongolo per la selezione di Žugderdemidijn Gurragčaa per la missione spaziale InterCosmos che lo avrebbe portato nel cielo con la navicella Sojuz 39 nel 1981, così come al museo ferroviario, dove, tra tante locomotive a carbone con la stella rossa, spicca un locomotore a gasolio mongolo di colore grigio e con le bordature rosse dei primi anni ’50 con un poderoso ritratto di Iosif Stalin. Poco oltre si trova la stazione ferroviaria della capitale, dalla quale transitano molti treni merci, ma anche per passeggeri diretti a Mosca o a Pechino.

Il Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo è diventato coi primi anni ’90 il Partito del Popolo Mongolo, guidato allora dall’ultimo presidente del tempo socialista e il primo dei tempi nuovi Gombojavyn Ochirbat, già segretario generale dei sindacati socialisti mongoli. Il partito, con brevi pause e una dichiarata svolta socialdemocratica, governa ancora oggi e ha recentemente vietato, dopo un quarto di secolo, l’accesso al paese al Dalai Lama, noto agente imperialista, prima ancora che capo religioso. La difesa dei posti di lavoro è stata una costante di questo quarto di secolo, una visione del mondo e un approccio alla vita che dei diritti sanciti dal modello socialista ha dedotto una scelta non discutibile per la politica. Scelte che fanno della Mongolia una nazione impegnata nella costruzione di un mondo multipolare, capace di mantenere ottime relazioni con tutte le nazioni socialiste asiatiche e in particolare con la Cina.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.